Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
“Valentino Ronchi è un grande poeta”
(Martino Baldi, SMS, 18 Giugno 2007, 04:32)
“Valentino Ronchi ha letto i suoi testi con Italo Testa
qualche mese fa. Direi prosastico. Lo si tiene d’occhio.”
(Christian Sinicco, AbsolutePoetry, 4 Luglio 2006, 16:46)
Il libro Canzoni di Bella Vita Valentino Ronchi (1976) se l’è pubblicato da solo con il servizio TuttiAutori dell’editore Lampi di Stampa. Canzoni di Bella Vita ha vinto il Premio Baghetta 2006, e ora Ronchi ha pane gratis per un anno. Ha vinto su Damiani, Cavalli, Magrelli e altri. Ma questo importa quanto importa. Quello che conta è che il libro è un bellissimo libro forse il libro più bello e più compiuto che io abbia letto di un autore mio coetaneo, e anche, d’un autore della mia generazione, se esiste questa mia generazione. Ho esitato parecchio a scrivere questo post, almeno tre mesi, e i motivi in ordine sparso sono questi (1) volevo scrivere qualcosa di dignitoso, (2) volevo rendere chiari, quasi inoppugnabili, i motivi del mio giudizio di valore, (3) avevo paura d’esser controproducente. Insomma avevo (ho) paura di mandarla "in vacca". Qui sotto metto alcune mie note di lettura, ma se non vi piacciono dimenticatele subito e date un’occhiata ai testi, giudicate da voi, poi dite la vostra.
Se hai una vita giusta basterà scrivere le cose della tua vita una per una nell’ordine in cui accadono, per produrre una giusta poesia. Questo pensiero semplice è stato il primo che mi è venuto in mente leggendo Canzoni di Bella Vita di Ronchi. Ma è un pensiero molto inesatto, se non altro perché una vita giusta non la puoi avere se prima non fai una serie di giuste scelte, se non ti educhi se non eserciti il giudizio, se non ti alleni nell’arte della scelta, nella difficile arte di scegliere per te, e dunque per il mondo, le cose giuste, le cose migliori. Non potrai allora avere una vita giusta, non potrai compiere la "piccola rivoluzione" di diventare un "pezzo migliore" dei tuoi genitori, se non hai, prima, "[...] passato/le giornate a studiare e capire" "[...] cosa tenere/e cosa invece gettare al più presto alle ortiche". E’ in questa leggermente paradossale impossibilità di mettere un ordine di prima e poi tra vita e arte, tra scelta e prodotto, che sta uno dei segreti affascinanti del libro di Ronchi.
Canzoni di Bella Vita è diviso in quattro sezioni, che disegnano i contorni di una sorta di romanzo di formazione d’una coscienza già formata. E’ il canto - tutto in prima persona, in apparente immediatezza di narrazione - che il poeta dedica all’età dell’uomo che va dai venti ai trent’anni (e non leggeremo qui, come invece in Sannelli, "per la depressione, dai venti ai trent’anni."). Questa è la "bella vita", la matura giovinezza. Ma Canzoni di Bella Vita è insieme il canto di una coscienza che è capace di riconoscere quel "quasi niente" (il presque rien di Jankélévitch) che fa delle cose ciò che sono, che tiene il mondo in bilico tra la necessità e la scelta, tra l’insignificante e l’essenziale.
Le quattro sezioni sono presentate (dall’autore stesso, in quarta di copertina) come indipendenti narrazioni di quattro "io" differenti, ma sembrano anche disegnare un semplice percorso unitario: in "L’Avventura, la Noia, la Serietà" si ha un primo periodo a Parigi, di studio, le ultime tappe della formazione intellettuale, e insieme di "bella vita" di studente, di flaneries, di incontri, poi una "Estate Semplice" trascorsa nei luoghi e coi compagni della prima giovinezza, che inizia una sorta di percorso a ritroso o "rivisitazione" che prosegue e si conclude nella sezione successiva, la "Casa di Ostiglia". L’ultima sezione si chiama "Chiara e i Libri" e segna il momento in cui il presente dell’io narrante viene a quasi coincidere con quello del poeta, negli atti giornalieri della sua vita milanese, nell’affaccio al futuro, all’idea di una paternità.
