di Luigi Nacci & Lello Voce
Luigi Nacci (Trieste, 1978) è poeta e performer. Nel 1999 ha co-fondato il gruppo de “Gli Ammutinati”. Ha pubblicato in poesia: Il poema marino di Eszter (Battello stampatore, 2005), poema disumano (Cierre Grafica, 2006; Galleria Michelangelo, 2006, con CD), Inter nos/SS (Galleria Mazzoli, 2007; finalista Premio Delfini e Lorenzo Montano), Madrigale OdeSSa (Edizioni d’if, 2008; Premio Mazzacurati-Russo), odeSS (in Decimo quaderno italiano di poesia contemporanea, Marcos y Marcos, 2010). Ha pubblicato inoltre il saggio Trieste allo specchio (Battello stampatore, 2006) e ha curato con G. Nerli Le voci la città. Racconti e poesie per ripensare spazi e accessi (Cadmo, 2008, con CD). Ha organizzato molti eventi letterari e dal 2008 collabora stabilmente alla realizzazione del Festival Absolute Poetry. Redattore della rivista di arti&linguaggi “in pensiero”, ha un piccolo blog: www.nacciluigi.wordpress.com.
Lello Voce, (Napoli, 1957) poeta, scrittore e performer è stato tra i fondatori del Gruppo 93 e della rivista Baldus. Tra i suoi libri e CD di poesia ricordiamo Farfalle da Combattimento(Bompiani,1999), Fast Blood (MFR5/SELF, 2005) e L’esercizio della lingua (Le Lettere, 2009). I suoi romanzi sono stati riuniti ne Il Cristo elettrico (No Reply, 2006).
Ha curato L’educazione dei cinque sensi, antologia del poeta brasiliano Haroldo De Campos.
Nel 2001 ha introdotto in Italia il Poetry Slam ed è stato il primo EmCee a condurre uno slam pluringue (Big Torino 2002 / romapoesia 2002).
Ha collaborato, per la realizzazione delle sue azioni poetiche, con numerosi artisti tra cui Paolo Fresu, Frank Nemola, Luigi Cinque, Antonello Salis, Giacomo Verde, Michael Gross, Maria Pia De Vito, Canio Loguercio, Rocco De Rosa, Luca Sanzò, Ilaria Drago, Robert Rebotti, Claudio Calia.
E’ Direttore Artistico di Absolute [Young] Poetry - Cantieri Internazionali di poesia.
di Cecilia Bello Minciacchi,
Paolo Giovannetti,
Massimilano Manganelli,
Marianna Marrucci
e Fabio Zinelli
di Yolanda Castaño
di Domenico Ingenito & Fatima Sai
di Maria Teresa Carbone & Franca Rovigatti
a cura di Massimo Rizzante e Lello Voce
C’è un aspetto particolarmente interessante nel dialogo che, a proposito di poesia, si è sviluppato tra Bordini e Mariani su queste medesime colonne, alcuni giorni fa.
Esso è costituito dall’idea che la poesia sia tanto uno spietato percorso di conoscenza interiore, che sa bene, però, quanto ognuno di noi sia un’intera città (Spatola) e che l’individuo non è che il luogo di ‘tutti i rapporti’, come sostiene Mariani, quanto un’apertura ad una dimensione pubblica: più che una ‘casa’, una ’piazza’, come argutamente chiosa Bordini.
Non a caso, e questo è certo, la poesia nasce prima del poeta e nasce sonora, detta ad alta voce, pubblicamente esposta, anche quando i corpi eroici, guerrieri e nudi dell’epica si trasformano in quelli liricamente (ma anche allegoricamente) posti in vendita, dei Fleurs du mal…
Così, mentre in Italia i soliti noti si affannano a partorire fantolini a loro immagine e somiglianza, pavidi esploratori ombelicali di un io monadico e effusivo quanto una melodia melensa, o magari credono che basti una chitarra d’accompagnamento, o qualche sviolinata d‘intermezzo, a trasformare versi muti in canti di nuovi Griot, nel resto del mondo la poesia si sposa davvero ai nuovi media e alla musica, riscoprendo paradossalmente, proprio grazie a questo balzo in avanti, le proprie radici, conquista il cuore di tantissimi giovani, facendosi Poetry Slam, riempie gli spazi pubblici aperti alla sua declamazione, e a Medellin, durante la 21a edizione di quello che è uno dei Festival di poesia più importanti e noti al mondo, un’intera, enorme città (la medesima del ‘cartel’, la medesima della violenza metropolitana, della cocaina, della ragazze ‘pre-pago’, sempre pronte a convolare nelle lussuose camere d’hotel dei WASP di passaggio) si mobilita per ascoltare poesia: un’intera città, i suoi governanti, i suoi intellettuali, primo fra tutti Fernando Rendon, fondatore del Festival e direttore della Rivista Prometeo che lo organizza, da anni scommettono sulla poesia e proprio grazie alla poesia e all’arte sono riusciti a modificare l’immagine di un luogo fino a pochi anni fa conosciuto esclusivamente per la sua violenza e l’illegalità diffusa e che oggi è diventato la capitale della poesia mondiale e che, lentamente, anche grazie a questo fantastico festival, sta cambiando le condizioni strutturali stesse della sua vita comunitaria, influendo in maniera percepibile sulla qualità di vita dei propri cittadini, ribadendo che la cultura e l’arte possono, in qualche modo, contribuire a cambiare la realtà, fornendo senso, motivazioni, interrogandosi sui valori, facendo chiaro di nuovo a tutti che il linguaggio non è solo un mezzo d’espressione, ma uno strumento potentissimo di conoscenza: che esso è un DIRITTO di tutti.
