Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Charles Reznikoff (1894-1976), Olocausto
traduzione di Andrea Raos
[Holocaust, Black Sparrow Press, Santa Barbara 19752, p. 113.]
VI
CAMERE A GAS E CAMION A GAS
1
Una notte il ghetto fu circondato da un grande distaccamento di squadre di SS tedesche
e da miliziani ucraini in numero tre volte superiore;
poi le luci elettriche che erano state predisposte
dentro e intorno al ghetto
furono accese.
Da quattro a sei uomini delle squadre e della milizia
entrarono in ciascuna casa - o ci provarono. Se porte e finestre erano chiuse
e quelli dentro non aprivano quando si bussava,
rompevano le finestre
o forzavano le porte con spranghe o piedi di porco;
e, se la porta di un edificio era solida
e non si riusciva a forzarla,
la porta veniva sfondata con delle bombe a mano.
Quelli dentro le case
erano condotti in strada
così com’erano
a frustate, calci, e colpi di calcio del fucile -
non importava se erano vestiti o a letto -
e costretti a correre lungo una strada
finché non raggiungevano un treno merci che li aspettava.
Vagone dopo vagone il treno veniva riempito
mentre donne e bambini gridavano
e gli schiocchi di frusta e i colpi di fucile
suonavano e risuonavano attraverso il ghetto
e le grida, “Aprite la porta!”
E perché nessuno potesse fuggire attraverso la campagna
la illuminavano con dei razzi.
Nel ghetto, cadaveri di uomini, donne e bambini
venivano abbandonati nelle strade;
le porte delle case restavano spalancate,
i vetri infranti;
e dovunque
scarpe, calze da donna, giacche e cappotti, cappelli e copricapi.
All’angolo di una casa giaceva un bambino,
il cranio sfondato
e sul muro della casa schizzi del suo cervello e del suo sangue.
Un carro da contadini scendeva una strada, tirato da due cavalli;
cadaveri dalle membra rigide giacevano sul carro
e gambe e braccia sporgevano fuori.
Una stazione ferroviaria con solo due banchine
contro una collina di sabbia gialla;
nessun morto doveva essere visto quel giorno -
né mai se possibile;
in ogni caso, solo per breve tempo.
Ma nella zona l’odore, anche sulla strada principale,
era pestilenziale.
Vicino alla stazione, un baraccamento con su scritto “Vestiario”
e una porta con su scritto “Oggetti di valore”;
e all’aperto un camminamento, lungo circa cinquecento piedi
con filo spinato sui due lati
e un cartello: “Ai bagni.”
In fondo, una casa come un bagno pubblico
con vasi di cemento a sinistra e a destra
in cui crescevano gerani,
e sul tetto la stella di David in rame.
In cima a una corta scala,
tre piccole stanze,
alte sei piedi a malapena.
La mattina arrivò il treno merci - quarantacinque vagoni;
quasi settecento vi erano saliti
ma ora alcuni erano morti.
Quando il treno si fermò duecento ucraini, facendo come era stato loro ordinato,
aprirono le porte
e con fruste di cuoio
fecero uscire i vivi.
Allora, tramite un altoparlante, fu ordinato a tutti quelli che erano sul treno di spogliarsi
e di consegnare occhiali e denti falsi -
non si doveva sprecare niente! -
e un ragazzino ebreo diede a tutti dei pezzetti di lacci da scarpe
per legare le scarpe paio a paio.
Tutto il denaro e qualunque oggetto di valore avessero con loro
doveva essere consegnato alla porta con su scritto “Oggetti di valore”
e le donne e le ragazze dovevano andare dal “Parrucchiere”
che in una o due sforbiciate
tagliava loro i capelli
e questi erano messi in grossi sacchi e usati per farne delle stuoie -
non si doveva perdere né sprecare niente!
Poi uomini e donne furono fatti marciare nel camminamento circondato da filo spinato;
uomini e donne nudi,
madri con il neonato al seno,
bambini spaventati di ogni età -
e dietro di loro gli ucraini con le pistole.
Un poliziotto diceva loro con una voce forte e profonda:
“Non vi succederà niente!
Tutto quello che dovete fare è
inspirare profondamente!
L’inalazione vi rafforzerà i polmoni!
Una misura necessaria contro le malattie contagiose!
E un ottimo disinfettante!”