Le poesie della prima sezione accolgono in sé interi paragrafi di Jankélévitch. Alle parole del filosofo-poeta viene affidata l’espressione della consapevolezza estetica dell’autore e della sua persona poetica. Ma esse sono subito messe a contatto e quasi a confronto con la viva percezione individuale, come nel testo "Inizio di Novembre" che riporto qui sotto, emblematico:
Chaque ‘fois’ n’arrive qu’une seule fois dans toute
l’infinité éternelle du temps, et pour cette raison
nous la disons semelfactive; chaque ‘fois’ est à la fois
première et dernière, et pour cette raison nous la disons
primultime. Quassù dalla cima di questo osservatorio
non ci sono dubbi, ogni cosa nasce con una forza
destinata a imporsi: Marie-Anne, la prima volta
che l’ho vista muoversi nuda per la stanza, imposte
socchiuse all’ora che gli altri cenano, e ancora
quando ho indicato a un giovane italiano la strada,
il film da solo al piccolo cinema del Settimo,
la mattina che, assieme a pochi altri, ho visto
aprire il portone pesante dell’università, il coniglio
bianco libero nel Jardin des plantes che una ragazza
cerca di carezzare. Eppure fuori è già novembre
ormai, e sento senza appello che parte di quel che
doveva arrivare è già arrivato. Che parte di quel
che si doveva vedere, si è già mostrato.
Ancora qui assistiamo a un dolce paradosso: le parole del filosofo possono stare nella poesia perché sono state - prima - nella vita, filtrate, vissute "da una coscienza, la mia,/simile a tutte le altre e come tutte le altre unica." Ma, anche, la parola filosofica può essere accolta nella vita dell’individuo solo perché - prima - è stata scritta, e, nel caso di Jankélévitch, è stata scritta da un filosofo "che parla come un poeta" ("Occorre rassegnarsi,/anche i filosofi che parlano come poeti muoiono."). E l’insegnamento, o, in altri termini, la coscienza raggiunta, è esso stesso di natura dolorosamente paradossale. Sta nel riconoscimento, da parte dell’individuo, dell’ordine delle cose del mondo, della natura del tempo, della posizione dello stesso individuo in quell’ordine. Il dramma felice della coscienza d’essere che coincide, necessariamente, con la coscienza d’essere stati.
Una delle ultime sere, carezzo gli alberi passando.
Fa freddo, finite le parole restano le cose, così
come sono, levate le parole. Ferme e attorno
come i libri delle biblioteche, come le braccia
di Marie-Anne, come la vetrina del tabac, come
i viali, sentirli al centro dei giardini. Ferme
e attorno, e ormai già irrimediabilmente passate.
Al chiudersi di questa prima sezione, l’io poetico ha scelto alcune delle sue fondamentali direzioni, finanche il proprio obiettivo in poesia: "[...] Quanto a me, mi è chiaro ormai che/nei giorni successivi al mio ritorno, negli anni, ho deciso/farò tremare qualcuno con la scrittura e con la voce." E in questa decisione sta la prima delle "scelte" di cui questo libro è tanto il risultato quanto la condizione. Forse non è inutile indicare come il "far tremare con la voce" assuma qui una valenza che va ben oltre il mero patetismo, ma che molto probabilmente è da rincorrersi, attraverso le riflessioni di Lévinas (al quale Ronchi, con Cristina Canzi, ha dedicato un libro), fino alla sua fonte veterotestamentaria: l’esultazione nel tremore del Salmista (Servite Domino in timore et exultate in tremore). In questa naturalezza con la quale il dato culturale "forte" è immerso - e reso implicito, senza però disinnescarne il potenziale - nella concretezza e insostituibilità della vita individuale è da riconoscersi uno dei maggiori meriti della poesia di Ronchi.
