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ALESSANDRA CAVA: faticoso peso in leggerezza forte

Articolo postato sabato 19 dicembre 2009
da Luigi Nacci

Alessandra Cava è nata a San Benedetto del Tronto nel 1984. Si è laureata a Siena in Scienze dei beni storico-artistici, musicali, cinematografici e teatrali con una tesi sul ruolo della memoria nell’opera teorica di Peter Brook e ha partecipato come attrice a numerosi lavori della compagnia TeatrO2. Vive a Bologna, dove frequenta il secondo anno del corso di laurea magistrale in Discipline dello spettacolo dal vivo e collabora con Altre Velocità, gruppo di osservatori e critici delle arti sceniche. Sta mettendo insieme i pezzi della sua prima raccolta di poesie, per la quale è in cantiere un progetto sonoro curato da Davide Amici (Mind, The Gap).


da Isole


Tu sei l’occhio, sei tutto l’occhio che sei, sei la lente,
l’obiettivo, il confluire dello sguardo, canale, sei l’immagine
immobile, immobile prospettiva sei, il non svanire.
Io sto in ritratto nitido, io sto scolorata, saturata,
messa in luce, dentro i quattro lati, io sto in quattro lati buoni,
sto buona nei lati affilati, negli angoli retti dell’impressione,
sto in pezzi senza memoria nei cassetti, tacendo, io sempre
tacendo, io sempre, mai una parola, mai una parola buona.
Eppure noi siamo ancora in carta, in mobile fissità, siamo in questo
spessore di carta, in leggerezza nel peso duraturo della carta.

*

Se posso trapassare lo sgomento, se posso
fare breccia di sgomento in leggerezza, se
posso afferrare leggerezza e incantare il peso,
il peso turbinoso del mondo, spaventoso
cemento pesante del giorno, accogliermelo
nelle mani, farmi tutta peso declinante, peso che
storpia, faticoso peso in leggerezza forte,
in mia volatile inclinazione, se posso fare spazio
nel cuore ostruito, se posso, in quel vano senz’aria.
Se posso affacciarmi alla finestra e non vederti,
se posso fare pensiero pacato del mio non vedere
che vieni o che vai, se posso fare che assenza sia
lieve, che sia lieve nello spazio e lieve molto nel tempo,
se posso fare che il tempo non strida, non mi scolori
nella sfinitezza, che non mi slacci la tessitura,
che giochi piano alla memoria, piano ai gesti
e alle cose piccole, piano con noi dell’età buona,
dell’età gelosa custodita, se posso fare custodia di assenza.
Se posso tenermi questi giorni lunghi di esattezza,
se posso disegnare lo stupore della somiglianza,
del riflesso al contatto, se posso vedermi in tua visione,
contare le ore della lucidità trattenendomi in tua nitida
visione, se posso infliggermi mancanza, essere intera mancanza
che mi contorna, se così posso farne carico inseparabile,
se il vuoto è la presenza dolcissima che so, se so ancora
qualcosa, qualcosa ancora, ancora non so.

*

Amore durissimo, articolarsi delle ossa, scorrevole
rotolarsi delle ossa dalla pelle, solitarie per quel loro esitare
la diramazione, incantare, mettersi nel canto, mettersi tutte nel canto,
nell’aspro canto del sangue, nell’angolo appuntito dei nervi,
nello schiocco delle membrane, nelle aritmie, nella violenza
delle arterie, per quel lasciarsi ricoprire, isole bianchissime
nella carne, per la loro modestia di impalcatura, di scheletro
schivo, di lungo fiore sotterraneo, di radice.

*

Fossi il limite inutile, l’inganno del confine,
fossi l’apertura generosa del valicare, fossi
quella generosità del confine a schiudersi,
disponibilità infinita dell’accedere, del passare,
dell’oltre, del traversare. Potessi sporgermi
da tutti i balconi e vedere passare, potessi
vedere passare le cose, potessi, sapere per caso
che cosa, l’oggetto che ha trama speciale,
che ha l’intreccio introvabile, lo strappo,
l’introvabile tessitura delle cose perdute.