Se qualcuno si fermava a chiedere cosa sarebbe stato di loro,
rispondeva: “Gli uomini dovranno lavorare, certo,
costruire strade e case;
ma le donne no.
Se vorranno potranno aiutare in cucina.”
Ma una donna gridò al capitano di polizia che guardava,
“Il sangue dei miei figli sulla tua testa!”
E lui la colpì al volto con la frusta
e la trascinò nella camera a gas.
“Nudi in inverno”, uno dei civili tedeschi che guardava disse al Professore di Salute Pubblica -
in piedi dietro di lui -
“sufficiente a ucciderli.”
“È per questo che sono qui”, rispose il Professore.
Nelle camere a gas
la polizia stipava le persone le une sulle altre
al punto che gli uomini e le donne si calpestavano -
e le porte furono chiuse.
Ma il motore che forniva il gas
non voleva partire.
Passò un’ora, due, quasi tre,
e nelle camere a gas si udivano delle grida
e molti pregavano.
Il Professore che aveva tenuto l’orecchio contro una delle porte di legno
si girò, sorrise e disse, “Proprio come una sinagoga.”
E poi il motore prese a funzionare:
in mezz’ora circa
all’interno della camera a gas erano tutti morti.
Quando le porte sul retro furono aperte
quelli dentro erano tutti in piedi come statue:
dentro non c’era stato spazio per cadere
e nemmeno per piegarsi.
Tra i morti, si vedevano famiglie,
che si tenevano tutti per mano,
mani tenute strette
così che coloro che gettavano fuori i cadaveri
fecero fatica a separarli.
I corpi furono gettati fuori in fretta
perché altri trasporti stavano arrivando:
corpi lividi, bagnati di sudore e urina, gambe coperte di escrementi,
e dovunque corpi di neonati e bambini.
Due dozzine di operai erano occupati
a aprire le bocche dei corpi con ganci di ferro
e con delle tenaglie estraevano i denti con corone d’oro;
e altrove altri operai squartavano i morti
in cerca di denaro o gioielli che fossero stati inghiottiti.
E allora tutti i corpi furono gettati nelle larghe fosse scavate vicino alle camere a gas
perché venissero coperti di sabbia.
A una cena in onore degli ufficiali di questo campo - e altri simili -
il Professore di Salute Pubblica stava tenendo un discorso:
“Il vostro compito è un dovere, utile e necessario.
Guardando i corpi di tutti quegli ebrei
si capisce la grandezza del vostro buon lavoro -
tutta la sua grandezza! Heil Hitler!”
E gli ospiti gridarono, “Heil Hitler!”
(...)
Nella foto: Charles Reznikoff
9 commenti a questo articolo
> Charles Reznikoff / Holocaust
2007-01-01 16:53:16|di lorenzo
grazie ancora per le sue risposte.
spero che una certa acredine in esse derivi da un mio errore di percezione. come le ripeto, volevo soltanto sapere la sua idea, come traduttore, circa l’aspetto ritmico del testo originale e la (ai miei occhi mancata) resa di questo in italiano. questa domanda è affatto slegata da un giudizio di valore sulla sua traduzione, è una domanda astratta, di informazione. la sua risposta, devo dire, non mi è chiarissima, ma penso sia contenuta in questo passo: "Cellule di ritmi tradizionali se ne potranno anche trovare (se ne trovano sempre e in chiunque), ma non mi sembrano l’aspetto più interessante."
Deduco dunque che, non essendo per lei questo l’aspetto più interessante, ha trascurato consapevolmente di renderlo in italiano, forse per dare più risalto ad altri aspetti più importanti? E’ questa la risposta? "se ne potranno anche trovare" lascia aperto il quesito: che lei sappia, se ne trovano o no? quanto a "se ne trovano sempre e in chiunque": è vero? ma in maggior misura in alcuni e in minore in altri, per una ragione qui e per un’altra là, e capire in che misura e per quale motivo secondo me arricchisce "sempre" la comprensione del testo. comunque, se lei non ha una opinione in proposito non voglio forzarla a formularne una. mi tengo per buona la risposta: questo aspetto esiste ma non è essenziale.
Grazie per la pazienza,
Lorenzo
p.s. La nota sul "lavoro da laureandi" la trovo un po’ offensiva (per i laureandi, ma che importa, si difenderanno da soli). Per me ogni grande autore è "di frontiera", e non avevo intenzione di "lavorare" per mettere in evidenza alcunché. Ho soltanto parlato di un’impressione immediata: lì c’è questo, qui non c’è, come mai? Domanda del tutto candida, credo applicabile ad ogni lavoro di traduzione.
p.p.s. Avevo intuito che "in levare" significasse "nel senso della sottrazione" ma mi sembra un abuso di linguaggio.
