Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
“Zero” non è solo la stagione all’inferno di Alessandro Ansuini, diario frammentato e sconnesso (in altre parole: letterario) d’un’esistenza vissuta scrivendo per esorcizzare la paura del dolore e per esaltare la bellezza, agognando la divinizzazione della vita – del tempo che rimane – e rivendicando la serena attesa della morte; è il quaderno dei quaderni d’un autore che sta rinnovando le lezioni rimbaudiane (l’identificazione è, in questo testo, chiara, forte e proclamata) e campaniane, amalgamando poesia e prosa, nel segno della ricerca d’una forma nuova e, a quanto leggiamo in questo testo, d’una miracolosa e ancora inesistente struttura delle strutture. Ansuini propone una riflessione (ambizione?) chiara: mostrare una struttura capace di “inglobare le altre”. A un tratto domanda quale sia il nome della struttura capace d’essere a un tempo cronologica, a contrappunto, a incastro, ad affresco, deformata (non cronologica): la sua risposta è “Zero”, negazione della struttura in generale, architettura deflagrata, amori e sentimenti e emozioni e intervalli capaci di disgregare l’ordine previsto da ognuna delle strutture narrative convenzionali. Non è l’unica riflessione estetica rilevante, come vedremo; questo al di là dell’avvenuta fondazione della “struttura zero”, o almeno della sua ideazione.
“Zero”: credevo il titolo omaggiasse una battuta del film “The Doors” di Oliver Stone; Ansuini mi ha invece spiegato che “Zero il titolo se l’è scelto da solo, così come il fatto di non mettere il mio nome, mentre si scriveva diceva che non avrebbe avuto un nome e quando incredibilmente ho avuto l’opportunità di pubblicarlo non mi sono sentito di contraddirlo. Inizialmente si chiamava Zero’s Theme ma poi ha perso un pezzo, (come i Cult e i Cure) lo zero è tremendamente ambiguo, significa molte cose insieme, come riferimento musicale credo richiami zero degli Smashing Pumpkins, la canzone, (che portò a quella magliettina con la stella, te la ricordi nel video di Bullet with Butterfly Wings?)”.
Come no. E al contempo riconosco, nella scrittura di Alessandro Ansuini, una serie di punti di riferimento – rock, letterari, cinematografici – cari e comuni a una parte della nostra generazione. Come nell’opera d’esordio, “Ronde de la nuit”, “Zero” è caratterizzato da una ricca e apprezzabile serie di citazioni, richiami interni più o meno nascosti; per intenderci, nei tre libri che compongono l’opera, ho individuato tra i tanti: The Cure – “Accuracy” e “Prayers for Rain”, con tanto di traduzione in positio princeps dell’inizio del brano; Radiohead, P.J. Harvey; Von Trier (“Idioti”), Tarkovskij; T.S. Eliot, Rimbaud, Nabokov, Shakespeare (Ofelia e Amleto postmoderni e ansuinizzati), Pavese, Holderlin, Campana, Schiller, Gadda, D’Annunzio dei “Notturni”, Blake. L’elenco potrebbe proseguire ancora, quasi a oltranza; la ricchezza delle letture, degli ascolti e delle visioni di Ansuini è micidiale e suggestiva; stesso vale per la naturalezza dei richiami e delle integrazioni nei suoi libri. Si ha l’impressione che siano opere – e autori – coi quali davvero esiste un dialogo quotidiano, un confronto teso a interiorizzare bellezza e intelligenza, nel sogno della creazione d’un’opera delle opere. Perché è a questo che l’autore romano classe 1974 sembra stia puntando, a un superamento dei generi e delle strutture. Per adesso registriamo una violentissima frammentazione della narrazione, una sovrapposizione quando cruenta quando lineare di immagini, una scrittura che procede per lampi, scrosci, flash accecanti o distensivi e rilassanti. Non poesia pura, ma suono: non narrativa, ma prosa lirica; liquidissima, ma non annacquata; densa piuttosto, come il magma originario, caos che pretende di tornare (non di andare: e questo è interessante davvero) al principio di tutto, destabilizzando l’ordine costituito, abiurando dio e la società, cantando e scrivendo quel che è stato e quel che è, senza mai oltraggiare il futuro con una speranza o con una promessa. Ansuini scrive come chi non vede altro che il presente; forse è questo il senso dell’iniziazione – meglio: dell’illuminazione – alla quale pare accennare a un tratto, Roma 2003.