All’io poetico della prima sezione è pure chiaro il modo in cui raggiungere lo scopo preposto: "Occorrerà soltanto trovare la misura nel correre libero/delle parole e delle forme che prendono. [...]". E il libro stesso (altro sottile paradosso) sarà una esemplificazione di questi "principi di poetica". Il verso sarà non regolare, senza metrica, eppure uniforme lungo tutto il libro (quasi un verso omerico in traduzione), le composizioni non rispetteranno forme tradizionali ma avranno quasi tutte una medesima forma, simile lunghezza, una cesura del respiro nel mezzo. E’ questa la "misura" (il richiamo è ancora biblico) che Ronchi non crea ma "trova" nel linguaggio, una misura non tradizionale ma severa, prossima alle esigenze del respiro. Il linguaggio è quasi totalmente scevro di metafore, di analogie, o, quando ve ne sono, sono piegate nella direzione d’espressioni idiomatiche, e alle minime tournures (davvero, piccole torsioni) del linguaggio è affidato il compito di creare la meraviglia, di rivelare la scena, di rivelare poi il segreto della scena. Certo non siamo qui di fronte né ad uno sciatto realismo né ad un edulcorato allegorismo, ed è bene distinguere il lavoro di Ronchi da queste due maniere piuttosto diffuse tra i suoi coetanei. Il ‘realismo’ è apparente e filosofico, l’allegorismo è implicito. Se si vuole trovare una parentela con un contemporaneo, la mente potrà andare a Oliver Scharpf (in particolare per i meccanismi di contrasto messi in atto, per l’uso retorico dell’uniformità delle composizioni, per l’uso retorico di stilemi ed espressioni idiomatiche, per un certo atteggiamento "deflazionista" o "dissacratorio" etc.).
Le due sezioni centrali del libro ("Estate Semplice" e "La casa di Ostiglia") segnano il ritorno ai luoghi dell’infanzia, il confronto con il padre e la madre, con la lingua materna, con gli amici di sempre. L’io poetico ha qui tra i diciotto e i vent’anni. In "Estate semplice" la lingua amoreggia con l’inflessione dialettale ("Mia madre è d’Osimo ma pare anconetana ormai,/tanti so’ gli anni che abita in Ancona.[...]") e l’intento è tutt’altro che mimetico, per nulla coloristico. Pare piuttosto informato da una coscienza filosofica, che da Wittgenstein in poi, ha indicato nella corrispondenza tra l’individuo e il suo linguaggio l’unica reale possibile "adequatio" di cui sia capace il linguaggio. L’esito delle sezioni centrali è una sorta di equilibrio estetico (presto messo in dubbio, ma senza trauma), una sorta di ‘tautologia estetica’ ma, pure, il raggiungimento del muro davanti al quale lo slancio del pensiero s’arresta:
[...] Stavano chiusi i negozi
dove mia madre entrava a comprare qualcosa, magari
qualcosa per me. A un piccolo market ho preso pane
e affettato e una lattina colorata. In piazza nell’ombra
ho mangiato e bevuto. Ecco, è tutto così, è tutto qua.
E’ certo che in questa coscienza, quasi vuota, in questa forma di accettazione - mai astratta, tinta com’è di ciò che potremmo chiamare una ‘nostalgia del presente’ - di riconoscimento dell’ordine del mondo e della posizione in esso dell’individuo, è da riconoscersi uno dei caratteri essenziali della poesia di Ronchi. E’ in virtù di questa coscienza (filosofica) che l’io che canta in Canzoni di Bella Vita (e l’autore tiene a presentare il libro come composto da quattro "io" differenti), ci offre un esempio davvero convincente di risposta al "problema dell’io" in poesia, problema che sembra assillare molti contemporanei. Una soluzione che ci dice chiaramente che della natura privata, psicologica, narcisistica piuttosto che comunicabile, partecipabile, universale, di un’opera letteraria non può certo giudicarsi in base a scelte di prima o terza persona, né a scelte puramente formali, retoriche, stilistiche. Canzoni di Bella Vita è tutto in prima persona, ma l’io che canta, che indulge a raccontare anche le proprie conquiste amorose , la propria "vita di fortune", finanche il proprio bell’aspetto ("[...] E lì/ho fatto i conti delle mie fortune: degli occhi verdi/e che sono un ragazzo, e di Luciana, e che c’è/sempre per me ogni giorno qualcosa di nuovo"), le proprie uniche abilità ("[...] E fischio forte un fischio/che solo io so fare"), è un io che è illuminato dalla coscienza della propria posizione nel mondo, ossia dalla sola coscienza (che è anche conoscenza, e scelta) che può liberare un’opera d’arte dalla parzialità, dallo psicologismo, dall’ideologia, dall’esser nulla. A livello stilistico e formale ciò si esprime, per esempio, nella scelta d’uniformità di tono e di forma, nella connotazione "epica" impressa lievemente a situazioni e personaggi, nell’uso di espressioni idiomatiche che diventano stilema e patois poetico (quasi a mostrare ciò che la coscienza riconosce: l’esser dato del mondo nelle forme in cui è dato), nell’assenza di metafore e simili figure retoriche.