> Charles Reznikoff / Holocaust
2007-01-01 14:25:27|di Andrea Raos
Avevo capito che la frase su Levi non era un complimento (o al massimo sì, ma a doppio taglio). Cercavo solo di fare della (lieve, spero) ironia.
Ma sciocchezze a parte.
Intendevo "in levare" nel senso della sottrazione (in senso musicale, non avrebbe voluto dire molto).
E intendevo il "non ancora poesia" non come un ’tendere verso’ la ’poesia’, ma come un tenersene volutamente al di qua.
E’ pratica diffusa prendere un autore considerato ’di frontiera’ e metterne in evidenza i legami con la tradizione: l’endecasillabo in Pagliarani, per esempio (un caso facile, certo, ma è solo per fare un esempio).
Non nego l’utilità dell’esercizio, ma personalmente lo ritengo un lavoro un po’ da laureandi.
In particolare, lo trovo poco pertinente (insisto: poco pertinente, non ’sbagliato’) nel caso di uno scrittore dall’orecchio palesemente molto raffinato come Reznikoff. Cellule di ritmi tradizionali se ne potranno anche trovare (se ne trovano sempre e in chiunque), ma non mi sembrano l’aspetto più interessante.
Come secondo me non lo sono in Levi - non in quanto tali, almeno. Ma è certo che - semplificando troppo - Levi si muove all’interno della letteratura. Vuole entrarvi, per uscire dai campi e per difendersene.
Invece Reznikoff, che pur essendo più anziano di Levi scrive dopo di lui e che (dato fondamentale) non parlava per esperienza diretta, ha una visione decisamente diversa: parte da testi giuridici (lui che peraltro era giurista di professione), da testimonianze (e proprio Testimony è il titolo di un altro suo libro importante) e in questi materiali inietta, dello scrivere poesia, appena il fremito, la possibilità, l’eco (come il vago ricordo di una cosa bella che è esistita tanto tempo fa).
Proprio da questa apparente rinuncia deriva, secondo me, la grandissima forza (la ’lapidarietà’) di questo libro.
Ed è ancora questo che - altro apparente paradosso - fa la sua visione della letteratura meno profondamente disperata di quella di Levi. Il che naturalmente non è, né per l’uno né per l’altro, un giudizio di valore.
> Charles Reznikoff / Holocaust
2006-12-31 18:17:34|di lorenzo
grazie mille per la risposta. cosa intendi con il distaccarsi dalla prosa solo "in levare"? intendi in senso musicale o nel senso del togliere? se posso rubarti altro tempo, vorrei anche chiederti cosa intendi dicendo "non ancora poesia"? percepisci questi testi come volutamente posti in un "limbo" tra prosa e poesia? quel "non ancora" indica un "tendere" di quale natura?
di certo concordo con te sul fatto che il montaggio e la successione delle scene siano uno degli strumenti principali di "potenziamento semantico" qui adoperati. forse è solo la suggestione sempre presente nel leggere una lingua che non è la propria madre lingua a farmi percepire una eufonia e una cura anche del ritmo del singolo verso (sempre nella tradizione americana). magari appena posso provo a fare degli esempi concreti.
il paragone con Levi era un "complimento a doppio taglio": come dici tu, Levi è a tratti prosa poetica, e il ritmo è curatissimo. ma è deliberatamente prosa, mentre questo Holocaust è deliberatamente poesia, o, come dici anche tu, è "non più prosa". Dunque mi aspetterei più qualità poetica (ritmica in questo caso) dal testo, rispetto alla prosa di Levi, e non meno. In inglese la trovo - ma ancora, forse è un abbaglio - in italiano quasi per nulla. volevo sapere se era una scelta consapevole o se semplicemente il traduttore non la riconosce come elemento del testo originale.
di certo per rispondere a fondo a questi quesiti andrebbero studiate le fonti di Reznikoff e confrontate con il testo poetico. sicuramente è stato fatto, qui mi interessava soltanto conoscere le tue scelte coscienti come traduttore, che dici essere il "libro come l’ho capito".
sarebbe interessante, forse, provare un esperimento in puro stile "oggettivista": ossia prendere le traduzioni italiane dei documenti usati da Reznikoff e basare la traduzione su di esse. (?)
comunque, grazie per la risposta e per avermi fatto conoscere questo autore e questo testo.
saluti,
lorenzo
> Charles Reznikoff / Holocaust
2006-12-31 17:54:30|di Andrea Raos
Già che ci sono, segnalo un altro brano di Holocaust, con alcune utili informazioni lasciate nei commenti da una lettrice:
http://www.nazioneindiana.com/2006/03/08/bambini
Le cesure dell’italiano sono le stesse dell’originale.
