Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Il 17 giugno alla Fondazione Marazza di Borgomanero «Atelier» ha celebrato i primi dieci anni di attività. Dieci anni di pubblicazioni senza saltare un numero per una rivista sono tanti; non è un caso eccezionale nel modo più assoluto, ma, se guardiamo al Novecento, gli esempi non sono molti soprattutto se restringiamo il numero al settore militante. Perché è stata fondata la rivista?
Effettivamente, ad uno sguardo retrospettivo ci accorgiamo di aver raggiunto traguardi insperati, superiori a quanto osassero sperare un professore di provincia ed uno studente universitario assolutamente sconosciuti, privi del sostegno di una casa editrice, di nomi famosi, di cattedre universitarie e di appoggi politici. Mi chiedi perché è stata fondata la rivista: «Atelier» è nata da un moto di passione per la poesia e dall’insoddisfazione dell’operato della critica. La genesi, in realtà, risale ad alcuni anni precedenti, quando al Liceo Scientifico di Borgomanero mi incontrai con un alunno, Marco Merlin, che condivideva le mie esigenze e, fin dai banchi di scuola, dalle discussioni suscitate dalla storia della letteratura italiana e latina, dallo scambio di testi, nacque l’idea di fondare una rivista, con la quale uscire dallo stato comatoso di una poesia ridotta, per molti versi, a gioco linguistico e da una critica “omertosa”. A noi si unirono altri appassionati, come Paolo Bignoli, Riccardo Sappa, Ugo Rossi, altri studenti e professionisti con i quali ci radunavamo un sabato al mese per discutere e per leggere poesie.
E poi è giunto il tempo di realizzare il progetto...
Sì e ci eravamo proposti regole ferree: nessuna pubblicazione senza il consenso di entrambi i direttori, anche se il testo fosse stato scritto da uno di loro, nessuna concessione al “nome”, se non fossimo stati d’accordo sulla qualità del lavoro, libertà assoluta di giudizio, argomentazione di ogni decisione, apertura a chiunque mandasse lavori da noi giudicati soddisfacenti. Ogni testo e ogni studio doveva imporsi per propria forza e non vivere di luce riflessa.
Di solito il primo numero contiene gli elementi programmatici.
Senza dubbio. Il primo editoriale ha riassunto il nostro programma ed ha tracciato la via sulla quale ci siamo incamminati. Scriveva Marco Merlin nell’aprile 1996: «In tempi di solitudine e soffocante vaniloquio, di disaffezione e convulse trasformazioni, la nascita di una rivista letteraria è insieme epilogo ed assunto, coinvolgimento nell’agonia di un ormai spento orizzonte poetico, ovvero di una determinata apertura di linguaggio sul magma dell’esistenza, e progetto (necessità, scommessa, urgenza) di una nuova, cioè rinnovata, modalità di chiedere sensatezza al mondo per il tramite della parola. Si tratta di una risposta negativa, ma consapevole e sofferta, alla presunta morte della poesia, nella convinzione che muore una precisa pratica poetica per lasciar spazio ad una differente coscienza creativa, tale da permettere la traduzione in forme inedite delle istanze che muovono da sempre una tradizione. [...] siamo artigiani della parola, letterati che non temono di sporcarsi le mani per tracciare qualche sentiero. Siamo attenti alla concrezione di lingua e vita nella scrittura, rivolti cioè scrupolosamente al testo, ma senza affettazioni accademiche e sterili intellettualismi, perché solo nel testo si invera e misura una poetica. Atelier: un luogo accessibile, di incontro, di progettazione, non il laboratorio occulto dell’esteta, non una stanza di astrusi alambicchi». E a dieci anni queste parole non hanno perso nulla del loro valore programmatico.
Quali sono i risultati, a vostro parere, più apprezzabili.
