Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Il giardino di Galileo
Radissimi astri
sul campo di zucche,
le enormi teste di cavoli
accennanti al più lieve passaggio
e il liquame verdastro di alcune creature:
più sotto rintanano bulbi,
all’esterno torti e straziati sotto il chiarore dei raggi,
sembra di camminare sui gusci
del cammino a ritroso dei mari,
così una sirena s’attorciglia,
confonde in quel viluppo di secchi di gamberi cavi
mezzo ritta sulle elitre,
un gran pesce luccicante
con festuche appiccicose sul corpo:
Urano s’appoggia a una serie indiana di pali,
goccia un liquido denso, d’opale,
beve il latte che mortifica i tessuti,
l’erba della dimenticanza ed il suo fiore:
“Quando le trame non sono ancora
ed i legami vulnerabili,
un dio ti siede accanto e
osserva il suono d’uomini che camminano nel cielo,
dal varco di luce della sua bocca
nel mio orecchio fluisce come olio”.
Tutt’oggi una cosa
ha sostato in bilico della casa
col buio è scesa nelle siepi
infinita ed eterna,
urtando vasi col muso
facendo un vento di semi, e
ha ucciso un cespuglio, guardandolo:
dormono le streghe sulla stufa
fumando la pipa, dai rami pendono
frutta bollita mandorle amare e
oltre il riparo dei pruni
si spargono uccelli sul pane di ieri,
ed è tutto un leccare e lappare
di bestia all’abbeverata,
cuoce piano un bambino nel forno:
“Discesi allora nel tempio
e aprii sulle stelle
il tetto scorrevole:
basse sull’orizzonte
nel palustrìo,
mentre varcato il recinto e frante le uova
i galli schiamavano e schiamavano
per il Ferro al centro della Terra:
parlammo in un denso fumo.”
Insonne straniero,
senza memoria e
oppresso dal ricordo
resto cieco su un gesto abituale
incoronato d’alloro.
*
Rinvenuto a bordo d’un oggetto volante
Triste è per voi terrestri
l’esser soli
ma per noi soli nella solitudine
è un privilegio terribile.
Come, dopo aver fissato molta luce,
si chiudono gli occhi
e la luce persiste e
si sta annebbiati
e non sai il perché
o quando l’acqua dirama
e, separandosi, ognuna delle parti
adima in sé in pozze
che viene formando,
così tutto era come se fosse
un po’ rotto, scheggiato;
o quando, pallida ancora,
mi avvicinavo al vaso
con l’idea di trovarvi
un uccello morto,
il più delle volte c’era.
La poca vigna che restava
la liberavo dai polloni
le imbrigliavo la forza
moltiplicandola nell’aria
oppure la guardavo
spezzata nell’atmosfera
calcolandone la struttura e la durata,
questa l’avrei salvata
con un ponte
che ci unisse
ma la notte sognavamo
montagne di zucchero;
vedevo
immersi nel catino
i salci
immobili nell’acqua
coi girini le piccole uova
il refe di gelatina.
Ho pensato
che
essi, astutamente, ricalchino
le rotte degli aerei
ne seguano i canai di volo
le zone di manovra
le vie di fuga, le piazzole
ai bordi coi rovi e gli olii di servizio
e non respirino come noi,
sono come draghi
sempre malinconici;
l’antro dove stanno
tazzine e piattini
e un ciottolo
messovi per via del contagio,
il cassetto delle posate
in attesa,
paesi dove si radunano
immagini di morte.
Il cielo stanotte
era un pieno di angeli
di incerti pupattoli lavorati nella mollica
dai movimenti futili e infiniti.
*
Ma di notte quando maggiore è il bisogno
e la gente si stringe e si sta in casa
viene a massacrarci un odio
abbassata la guardia
spento il lume
il terrore della porta
per saperti là
con un pennacchio di respiro
intirizzito tra la bocca:
qualcuno ha detto qualcosa di sotto
poche parole entrando e uscendo,
onde che il mare provoca
muovendo nell’acqua la mano
“Solo in una sola stanza
spesso guidavo la macchina
tutti i miei figli morti
con lunghissime chiome
coi piccoli pugni stretti
come tuttora al volante
pur persa la posizione pensiva della guida”,
ma subito una finestra
toglie la voce al parlante
le pupille ronzano col cuore in folle
dal gancio pende il soffitto e
danza una donna a piedi nudi in c
ucina
invasa da piccoli insetti volanti:
dio mangia con le mani.
Poesie tratte da La natura delle cose di Alessandro Ceni, ©Editoriale Jaca Book spa, Milano, novembre 1991
Alessandro Ceni
è nato a Firenze nel 1957. Ha pubblicato I fiumi d’acqua viva, Guanda, Milano 1980;
Il viaggio inaudito, Tosadori, Riva del Garda 1981; I fiumi, Marcos y Marcos, Milano 1985.
Presente in varie antologie.
Ha pubblicato il saggio La sopra-realtà di Tommaso Landolfi, Cesati, Firenze 1985.
Traduttore di Poe, Coleridge, Milton.
ALESSANDRO CENI
2008-10-19 08:38:18|di maria
vorrei dire una cosa, dal momento che in rete circolano un po’ di letture- interpretazioni su questo autore che non sempre condivido, ognuno è libero di dire la sua: io trovo calzante il commento brevissimo di Roberto Mussapi, curatore, sulla quarta di copertina:
"...Difficile da definire la sua poesia, che comunque rifugge ogni tentazione di dettato piano, e si svolge piuttosto per dense e irte agglomerazioni, sciolte e come liberate da improvvise illuminazioni. [...]
E in questa partecipazione del fluire del sangue, della linfa, ai movimenti del cosmo e alle loro influenze sul pianeta, alla natura vegetale e minerale, nasce una visionarietà netta, lucida, carnale e bruciante, penetrata nell’oggetto piuttosto che allontanata nel mondo onirico."