Esiste, credo, una politicità insita in ogni poesia, al di là del suo contenuto, o della sua specifica scelta formale, insita nelle modalità stesse della sua fruizione che, almeno in linea di principio, è affidata ad una ‘esecuzione’ (che sia silentemente tentata dal ‘lettore’, o esplicitamente messa in atto dal poeta, con il suo corpo vivo) e che dunque è, in linea di principio, ‘collettiva’, prevede la sua condivisione, al contrario del romanzo e della sua ‘epica borghese’, fatti per un uso privato, solitario. La poesia implica la collettività.
E ciò non è poco.
E’ per questo che a Medellin è nato il World Poetry Movement, fondato dai Direttori di 35 Festival di poesia di tutto il mondo, dall’Europa all’India, dall’Africa all’America: per fare rete, per diffondere la poesia, per stimolarla a prendere partito, a schierarsi, a interfacciarsi, a scambiarsi esperienze, tecniche, forme, per potenziare il suo insegnamento. Perché la poesia è un diritto, come l’arte e come la libertà individuale e collettiva.
E mentre i Direttori dei Festival si interrogavano su come fare ‘network’, nell’anfiteatro del Cerro Nautibara, alle pendici delle Ande che rinserrano la valle in cui sorge Medellin, migliaia e migliaia di persone erano riunite per ascoltare poeti giunti da tutto il mondo: un pubblico entusiasta, paziente, reattivo, felice di essere dov’era e non davanti allo schermo comunque opaco di una televisione. Un pubblico capace di squassanti boati da stadio e indimenticabili, concentrati silenzi, capace di proteggere un poeta sussurrandogli un sorriso e di invitarlo al rischio più spericolato, un pubblico generoso, tenero, violento, in grado di restare lì ad ascoltare per più di cinque ore, capace di farlo divertendosi, partecipando, facendo esso stesso la parte più grande e importante di qualsiasi spettacolo: la sua fruizione cosciente, attenta, creativa. Un pubblico conscio sino in fondo dell’importanza dell’evento a cui stava assistendo: lo spettacolo meno ‘spettacolare’ e più travolgente che io abbia mai visto. Prendervi parte è stato indubbiamente un privilegio e un onore, un’iniezione di fiducia nelle vene stanche e ciniche (e bare) di un europeo post-adorniano, per quanto con evidenti simpatie benjaminiane e blochiane…
La poesia insomma, a partire da Medellin 2011, sceglie di riprendere la parola per riprendersi le parole, per tornare a ‘tenere in esercizio la lingua’ (Pagliarani) e non perché sogni visioni da neo-mosca cocchiera (ché ormai sa bene che non è con, né per la poesia che si fanno le Rivoluzioni: la poesia è una domanda più che una risposta, come ci suggerisce Mariani), ma perché ad essa è evidente, come presto sarà evidente a molti, che non è più possibile sognare nuovi sogni, usando parole vecchie. E non può fare a meno di dirlo: ad alta voce, in ogni caso in ‘piazza’ e ‘in rete’, se le è concesso….
E a stabilire nuovi significati per significanti antichi, o a inventare, scovare, plasmare i termini, i linguaggi nuovi che indubitabilmente ci occorrono per l’unica forma di concorrenza che non sia un crimine e che è la nostra ‘con-vivenza’, il poeta è indispensabile.