Abbiamo lavorato per promuovere un dibattito di carattere estetico, per riagganciare la poesia alla vita, per promuovere la conoscenza della contemporaneità (la “generazione perduta”), per stendere non presentazioni, ma recensioni con giudizi motivati; abbiamo voluto rileggere il Novecento partendo dai testi, alimentare il dibattito e scoprire i nuovi talenti. Numero dopo numero, intervento dopo intervento, studio dopo studio, autore dopo autore, numeroso materiale è stato proposto con un lavoro superiore alle nostre stesse previsioni. Non sono mancati i convegni che ci hanno permesso uno scambio di idee “dal vivo”, incontri e confronto: da quello organizzato nell’ottobre del 1997 a Firenze con Mario Luzi a quello di Borgomanero sugli scrittori nati negli Anni Settanta, a quello di Stresa-Orta S. Giulio sulla poesia straniera, agli ultimi due di Firenze sulla narrativa e sulle generazioni a confronto. E che dire delle lotte contro le lobbies, contro le pubblicazioni a pagamento, i premi letterari “indirizzati”, la violenza del potere editoriale che impone senza motivare la qualità, i rapporti di interesse tra case editrici, università e giornali, le inchieste?
La rivista a dieci anni di distanza conserva la sua originale fisionimia? Pur rimanendo fedeli al programma iniziale, la rivista ha saputo cogliere i mutamenti della letteratura contemporanea. Credo, infatti, che una delle caratteristiche della longevità e della dinamicità di «Atelier» consista proprio nella sua capacità di mantenere fede negli assunti originali rinnovandosi continuamente. È facile pubblicare cinque o sei numeri sull’onda dell’entusiasmo, è veramente difficile rimanere entusiasti dopo quaranta numeri. Ma ciò è potuto avvenire proprio perché la rivista è divenuta un vero e proprio «luogo di incontro», «un luogo di elaborazione di idee»,senza preclusione di sorta, un luogo di ricerca. Partendo dalla poesia italiana la rivista ha aperto gli orizzonti sulla poesia mondiale e poi sulla prosa, senza mai venire meno al suo carattere militante che cerca di infondere vigore al languore nel quale versa l’attuale dibattito letterario.
Quali difficoltà avete incontrato? Ad uno sguardo retrospettivo mi sembra che la maggiore difficoltà incontrata da «Atelier» sia stata la barriera dell’incomprensione causata dalla novità e le novità, come ho scritto nell’editoriale del n. 42, vanno osservate con coordinate interpretative differenti da quelle con cui si è abituati a studiare fenomeni simili. Ciò che ne impedisce la comprensione non è il linguaggio, ma gli archetipi presenti nella mente di legge o ascolta, la quale intende ed eventualmente critica sulla base di esperienze passate. Concepire la letteratura come valore in sé e non come strumento del mercato né come uno status symbol né come la chiave per accedere ad una casta privilegiata, quella degli intellettuali, ha prodotto e produce una vera e propria ribellione contro la cultura imperante.
Quali obiettivi si propone «Atelier» per il secondo decennio?
In primo luogo un continuo rinnovamento per comprendere le esigenze letterarie della società; quindi, la difesa di quella libertà di espressione e di giudizio che da sempre ha connotato la rivista e che permette di ospitare persone di orientamento diverso: ci costa in termini finanziare perché non si ottiene l’appoggio politico, ma ci si guadagna in termini di indipendenza, bene che non ha prezzo.
12 commenti a questo articolo
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-16 09:24:56|
Un cordialissimo.....
PFUI!
lello
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-16 08:46:21|di Christian
Giuliano mi piacerebbe che precisassi meglio su questi tuoi paragrafi
1. "Personalmente considero che abbiano espresso un periodo storico concluso ("La fine del Novecento")": quali soo i motivi che ti spingono ad affermare che il lavoro di questi autori non sia più attuale? Inoltre, la formatività di questi autori può influenzare il lavoro degli attuali? E se sì attraverso quale prospettiva?
2. "In questo ambito sono partito dal concetto che il canone è soggetto alla storicità e, come tale, va continuamente superato. Del resto, se si supera il livello di descrizione per entrare nella valutazione, ne consegue necessariamente un canone.": quali i metodi, su tutto, della tua personale valutazione?
Perdonami se ti chiedo Giuliano - sono appena tornato dal mare e mi rendo conto che le vacanze sono un bene primario; tra l’altro ti auguro buone vacanze anch’io - ma grazie a queste specifiche credo si possa entrare nel vivo. Sulla prosasticità, direi che sei stato problematico, ma credo ci siano autori che vanno più a fondo dal punto di vista teoretico, da indagare - parte li ho segnalati qui. Nel mio primo post ho dimenticato del sarto, scusa se lo rimarco, ma mi dispiacerebbe non citarlo assieme agli altri.
