Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Ancora della voce e della parola. Ancora della voce che si fa ritmo straripante, pronuncia fragorosa, che amplifica le possibilità musicali della parola, sino quasi alla vibrazione rumoristica. E ancora di Carmelo Bene, e di una delle sue opere più radicali, dedicata a Majakovskij. Un’opera dirimente, che supera una volta per tutte Artaud, che rompe con la fonazione atroce di Artaud per precisarla meglio, ad un livello superiore di consapevolezza tecnica. La dialettica Artaud-Bene è tutta nella scelta della risonanza totale della parola. Se Artaud, per separare il teatro dallo spettacolo, sceglie la «stimbratura atroce» della voce e la glossolalia, tendendo così al grido, Bene investe maniacalmente la parola appoggiandosi a una trama complessa di parallelismi ritmico-melodici, tendendo piuttosto al canto. Entrambi, in realtà, non fanno che dilatare le possibilità espressive della voce, ritualmente Artaud, culturalmente Carmelo Bene. Il nucleo comune, ciò che li rende simili per prospettiva, è l’anti-rappresentazione come poetica d’attore. Solo che in Artaud l’intenzionalità dissonante resta prevalentemente scritta e comunque, nella sua evidenziazione pratica, limitata alla trasmissione radiofonica Pour en finir avec le jugement de Dieu, mentre Bene avrà modo di insistere in questa direzione, circostanziandola ulteriormente. La decostruzione, in Artaud, è soltanto accennata, l’evento sonoro si offre ancora rispettando l’unità di senso della frase. L’ascolto del primo pezzo di Pour en finir … può agevolare la comprensione di questo passaggio (ASCOLTA). Qui Artaud si limita a modificare il timbro della sua voce, ricorrendo ad una fonazione strozzata tra la gola e le cavità superiori, senza però intaccare l’andamento prosodico; resta chiaramente percepibile la chiarezza dei significati. La nominazione – delle cose, o meglio della situazione decadente della società – è precisa, non viene evitata, quanto piuttosto scandita percussivamente e mettendo sotto-sforzo le corde vocali e il diaframma. Solo negli «effetti sonori», ovvero nei momenti di passaggio tra un brano e l’altro, la vocalità sdelimita costantemente tendendo al rumore; esplicativo, in questo senso, il sesto pezzo (ASCOLTA), dove la voce (che poi è quella di Roger Blin) spazia dalla ritmica primitiva al canto rituale, così come sarà lo stesso Artaud, nel secondo e poi nell’ottavo pezzo, a riprendere questa modalità. Il punto massimo di divaricazione tra il piano del significato e quello del significante è forse il primo dei brani recitati dalla voce di Maria Casarès (ASCOLTA). L’agire espressivamente sulle vocali, allungandole e modulandole in sequenze che si ripetono simili, come a creare una vera e propria metrica della dizione, e l’agire sulla movimentazione ritmica delle parole, velocizzando e rallentando l’andatura della scansione, moltiplica la potenza musicale del dettato. È questo, secondo me, il pezzo più importante di tutta l’opera. È qui che si intravede, quasi profeticamente, quella che sarà la successiva sperimentazione di Carmelo Bene. Ciò che Artaud ha soltanto intravisto – quella che potremmo definire la drammatizzazione sonora della parola – ha avuto il suo compimento nella «voce-orchestra» di Carmelo Bene.
Il poema majakovskijano Di questo recitato da Bene (ASCOLTA) costituisce un momento fondamentale per comprendere il superamento operato nei confronti delle istanze di Artaud. In quest’opera, le dinamiche della voce, ai limiti del possibile (le tirate velocissime di cui si compone presuppongono una capacità tecnica non comune), costituiscono indubbiamente un passo in avanti nella puntualizzazione di quella linea di enfatizzazione «gestuale-fonetica» della parola per come iniziata da Artaud.
PS: paragonando la versione audio (tratta dall’LP Majakovskij, Fonit Cetra 1981) con quella video (Quattro diversi modi di morire in versi, RAI 1974) della performance di Bene sul poema Di questo, può essere colto un altro dei punti in comune tra Artaud e Bene: l’odio per la replica. Ogni performance, pur nella stratificazione precisa e rigorosa delle sue componenti in partitura, può accadere soltanto una volta, come evento unico e irripetibile. È il teatro di “cassetta”, basato appunto sulla replica, che impedisce all’attore la ri-creazione quotidiana della sua opera.
***
[Il poema Di questo contiene, nel suo finale, una mirabile sintesi di una idea avanzata di amore e di famiglia, ben al di là dell’odierno ritorno al chiuso della famiglia Vatican-Style o alle esclusioni su base etnica. Lo riporto, così, per rammentare che può esistere altro]
«Maledicendo i letti,
balzando su dal materasso,
si espanda l’amore in tutto l’universo.
Perché il giorno,
che il dolore degrada,
non sia mendicato per amor di Cristo.
Perché tutta la terra
si rivolti
al primo grido:
“Compagno!”.
Per non essere più vittima
dei covi delle case.
Perché possa
nella famiglia
d’ora in poi
essere padre almeno l’universo,
essere madre almeno la terra.»
2 commenti a questo articolo
CARMELO BENE – ANTONIN ARTAUD (E MAJAKOVSKIJ)
2008-10-24 21:54:14|di alessandro ghignoli
Carmelo Bene, il più grande!
un abbraccio
Commenta questo articolo
CARMELO BENE – ANTONIN ARTAUD (E MAJAKOVSKIJ)
2008-11-10 22:25:57|di Libbano101
Beh, interessantissimo, complimenti...
Volevo solo informare che ho cambiato il titolo del video, e quindi bisogna aggiornare l’url del video... Altrimenti non sarà più visibile...
Saluti
Nuovo indirizzo per il video...