Il futuro – come la poesia – è morto. Non è. Il presente è attesa, sospensione e idolatria dell’attimo. Poesia è morta e tuttavia il poeta sopravvive, come quelle rare orchidee che vivono attaccate agli alberi, scrive Ansuini, senza essere parassiti: attende come un’orchidea insanguinata, s’avvicina un’era glaciale e allora è il momento di fare acquisti su Media Shopping. “Qui sono morte le stagioni e gli inferni s’allineano a formare un anello. Tu sei la punta che segue il cerchio, tu sei il compasso” (p. 78).
Se riuscite a immaginare una Stagione all’Inferno raccontata con la cupa e disperata allucinazione apocalittica e l’immaginazione di Blake potete avere una prima e vaga idea di cosa v’attenda in queste pagine. Un delirio costante e programmato, tanto limpido da suonare sacro: “non significo niente, non significa niente / il diapason dei sentimenti ripete (e ripete) e ripete / lo stesso identico suono (simile) di perfezione (nel / perdermi in ogni arte cinese o comunque esplosione cremisi”.
La scrittura riflette sulla scrittura. Ansuini scrive per la cognizione del dolore e della morte (pp. 59-60, libro secondo, “Zoroastrian Building”), e per la bellezza intoccabile. Tiene compagnia al vuoto (p. 61). La scrittura uccide (p. 61), presuppone “ferirsi senza farsi male” (p. 66), è distruzione (p. 67), è peccaminosa (p. 69): “Ecco un poeta: colui che dà tutto, la sua paura, il suo coraggio, la sua stessa vita nella sua totalità per non ricevere nulla in cambio. Potete dire un missionario” (p. 68).
***
C’è qualcosa che andava e va restituito ai contemporanei, in versi. Il ritorno alla consapevolezza della caducità, per vivere con intensità ogni momento di sole, e ogni raggio di bellezza; si deve tornare a camminare a piedi nudi. Ansuini sta cercando una strada nuova – avanza confuso dalle memorie e dal dolore, e accecato dalla bellezza e dall’innocenza scrive; quando si tratta dell’affresco d’un sorriso, d’una notte o d’un dialogo, leggi e vai oltre senza nemmeno accorgertene: tuttavia d’un tratto appare un immagine che sintetizza e spiega tutto. L’autobiografismo – per quanto criptico per chi non conosca l’autore – è giustificato. Altro non esiste che quel che io ho vissuto. “Zero” ne è la prova, e la coscienza. Lirica, e visionaria.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE Alessandro Ansuini (Roma, 1974), poeta, narratore, fotografo, performer ed editore (clandestino) italiano. Ha esordito pubblicando “Ronde de la nuit” nel 2002. Vive a Bazzano (Bologna).
Alessandro Ansuini, “Zero”, Marco Valerio Editore, Torino 2005. L’autore attribuito dall’edizione è “Karpòs Factory”. Zero è suddiviso in tre libri: “Schekleter & Paris Literary Company”, “Zoroastrian Building” (senza dubbio il migliore in assoluto, per intelligenza, originalità, profondità e stile) e “Il visionario”, a sua volta suddiviso in tre parti: quella eponima, “The Family” e “Verwirrung”.
Approfondimento in rete: Officine Letterarie Ansuini / Zeropoetry / Smith & Laforgue
Gianfranco Franchi. Prima pubblicazione: Lankelot. Aprile 2007
6 commenti a questo articolo
Alessandro ANSUINI - Zero
2008-01-10 18:00:44|di Molesini
Hai una forza che non so come riprodurre. Credo dipenda dal tipo di visione, dal punto di vista o da una sorta di microscopio allucinato attaccato alla tua parte vedente.
