Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Qualche giorno fa passeggiando in una campagna autunnale il mio occhio fu attratto da alcune macchie di verde più intenso, più vivo. Cominciai a riflettere sulla presenza in natura di cicli minori che si affiancano a quelli “maggiori”, a quelli macroscopici, all’interno dei quali siamo immersi tutti mentre passeggiamo o facciamo le cose che ci piace fare. Un ciclo maggiore classico è quello del calendario, autunno-imverno-primavera-estate, il ciclo annuale delle stagioni di cui passeggiando vediamo i colori bellissimi, fatto di curve a sinusoide, alti e bassi, che si richiude su se stesso in eterna ricorsività, fatto di semi che cadono, che a primavera crescono, che diventano foglie, poi frutti, eccetera. All’interno di questo grosso ciclo (che a sua volta è inserito in altri megacicli) c’è una infinità di “microcicli” più corti, meno evidenti, ma sopratutto che iniziano in continuazione e spesso non arrivano a conclusione. A volte finiscono lì, si interrompono per il sopraggiungere di una gelata, di una ventata, dello scarpone di un passeggiatore, della sigaretta di uno stupido fumatore, e cosi via. Altre volte arrivano a compimento e si dispiegano nella loro bellezza, che magari coglieremo a distanza di tempo, oppure non coglieremo mai. È il caso, insieme alle caratteristiche dei macrocicli, e degli stessi microcicli, a determinare l’arresto o la prosecuzione, di questi ultimi, cioè di questi inizi. Ed eventualmente il loro compimento. È la teoria delle “estati di san martino”, che ci dice che i cicli hanno in se qualcosa di continuo, una tendenza alla linearità, all’espressività, sono le circostanze che li rendono periodici. La cosa importante è che tutti questi cicli, quelli conclusi e quelli aperti, hanno una loro dignità evolutiva, cioè un vero e proprio fine evolutivo, soprattutto da quando la natura ha inventato la riproduzione. Ma questo è un altro discorso. Insomma la teoria la avevo un po’ vagamente intuita,così, ma poi difettando di un pensiero consequenziale, non sono riuscito ad elaborarla meglio. Anche lei è rimasta un po’ un ciclo aperto. I passi successivi prevederebbero l’allargamento a macchia d’olio della teoria a tutti i cicli di questo mondo, biologici e non, organici e non, microscopici e macroscopici. Vado sempre a finire alle macchie ed all’olio, praticamente in pizzeria.
E dunque la butto li, la teoria, così confusa, come le frasi dei miei taccuini, che ho raccolto suddividendole per stagioni, ed all’interno delle stagioni, per microcicli. Tutti confusi. Tutti lasciati andare alle ventate. Alcuni piccoli, alcuni grandi, alcuni che non ci sono. Ogni ciclo è racchiuso dal quel simbolino che non si distingue bene ma è una piccola matita. Ci tenevo ad esporla così, qui e ora, la teoria, confusa e non conclusa. Preludio alla prossima sgangherata Teoria del Così.
Commenta questo articolo