Credo che Reznikoff le abbia utilizzate per intensificare (come è ovvio) ma anche per smorzare, dato che in generale non le colloca laddove potrebbero produrre più ’emozione’; e più le scene descritte agghiacciano, più il testo si confronta e lotta con la prosa, se ne distacca sempre e solo ’in levare’. Non più "prosa", non ancora - risolutamente: non ancora - "poesia".
Il ritmo, poi, mi sembra dato molto più dal montaggio e dalla scansione dei brani - cioè dall’opera nel suo complesso - che dal singolo verso.
Non ho molto da dire sulla traduzione (i criteri da me seguiti, tutto sommato, li ho esposti qui sopra: sono il libro come io l’ho capito).
Solo una cosa: "a tratti sembra di leggere Levi tagliato in versi" immagino sia un complimento, e come tale lo giro a chi lo merita davvero, cioè a Reznikoff e a Levi stesso; è certo che la perfezione ritmica, per esempio, di Se questo è un uomo, non è l’ultima delle sue qualità.
> Charles Reznikoff / Holocaust
2006-12-30 10:52:00|di lorenzo
grazie a padua per il link e a raos per la nota. ho letto gli stralci ieri sera dopo aver postato la domanda. come scrive anche uno dei critici, e come la nota sulle fonti suggerisce, non c’è intervento né sul lessico né sulle figure retoriche: "Only the records of the Nuremberg Trial and of the Eichmann Trial were to be his sources; nor would he allow himself any subjective outcry. Again the bare facts, as selected by him, would speak for themselves: there would be no tampering with the experience through imagery or heightened language." (Marie Syrkin). Ma questo non toglie il fatto che ci possa essere un lavoro - anche raffinato - sul ritmo, e di "potenziamento semantico" tramite la scelta delle cesure e la disposizione dei versi. A giudicare dagli stralci che ho letto, mi pare che questo lavoro effettivamente ci sia. (Per quanto mi riguarda, se non ci fosse, la cosa non avrebbe molto senso). Secondo voi c’è? Ho preso un abbaglio? Senza dubbio lo trovo molto meno nella traduzione italiana qui proposta. Direi che è quasi assente, tanto che a tratti sembra di leggere Levi tagliato in versi. Si tratta di una precisa scelta del traduttore? Ci può spiegare la sua idea a proposito?
Saluti,
Lorenzo
> Charles Reznikoff / Holocaust
2006-12-30 10:32:32|di Andrea Raos
N.d.A.: “Tutto ciò che segue è basato su una pubblicazione del governo degli Stati Uniti, Trials of the Criminals before the Nuremberg Military Tribunal, e sugli atti del processo Eichmann tenutosi a Gerusalemme.”
> Charles Reznikoff / Holocaust
2006-12-30 00:51:38|di Adriano Padua
Avevo chiesto a Raos anche il testo originale ma purtroppo lo ha solo in cartaceo. Ho trovato alcuni stralci del poema in un saggio. Lo segnalo così puoi avere idea di come scriveva Reznikoff.
http://www.english.uiuc.edu/maps/poets/m_r/reznikoff/holocaust.htm
> Charles Reznikoff / Holocaust
2006-12-29 20:17:07|di lorenzo carlucci
l’originale ha una metrica? un ritmo riconoscibile? probabilmente no, vero?
lorenzo
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> Charles Reznikoff / Holocaust
2007-01-02 16:10:28|di Andrea Raos
Caro Carlucci,
sì, hai capito correttamente, e la tua parafrasi è esatta. Non ho altro da aggiungere, se non che mi dispiace se non ero stato chiaro nei miei commenti precedenti.
Da parte mia ti sono grato di avermi portato a riflettere su un parallelo Reznikoff - Levi al quale non avevo proprio pensato.
Cordialità,
A.R.
http://www.nazioneindiana.com