Non so bene dove tu ti metta, ma fai partire linee. Strane, strabiche, puntinate, non so, sono linee che fanno traslare ma non danno mai la sensazione che si parli d’altro. Così facciamo viaggi speciali, partiamo da un punto e ce ne procuriamo uno diverso e nulla sembra essere cambiato.
La cosa, infatti, è sempre lì che ci guarda. Ha cambiato le scarpe, si è messa ad accarezzare due gatti, ha incrociato le braccia, accende il gas per fare un caffè. Dopo il mezzogiorno di amore scende furente dalle scale, ha aperto la porta del cinema, sbatte la cartella davanti al naso del tipografo, si è cambiata il numero di telefono con una telefonata come di lampo. E ancora.
Ma è sempre lì che ci guarda. Partita per la guerra o per qualunque ricorso dal giudice di pace, sentenziante tiritere con gli amici al bar o sotto processo dalla parrucchiera, o nel supermercato che la spanna, è sempre li che ci guarda.
Ha visto cadere foglie bilobate dal ginko. Ha aspettato tre minuti per bere l’aspirina. Ha raccolto tutta la polvere del tuo appartamento percosso e fa come giochi di prestigio di bambagia. Ha steso la lunga gamba nera di traverso nel corridoio, ti ha offerto l’ultimo sorso di birra che le restava. L’hai vista in bagno sciacquare il viso sudato e muovere le mani come a togliersi una ragnatela.
Cosa ti ha mosso il volere di vederla spostata?
Io credo tu abbia al centro un organo che sparge. Accumula e distribuisce pezzetti consoni, non troppo disintegrati. Mette una sua luce nel momento che asporta, lo fa entrare in una storia perplessa senza mai mancare la mira. Espone, scatafascia ma non rompe, il pezzo si infila gentilmente nella tua operazione e dice che va bene esser smembrati quando il membro poteva dissociarsi e ricomporre. Io credo tu abbia un potere anche magico di sezionare dove non si credeva questo potesse essere fatto, un muscolo ctonio quasi senziente, un incidente maestro che punta il coltellino (ma forse è un dito) dove una sorta di incrocio del pensiero forma nuclei separabili. O ricongiungibili. Io credo tu sappia dove si trovino tutti i segreti di Goethe.
Lui si occupa di riportare a galla e tu affondi. Lui mette alla luce e tu oscuri. Lui mette lo scuro in vista e tu la luce in nero. Ah! Che negredo! Tu non sai cosa fai, eh, non lo sai. Ti viene molto morbida questa lingua che imprime le immagini sui vari supporti messi a disposizione, ti viene facile e si dice che il facile non conti. Tutti fare riferimento a questo codice qui, dicono che così ci capiamo. E se ogni settore ha la sua lingua elfica tu, che ne hai una proprio così, non conti. Poi hanno anche ragione, che tu non conterai. Vai, vai.
Vai sulle linee del tuo cantar perduto, della tua conta spasima di echi, della bella scordata sotto le acque ruvide, del cielo e il suo bicchiere per la valle scostata e la bambina sudata petaletti sulle dita, vai col mondo autoctono a spargere spergiuri e morbidi e secchi assetti di immaginette, vai con dio nei gesti strani dell’incontrare perso vaghi scorci di fiamma penetrativa e di umore consenziente, e di scazzo spirituale e pudore primitivo e sinistra malinconia e pietoso invito e grandine imponente e poco dolore spiccio e portentoso animo e sottile provocazione e spento motivo e solenne imitazione e principiante crasi ed infinito conforto e sporco privilegio e bell’amore. E sporc’amore. E odio pulito.
Questo a lui dicevo.
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Alessandro ANSUINI - Zero
2009-04-28 10:57:40|di Valerio Ansuini
Non ho letto ancora il tuo libro, ma se mi telefoni ti prometto che lo leggerò; Tuo fratello Valerio ormai clear.
( a bello, contattami)!!!
Valerio Ansuini, Roma