Questa coscienza, dicevamo, seppure filosoficamente educata, non è mai astratta. Ronchi vuole far tremare "con la scrittura e con la voce", è l’uomo tutto che deve essere raggiunto dalla poesia, non solo l’intelletto umano. E’ ad una sorta di commozione per il presente, ad una forma di pietà per se stessi e per gli altri, in equilibrio tra disperazione e benedizione - sempre implicita e mai descritta - che Ronchi affida la testimonianza e la celebrazione, vibrante, della dimensione patetica dell’io.
Son bravo ancora? - le domando - E quanto vuoi
che sia passato? - fa lei. - Tre anni, quasi quattro -
le dico - non poco -. - Come non poco? Ti pare forse
che sono cambiata? - domanda e fa un giro su se stessa
Marta, si mostra, il vestito corto si alza, il viso si fa
da ragazzina, le gambe si tendono e fan forza
sulla punta dei piedi. Guardami bene non siamo
certo cambiati, guardami gli occhi, guardami il viso.
Preso da un altro canto, l’io di Canzoni di Bella Vita è un io letterario nel senso più classico, nel senso, per esempio del Flaubert di Mémoires d’un fou, ed è forse questo che l’autore tiene ad indicarci presentando le quattro sezioni come indipendenti, come appartenenti a quattro "io" differenti e irrelati. E in questa prospettiva, forse, meglio si possono apprezzare le connotazioni epiche dell’io nelle diverse sezioni, connotazioni che pure hanno una funzione a livello di poetica. Un bell’esempio è il testo "Il gran ritiro", che racconta d’una compravendita di libri particolarmente fortunata, e in cui la connotazione elementare della relazione economica proietta la scena su un campo antico, lo scambio monetario è fatto non dissimile dal baratto, il denaro paga i libri e i libri si trasformano subito in altro denaro e questo in dono, per sé o per l’amata ("[...] Torrieri una volta offrì a una panca di persone/con cui ci avevano messo a mangiare. Io coi soldi a Chiara/le avevo preso un bracciale di cuoio con due fili d’oro"), ossia diventa la calce di quelle relazioni che definiscono e tengono insieme il fascio d’erba della società umana.
Nell’ultima sezione ("Chiara e i libri"), il tempo dell’io poetico si fa sempre più coincidente al tempo biografico dell’autore, e il tema dominante diviene l’approssimarsi d’una svolta naturale, della fine della "bella vita", del momento in cui il ragazzo diverrà - dovrà diventare - padre a sua volta. Sarà allora che le scelte e le decisioni prese nel corso del libro diverranno strumenti, verranno messe in atto, e, in altri termini, si esauriranno nella loro applicazione.
E’ una mattina di festa, scialba nel cielo ma forte
nelle mie gambe e chiara nel dirmi cosa tenere
e cosa invece gettare al più presto alle ortiche.
Prima, un po’ prima, che tocchi a me farmi padre.
E’ in questa sezione, pure, che la "nostalgia del presente" diviene più acuta, che sulla coscienza filosofica si ripercuote, come una vibrazione, il tremito dell’individuo sensibile, essere intero che pensa e patisce, che insieme riconosce la legge e patisce la necessità dell’adeguarsi - dell’essere adeguato - ad essa.
[...] Ma
intanto Chiara nel letto aspetta quel che le spetta
di vita. Al bambino lei insegnerà a parlare e scrivere
con la matita, farle la punta. E ci passerà i pomeriggi
lunghissimi loro due soli nella bella città. - Leva
il lenzuolo fatti vedere - e lei lo leva. Le lunghe gambe
potessi, fermerei la mia vita in questo momento.
In questo indugio - tanto tragico quant’è delicato - si congeda il libro dal lettore e si congeda il poeta, nel suo non congedarsi, dalla sua "bella vita".