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-15 09:37:53|
Cari amici,
domando comprensione se solo oggi, sollecitato da Martino, trovo il tempo per rispondervi. Ho appena finito un’interminabile sessione di esami.
Entro subito nel merito delle questioni:
Christian coglie un nucleo incandescente di ogni rivista: la ricerca di una soluzione della "concordia discors" tra nozioni estetiche nuove proposte dalla rivista e apertura a soluzioni diverse .
Concordo con lui sulla necessità di dibattere sulle questioni fondamentali della poesia e non è un caso che Atelier fin dal suo inizio vi abbia posto particolare attenzione. Cito l’articolo "Filologia, critica ed antropologia letteraria" che pubblicato sul n. 5, ricordo gli interventi sul problema del canone, il rapporto tra poesia e filosofia, senza contare le argomentazioni di tal genere che personalmente ho disseminato nel momento in cui ho espresso valutazioni sui poeti del Novecento (basta considerare il punto 4 del lavoro su Clemente Rebora).
Le posizioni proposte non si sono attuate in una sola linea poetica; Atelier non è la rivista di una corrente letteraria, lo è di una corrente estetica e questo permette di aprirsi a poetiche differenti come si può vedere sia dagli autori pubblicati nella collana Parsifal sia nella rubrica "Voci".
Non esiste preclusione per la sperimentazione, per il fatto che ogni autore è uno sperimentatore. Lo è stato Carducci in un senso, Leopardi in un altro e Foscolo in un altro ancora. Se per sperimentazione si intende le avanguardie novecentesche, il discorso cambia. Personalmente considero che abbiano espresso un periodo storico concluso ("La fine del Novecento"). Questo non impedisce di pubblicare testi, interviste e saggi su autori di questa corrente (Marco Ceriani, Sanguineti, Frasca ecc.). Agli adepti di questa poetica Marco Merlin ha dedicato un intero capitolo nel suo studio "I Poeti nel limbo" (Novara, Interlinea).
La questione Bacchini: personalmente, mi si scusi la ripetizione, lo considero un autore di prima grandezza per aver saputo entrare in profondità nelle problematiche della contemporaneità.
Autori prosastici: condivido questa impressione e questo orientamento. Personalmente, mi si scusi questa ulteriore ripetizione, sono giunto alla conclusione che nel periodo dello spreco di parole e di debolezza del pensiero, l’espressione dovrebbe riflettere la povertà e la fatica concettuale.
Quanto detto non deve indurre a concludere che tutto vada bene e che ogni autore possa essere pubblicato sulla rivista. Compiamo le nostre scelte in base ai nostri parametri di giudizio che non dipendono dalle poetiche, ma dalla qualità dei lavori: giudizio naturalmente soggettivo che viene sottoposto ai redattori al fine di limitare la soggettività. E in questo lavoro manteniamo indipendenza e libertà da condizionamenti di qualsiasi genere.
Il canone:
come nelle recensione cerchiamo di esprimere opinioni argomentate e non presentazioni dei libri, così ci è sembrato opportuno tradurre in atto le valutazioni estetiche. In questo ambito sono partito dal concetto che il canone è soggetto alla storicità e, come tale, va continuamente superato. Del resto, se si supera il livello di descrizione per entrare nella valutazione, ne consegue necessariamente un canone.
Un caro saluto e buone vacanze
Giuliano Ladolfi
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-14 16:13:04|di Martino Baldi
Ma guardate che non intendevo raccogliere le domande come polemica, né fare le veci di Giuliano. Concordo con la maggior parte delle valutazioni fatte. Solamente precisavo che, a mio parere e per la mia esperienza personale, "Atelier" è una formula molto più aperta di come lo sono solitamente le riviste e di come la si dipinge dall’esterno. Va poi da sé che delle scelte, anche poetiche, debbano essere fatte, ma di tutto si può parlare per Atelier fuorché di chiusura nei recinti dell’autoreferenzialità. Mi sembra che lo dimostri il fatto che molti dei redattori si sono affrancati dalla stessa Atelier e hanno raggiunto ottimi riscontri e risultati fuori da quell’esperienza. A me pare piuttosto che (non so quanto volontariamente e quanto fortunosamente, ma credo poco che certe cose accadano per caso) Atelier abbia riunito un incredibile insieme di talenti al loro sbocciare. Non li ha irrigementati ma anzi li ha incalzati sul piano della qualità e dell’intransigenza, della serietà e dell’approfondimento, e il risultato si vede. Poi ci saranno stati e ci saranno alti e bassi, lati positivi e lati negativi, ecc. (ci mancherebbe!) ma l’esperienza rimane tra le più decisive degli anni Novanta.
