Absolute Poetry 2.0
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Alessandro Morgillo

Acidula mora di bosco & Mucca tagli@ta cavallino, Wishful thinking Magic slim.

Articolo postato sabato 2 gennaio 2010
da Maria Valente

Acidula mora di bosco

1. L’austero porsi di mia madre incontra uno sguardo fiero…umido, quando l’acqua, escoriata dai pori del collo, m’affanna e la palpebra rossa s’arresta sul moto lieve della sua corona di perle, unte dal tessuto giallastro del vecchio braccio, floscio sulla gonna tabacco, stretta nei fianchi molli. La scarpa è alta fino al ginocchio, la spalla dritta, le ciglia curve sull’occhio spento.

Vorresti prenderla a calci e farle piangere il mascara, leccato dalla sua lingua a punta, che cazzo mai ha esplorato fino al pelo, sottile nel ricciolo crespo, ove s’annida corroso un chiaro velo d’acqua, acerbo alla papilla e caldo sulla mano febbrile, dal cui dorso inarticolato, chiuso il palmo, sporge una vena livida che solca la pelle fino all’indice. Punto il dito e il muso, forse l’occhio, sulle membra sfatte di questa donna che, di poca coscienza, mi ha espulso, vent’anni or sono.

Fra i capelli un seme le adagerei, nell’ano lo stelo d’un giglio secco, i cui petali escano da grosse pacche; inciso il seno e tosto e alto il capo offeso, ostile ai miei calzoni lerci, col sangue che sgorga mentre la faccia come sudario adombra i contorni meschini del mento depresso. La guancia s’annida, stretta nelle spalle, tenute da due ossi sporgenti su per la schiena inaridita, curva nel ventre d’una sedia che mi nutre di antichi arancini oleosi...

Solitario, mi scuoto e affondo, vizioso, forse brutto, d’alito pesante, grosso il fegato, di fiamma, croste agli angoli della bocca, corte le unghie del dito vetroso, logori i calzoni sulla patta, sfondate le scarpe al suolo, come a un avventuriero che trascina la gamba sul tappetino gommato del metrò e poi rincorre due ragazzi belli persi sul gradino più basso, all’ingresso della stazione...

Sono stanco, stanco di giocare a nascondino, e se volessi scoprire il petto? No, la schiena smagliata dal patimento, quando non hai più liquidi e la vista annebbia l’espressione ansante della checca, variopinta se sniffa un odore di sperma nel parco, e ondeggiano le suole umide, di cuoio, col fango.
Ho la faccia sporca, dei brufoli e secerno sempre più sebo; gli occhi sono viola, con le venuzze, e siedo su una panca quando il cattivo odore è l’unica coscienza di me[...]

Guardo da fuori il mondo, andando in giro come il fantasma che anima un cartone sottratto al marciume della pioggia, dopo il mercato, quando un raggio morente cade sulla vetrina da cui traspare liscia la pelle d’un pallone, mentre soffoca di meraviglia l’orfano dell’est, che non raccoglie più le prugne sul catrame, ma graffia il vetro del negozio e piange.
Piango, verso lacrime in silenzio, sono un bambino che ha perso la mamma e la cerca tra folle di tacchi. Tornasse il candore sui golfini nell’armadio, e la purezza rubatami perché non spogliassi ancora, sì ancora, con occhi d’infanzia, ingenui, innocenti, un uomo, e incorrotti.

10.
[...]

Senza identità, in una vita episodica, quando il tempo slegato oppone alla personalità l’ultima intensa, dolorosa esperienza, incapace di narrare una storia, ormai a frammenti, Ano Retto, dissestato come fosse sulla strada, prosciuga il Naviglio Grande, ché la destinazione conta meno del navigare: Sei il cappottino che indossi errante, la donna che fionda sguardi perniciosi, la pecora d’un gregge senza il curato, mentre segugio t’allontano dai lupi e sbavo domato sul tuo corpo sfatto, esplorandoti con la stessa intensa lingua che leccava fanciulla una bambola hawaiana, bionda, di lattice, pettinata, come fallo sinuoso e flessibile, a inarcare quella femminilità che reprimevo ingenuo, per non farmi fottere.