**


da Canali


Continuo stare, questo stare in vita per vie traverse,
secondarie strade dell’assenza che disegna nitida
la fessura del canale, questo stare in parole abitando
la dimensione orizzontale, leggera, del narrare.
Ora è estate che sfinisce, liquefazione dei sensi,
dei cataloghi ragionati: si va a capo per sentito dire,
dentro un’istintiva nostalgia di mani fredde, di giri di maniglie,
di vento e strade vuote. Neanche ora c’è equilibrio,
qui nell’aria ferma della scelta si sta a caso e per stortura
d’animo, qui si incrociano gli sguardi e si distolgono, ma le dita
sfuggono, tentano raccordi. Tutto intorno è piegarsi alle linee
spezzate e chi ha un vago rimpianto dei tornanti non si volta.
Mentre io vado a cercare sconforto negli specchi, le ginocchia
mi abbandonano davanti allo splendore (ormai luogo comune)
che ancora non abbiamo consegnato.

*

Copri lo spazio, copri per bene questo spazio a ritroso,
questo spazio sospeso, che sospende il tempo di coincidenze,
il tempo di corrispondenze e distribuisce coordinate,
offre i vettori solitari dell’andare, offre a piene mani i vettori spaventosi
della moltiplicazione, della scelta velocissima.
Indicami quale stella storta, aprimi alla stortura della mia stella
spuntata, indicami i segmenti e i punti e i centimetri e gli angoli ottusi
ché devo, ché devo sentire dov’è che mi vado a trovare.
Scegline una, una sola di me, una che basta, una sola,
tutta contorno, fatta tutta contornata e ritagliata,
incollata sul foglio, fatta bella come un ritaglio,
lucidata di patina, fatta assurda bellissima di smalto,
da tenere in cassetto che chiude subito, si chiude con scatto
leggero, è già chiuso, non apre.


4 commenti a questo articolo

ALESSANDRA CAVA: faticoso peso in leggerezza forte
2010-02-18 14:46:09|di michele porsia

i miei complimenti, non posso che amare -tu sei l’occhio-; eri Harriet, ora sei una poetessa; non sapevamo di avere in comune la parola scritta. Buon lavoro.


ALESSANDRA CAVA: faticoso peso in leggerezza forte
2009-12-24 00:22:32|

Ok, chi la pubblicherà questa prima raccolta?


ALESSANDRA CAVA: faticoso peso in leggerezza forte
2009-12-23 11:56:57|di Fabio Teti

"Educazione e leggerezza", detto bene, sono connotati salienti di questi testi. Il peso in qualche modo vi scompare, o è vetro che si ottunde, che è ottuso dalla precisa corrente ritmica.

Mi pare una poesia con margini di crescita sinceramente ampi. Ma credo, detto di pancia, proprio a partire dalla rinuncia, almeno parziale, di pulizia e educazione. Dal vetro ritornato vetro, come forse accade o sta per accadere, perché infine vince l’ordine, in qualche breve scorcio dei due testi da "Canali".

Complimenti,

F.T.


ALESSANDRA CAVA: faticoso peso in leggerezza forte
2009-12-19 19:24:55|di Michele Ortore

I titoli delle sezioni non potevano essere più giusti, Ale. Hai trovato una voce in cui la sensibilità teatrale vien fuori in tutte quelle riprese, frasi che si compongono poco a poco, come dopo una spigolatura, cucite assieme parola per parola. Ed è anche come se ogni passo fosse una conquista, faticosa e leggera. Da qui l’impressione di "educazione", di precisione, di pulizia, sia delle cose pubblicate qui, sia delle altre tue. Scavi i canali con badili che sussurrano. L’unica cosa che, forse sbagliando, non mi piace, è la direzionedei canali: per ora sono un passaggio in cerca di atolli, cassetti chiusi con scatto, scorgere ovattato di un occhio cui piace restare a metà, fra la finestra e il balcone. Mi piace sperare che quei canali siano percorsi anche in senso contrario, scoprano l’utilità di collegare interno ed esterno, lasciandosi divellere dall’acqua che unisce. Ma è chiaro: è una speranza più sociale e artistica, che stilistica. Complimenti...


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