Credo che non potrò più connettermi fino all’inizio della prossima settimana. Saluti a tutti. Martino
P.S. L’intervista non è mia. L’ho solamente postata. Del resto mi sembrano importanti le risposte; le domande in questo caso sono soltanto pretesti per mettere sul tavolo i contenuti e aprire il dibattito che sta nascendo.
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-14 12:27:24|di Christian
Io attendo una risposta alla mie domande, possibilmente da Giuliano perché l’intervista è stata realizzata da te a lui; non credo che da queste domande per come poste possa nascere una polemica, ma un confronto. Inoltre credo che l’affermazione di UC sia in generale, ovvero lo strumento rivista ha necessariamente una redazione principale e collaboratori esterni più o meno presenti, con tutti i pregi e difetti di qualsiasi impostazione rigida.
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-14 12:18:08|
Se ho fatto mia, come ho specificato, la prima domanda di Christian ("non pensi che, per oltrepassare schemi consolidati dell’ambiente, sia necessario introdurre nozioni estetiche nuove e modi di comportamento diversi?"), mi sembra chiaro (visto che ho parlato di indubbi meriti della rivista), riportare il senso della mia "aggiunta" all’interno di quel reticolo, e leggerla, come mi sembra evidente e logico, nell’ottica del senso che ha, così contestualizzata. Cioè: bisogna oltrepassare...etc., introdurre nozioni estetiche...etc., se no si rischia di diventare, come succede a quasi tutte le riviste, dei circuiti autoreferenziali: autoreferenzialità che ritengo (parlo per me, dal mio punto di vista) la "malattia mortale" della poesia italiana di oggi.
Cari Christian e Martino: è così tragica la cosa? Tanto fuorviante il senso? Non penso proprio: e penso proprio che nemmeno voi lo pensiate.
Pax vobiscum.
U.C.
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-14 12:03:47|di Martino Baldi
Mi riferivo a Ugolino, che ha scritto
"ogni rivista, al di là di qualsiasi buona enunciazione programmatica, finisce sempre (o quasi) per diventare un circuito autoreferenziale, che alleva e protegge gli autori in cui si riconosce, chiudendosi, magari contro ogni intenzione contraria, a quanto si agita e chiede voce al di là del recinto."
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-14 11:14:54|di Christian
Non credo di aver parlato di chiusura a riccio Martino. E ho fatto un’altra domanda, un po’ più profonda.
> «Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2006-07-14 09:52:58|di Martino Baldi
Purtroppo non posso essere molto presente perché nella nuova casa non ho ancora la linea telefonica e in ufficio... non ho più l’ufficio (ma questa è un’altra storia). Ho sollecitato Giuliano Ladolfi e Marco Merlin a seguire direttamente l’evolversi del dibattito, sperando che ne abbiano tempo e possibilità.
Posso e devo però sottolineare che non sono d’accordo sull’affermazione riguardo una chiusura a riccio intorno a una propria presunta scelta poetica. Basta vedere i sedici autori pubblicati nella collana Parsifal: io nella stessa collana di Sannelli!!! E se non dovesse bastare, propongo altre assi in cui le differenze mi sembrano ben marcate e in cui la leggibilità non è necessariamente il massimo comun divisore: Marchesini e Cera Rosco, Brullo e Ielmini, Severi e Gezzi, Italiano e Santi...
Se ce la faccio provo a passare per approfondire. Adesso devo lasciare questa postazione.
A presto. Martino
Commenta questo articolo
«Atelier»: dieci anni di impegno al servizio della poesia
2008-01-29 17:14:09|
caro sig. Ladolfi,
stimo moltissimo il suo giornale che si occupa di poesie, di cui è direttore, e so che ha parlato di un concorso promosso tra i giovani. Volevo chiederle, se secondo lei, questi ragazzi sono ancora in grado di scrivere poesie, se hanno ancora quello spunto poetico.
Saluti.