(da Acidula mora di bosco, Manni, 2002)

*

Di ghiaccio le mani, ho piccole fitte, perdo il controllo, la guida, lo spazio mi è foglio molle intorno, ne salto le righe e con una sola manovra, d’impulso, vi annego, mentre sul parquet stagnate dominano rospi taciti e sulle tempie mi beccano certi santini, a mendicare padre pio pio, un gallo con poche sparute chiazze di mielina nel cervello intorpidito, o fantasma che sofferente appare a certi struzzi, col cuolo all’aria e il becco nel fango dell’inconscio rimosso, a bere che il frate è pure ubiquo [...]

Lucente seduta al mio fianco, Elettra odora di piscio e cannella, di uova, burro e orchidea. Pourtant quelqu’un m’a dit que tu m’aimais ancore[…] Metallico proiettile in canna di una pistola che ti esplora come fossi vagina, cogliendo certe ondate di suono, frante fino agli orecchi con impeto dalle campane, Narciso lento fila muco dalla bocca come la tela un ragno [...]

Elettra è un puma se l’avvicino: all’erta, nell’imminenza dell’attacco, un liquido soffocante pulsa e nutre il suo scheletro disseccato, intreccio poroso, fibra elastica e ben tesa, imbevuta d’acido che corrode ma non brucia[...]

L’effetto sale, comincia l’onda, il mondo mi si gonfia attorno, s’apre come un’ascella e mi solleva: ho l’aureola. Luccico, coperto di lustrini, illuminato da una lanterna, il viso sorridente, fiammeggiano mille candele[...]

Guardo la mia donna voluttuoso e ardente, mentre con la lingua, indago la nuova mappa delle sue grandi labbra di lanugine e madreperla. Elettra, sono un corpo che oblia fra le tue cosce, la porta attraverso la quale posso passare, quando ti stringo come uno specchio vuoto in cui desquamo il serpe, collo di cigno sull’acqua rugosa dell’Arno. Ho il mal di testa, sudo e bevo alghe, scroto su di un lago che mi prosciuga e bagno.

Rido…Sono il cavaliere mascarato coi tacchi a spillo sulla statale, in cerca di una protesi, che, a notte fonda, bruciato il trapano sul coccige dei timorati, chiusi in casa coi figlioli, belli come il presidente, da lobotomizzare, titilla una dolce scimmietta al cioccolato, sotto un lampione sciolta nel globo dei miei occhi, verso cui la palpebra spuntata s’arrovescia.

Con un colpo di natiche lifto un cassonetto che rotea, al suolo spargendo rifiuti urbani. Una stella cadente proietta il suo sogno americano sullo sfondo piatto di un cielo di profughi.

(da Mucca tagli@ta cavallino- Wishful thinking Magic slim, Manni, 2006)

Alessandro Morgillo è nato a Napoli nel 1977: Ha studiato a Milano, all’Accademia di Brera. Ha vissuto tra Milano, Firenze e Londra. Ha esordito poco più che ventenne con queste due operette singolari, non ascrivibili ai tradizionali generi.

Logo articolo: Il quarto sesso, catalogo della mostra 10 gennaio-9 febbraio 2003, Firenze, Stazione Leopolda.
Nota: Nel 1949 Simone de Beauvoir scrisse Il secondo sesso per parlare dell’identità femminile nella società moderna. Il terzo sesso è, solitamente, quello riferito all’identità omosessuale. Francesco Bonami e lo stilista Raf Simons considerano il mondo dell’adolescenza come un quarto sesso, e su questa idea hanno costruito una mostra. L’immagine rappresenta un giovane eggressivo ma dolce. A prima vista la pittura sulla faccia appare come decorazione tribale e violenta, e solo ad un secondo sguardo vi si scopre l’immagine del Topolino di Walt Disney.

1 commenti a questo articolo

Alessandro Morgillo
2010-01-04 08:54:56|di giulia

meraviglioso!


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