35 commenti a questo articolo
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2010-01-08 10:55:56|di Giovanni Catalano
Un mio intervento qui:
http://gcatalano.blogspot.com/2010/...
Ciao,
Giovanni
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2007-07-05 20:15:33|
En passant...
Valentino Ronchi è un "autore" con i controfiocchi...
Lorenzo Carlucci ha scritto una nota "esemplare"...
Un saluto a tutti.
fm
p.s.
I puntini sono un segno della impossibilità a soffermarmi e a cercare di agomentare quanto sopra. Valgono anche come scusa, quindi.
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2007-07-04 11:03:06|di Joe
Ho trovato in rete queste NOTE PER UN MANIFESTO precedute da "Se lo schema di una vita equilibrata è di realizzare nella maturità i propositi della gioventù, Cristoforo ha sovvertito questo equilibrio: i propositi della gioventù ha cercato secondo le sue forze di realizzarli durante la gioventù." Luigi Meneghello, Libera nos a malo
La Pasqua col sole che andava e veniva, la festa dei fiori
il lunedì che le famiglie passeggiano assieme, mi è toccato
persino comperarti un rosario. In legno d’ulivo. - Questo, -
mi dice la piccola signora dietro al banco - è stato benedetto
a Gerusalemme -. Ma sarebbe Gerusalemme da benedire,
vorrei dirle io, invece sorrido e pago e basta. Piuttosto
mi pare chiaro seduto ai gradini in corso Garibaldi,
che tempo fa era più facile. Ero più ragazzo che così.
La vita mi stava addosso, perfetta. Imparavo il greco
come s’impara a suonare la chitarra e i seni delle ragazze
come si dovrebbe imparare il greco. Camminavo il paese
fitto di case alte e popolari, era il mio regno indiscusso.
Mentre oggi invece, bella ragazza mia quasi donna,
ne abbiamo studiati di libri e scrivo e mi affanno
sui sogni e l’etica forti del marxismo improbabile
e del Dio del Vangelo. Aumenta, monta una rabbia
da sfogare, la mia protesta contro ciò che vedo intorno.
Eppure non passa notte che non mi domandi del canto
mio che me ne faccio. Dei nostri magri filosofi francesi
e delle poesie, persino della rabbia stessa, che diavolo
me ne faccio. Comunque giuro te lo giuro, mi vedrai
fare la mia parte. Di poeta che della poesia ride (vale
quel che vale, non un soldo di più) e con la poesia
vuol battersi. Di intellettuale cresciuto soprattutto
alla scuola forte e viva dei campi di pallone spelati
e sparsi per Milano, tribune piovose piene di ragazze
brune e vecchi intenditori facili all’imprecazione.
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2007-07-04 01:08:56|di Joe Rato
non per ridimensionare RONCHI, ma... ha vinto il Baghetta per un sol punto su Amato (la Cavalli invece distanziata assai... non è piaciuto il suo refrain durante la serata: so’ pigra, so’ ghiotta).
un giurato
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2007-07-01 20:37:19|di Lorenzo
Caro Sinicco, io c’ho provato.
Lorenzo
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2007-07-01 17:59:03|di Christian Sinicco
Grazie Martino per la spiegazione, da cui comprendo meglio ciò che ha scritto Lorenzo, non avendo letto Jankélévitch, e l’autore. A Lorenzo, nessuno crea dal nulla, la tua risposta gioca decisamente su una cosa ovvia.
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2007-06-30 15:30:40|di aditus
Tracce di Valentino Ronchi anche qui:
http://vertigine.wordpress.com/2007...
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2007-06-30 15:28:11|di aditus
Belle queste note di lettura.
Belle tutte, ma una cosa in particolare.
Una cosa in particolare mi ha fermato. Che nelle "Canzoni di bella vita" si sente la "nostalgia del presente": questa è un’intuizione importante, a mio avviso.
Tutto il bel libro di Valentino è sospeso in questa nostalgia, l’ultima citazione è forse tra gli esempi più chiari:
[...] Ma
intanto Chiara nel letto aspetta quel che le spetta
di vita. Al bambino lei insegnerà a parlare e scrivere
con la matita, farle la punta. E ci passerà i pomeriggi
lunghissimi loro due soli nella bella città. - Leva
il lenzuolo fatti vedere - e lei lo leva. Le lunghe gambe
potessi, fermerei la mia vita in questo momento.