Sono indispensabili le sue parole, il suo corpo, il suo respiro che le articola, pronunciandole ad alta voce. Pubblicamente. Nasce per questo il WPM…
Il World Poetry Movement è stato fondato durante la 21° edizione del Festival Internacional de Poesia di Medellin (Colombia), a cui è stato conferito nel 2006 dal Parlamento svedese il Premio Nobel Alternativo, durante 5 giorni di riunioni e discussioni a cui hanno partecipato i Direttori e i rappresentanti di 35 Festival di poesia di tutto il mondo tra cui il Poetry International di Rotterdam, Literaturwerkstatt di Berlino e Poetry on the road di Brema, Le Printemps de poètes di Parigi, il Tokio Poetry Festival, il Poetry Africa di Joahannesburg, il San Francisco International Poetry Festival, Barcelona Poesia, il Festival Internacional de Poesía Ars Amandi - Panama, il Festival Iberoamericano de Poesía del Messico, il Festival Internacional de Poesía di Buenos Aires, il Festival Internacional de Poesía di La Habana, l’iraniano International Festival of Peace Poetry, l’ucraino International Poetry Festival Meridian Czernowitz , l’israeliano International Poetry Festival Sha’ar , il norvegese Norsk Litteraturfestival, il turco Smyrna Poetry Festival, il canadese Festival International de la Poèsie de Trois-Rivière, il macedone Struga Poetry Evenings, l’indiano Krytia International Poetry Festival, e 3 festival italiani, romapoesia, Absolute Poetry e Parola nel mondo. Ad esso hanno già aderito decine di altri festival internazionali. Il suo ‘Statement’, che è anche il suo primo documento collettivo, è consultabile on line qui http://www.absolutepoetry.org/WORLD..., o direttamente sul sito del Festival di Medellin, http://www.festivaldepoesiademedell...
A Medellin nasce il WPM
2011-07-23 18:31:58|di Burbank
Ci hanno fatto credere che la poesia sia la più elevata di tutte le arti. Quando le arti e le scienze si sono divise per intraprendere i loro percorsi si è perso molto ma si è guadagnato altrettanto. Mondi nuovi per la poesia coincidevano con la libertà ottenuta uscendo dalle corti. Una possibilità concessa che tutti noi poeti (e young poets come me) dovremmo ringraziare. L’atomizzazione della poesia conseguente al distacco dall’allora nobile quotidianità per sciogliersi nei meandri dello sporco cittadino ha fatto prendere coscienza civile al poeta che si trovò a protestare assieme al popolo nei confronti di quelli che prima erano i suoi ambienti. Questa nuova condizione del poeta, illuminata a sua volta dato il periodo storico in cui è avvenuta, ha giocato un ruolo importante in quella che prima si poteva chiamare poesia orale. Le vicessitudini interiori del poeta rispecchiavano un intero malsano mondo ignorato dalla nobiltà. Nonostante essi conservassero, spesso, le loro origini altolocate si facevano strumento funzionale alla società. In qualche modo essi contribuirono con la letteratura tutta a creare l’idea stessa di società civile. La poesia dunque fino a che esisteranno le società non potrà mai perdere l’importanza che gli spetta. Tuttavia la superficialità della comunicazione contemporanea ha comportato un insabbiamento della parola poetica. Diciamo che si è sciolta, liquefatta (alla Baumann). La nascita della stampa e la diffusione conseguente del sapere assieme al nuovo modo di interpretare la vita, sempre più solipsista e individualista ha contribuito, da parte dei poeti in primis, alla fruizione della poesia in modo non-comunitario. In questo modo la comunicazione esplosiva della poesia non può essere detonata completamente poichè le sue radici esistono con l’esistenza della comunità. Nemmeno la Ssymborska che è per eccellenza una poetessa che concepisce ’’leopardianamente’’ la vita, si potrebbe astenere da questo. La sua poesia ha infatti riscosso (anche prima del Nobel) un notevole successo editoriale proprio nelle comunità che hanno visto in lei un simbolo eloquente.
L’insabbiamento dei media, lo scioglimento della poesia possono essere combattute solo in comunità. E in comunità sempre più ampie. E in comunità non si può far altro che leggere ad alta voce per gli altri. Prima di tutto però il discorso andrebbe ampliato fino alla base di questo cono che chiamiamo poesia. Abbiamo bisogno che i giovani, come me, capiscano quanto per una nazione faccia bene avere una solida letteratura. La poesia non è la migliore, la piu alta di tutte le arti. La poesia è al parti di tutte le altre arti (intese come mestieri). Solo che giace nel fondo di molte concezioni disumane e sprecate al vaglio della nostra esclusiva e talvolta inadeguata classe ’’poetica’’. la poesia è per uno stato, una nazione, una società una cominità: al pari della matematica, della fisica e di tutte le scienze. (magari mi sbaglio ma di poco! :p) Ciao Lello!