(Purtroppo) ho prestato il libro ad un’amica, ma se cerco tra ciò che ho trascritto, trovo dell’altro:
- Certe volte sento di avere una malinconia delle cose
che mi prende ancora prima che finiscano, prima ancora
che siano lontane - dice Dario, seduti alla fontana, caffè
in mano, portato fino a lì dal chiosco, con attenzione.
Valentino ha grande sensibilità e acume nel far vedere, anzi, direi quasi, a far sentire (in senso "meta-olfattivo" se si può dire una cosa del genere) questa "nostalgia del presente". Lo fa come se fosse palese quanto il verde dei campi, la stracciatella dei cieli. Come se riuscisse -innalzando ciò all’ovvietà dell’empirico- a far trasudare le cose, persone e luoghi, di quella nostalgia. La relazione come questo sudore fragrante, e colto dall’io in flagrante, per essere restituito al lettore attraverso vie traverse e nascoste, ma pur sempre accessibili in grazia delle sue squisite segnaletiche naturali.
NostAlgia come vera e propria "sofferenza del ritorno", del ritorno a quella alcova che il luogo del presente (una per una le città di Valentino) cova nel suo darsi, qui ed ora. Alcova che è un inedito "sempre stato". Alcova che da una parte gioca a vestire una memoria senza precedenti; dall’altra subito si proietta nel tempo già esaurito: il tempo di una porta che si chiude, lasciando dietro sé il profumo della stagione conclusa. Come se si vivesse già la ripetizione dell’evento, ma nel momento della sua prima volta. In definitiva come fosse una "nostalgia anticipatoria", una consapevolezza del momento, che è il momento eternizzabile, che è la scelta matura, senza dubbi, e che senza dubbi saremmo pronti a rivivere.
Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2007-06-30 09:07:14|di Martino
Al contrario, per me è proprio nella non eccezionalità del contenuto e nel modo in cui è trattato che risiede la qualità maggiore della poesia di Ronchi. Questa realtà di tutti i giorni è illuminata dalla luce diffusa di versi lunghi e narrativi, ariosi ma composti, improvvisamente culminanti in accensioni di coscienza. C’è una delicatissima disinibizione nei confronti del proprio vissuto e una misuratissima dosatura dell’enfasi.
La "nostalgia del presente", di cui parla Carlucci, è un’ottima etichetta. I versi di Ronchi sembrano suggerire l’acquisizione della coscienza che le cose e le persone in ogni istante partono da noi e tornano a noi, a ogni istante ci salutano per dirci addio e miracolosamente a ogni istante tornano a noi da un lunghissimo viaggio, che avrebbe potuto essere l’ultimo. Ogni cosa accade sempre per la prima e ultima volta, per la primultima volta, come dice il filosofo Jankelevitch citato da Ronchi nel libro. Se avessimo costantemente questa piena coscienza, avremmo una più intensa capacità di dare alle cose e alle persone il valore che gli spetta nella nostra vita. Non è una novita sconvolgente, filosoficamente, ma - sono d’accordo di nuovo con Carlucci - questa poesia ne è una verificazione perfetta e toccante. Provate a guardare costantemente le cose con questa coscienza...
Sempre in consonanza con Jankelevitch, e grazie alla sua attenzione verso la sacralità del tutto, come verso qualcosa di apparentemente vicino e invece distante (e viceversa), e soprattutto a rischio di improvvisa perdita, Ronchi riesce a restituire lo charme senza il quale le cose sarebbero soltanto quello che sono, a distillare il quasi nulla che da valore al tutto.
Al di là del mio SMS notturno citato in testa al thread e dovuto al fulmineo entusiasmo di una scoperta, anche a distanza di tempo e letture, a me Canzoni di bella vita continua a sembrare un libro di grande poesia.
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Canzoni di Bella Vita di Valentino Ronchi
2010-02-04 18:13:29|di Giovanni Catalano
Una mia nota qui:
http://gcatalano.blogspot.com/2010/...
ciao,
Giovanni