Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

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Claudia Ruggeri: esercizi critici in assenza

di Enzo Mansueto

Articolo postato mercoledì 21 luglio 2010


Claudia Ruggeri muore suicida nell’ottobre del 1996, a ventinove anni. Rientrata nella sua casa leccese, ripiegati gli abiti, spicca il volo. Un gesto presagito, annunciato, come capita ai poeti, nei versi che la consegnano alle leggende delle voci spezzate. Come lei, per altre fatali ragioni, ma negli stessi territori, Salvatore Toma o Antonio Verri. Nata a Napoli, ma cresciuta a Lecce, sono le indimenticabili rassegne di Salentopoesia, tra anni Ottanta e Novanta che vedono Claudia Ruggeri imporre il suo inquieto mondo espressivo, barocco e caricato, instabile: alla maturità di una scrittura letterata, nutrita di echi provenzali, a pieghe manieriste e marcati tratti espressionisti, si sovrappone una teatralità istintiva e debordante. Chi poté assistere ai reading di Claudia, ricorda bene quella miscela ammaliante di sensualità e parola, quel corpo abitato da più voci. Inquietudine che monterà negli ultimi anni, accarezzati dalla follia.
Ma quel corpo non c’è più. Resta la scrittura e la sfida dello scritto con la durata della voce. Dario Bellezza colse per tempo la qualità poetica dei testi di Claudia Ruggeri, diciottenne esordiente in una Festa dell’Unità del 1985, e Franco Fortini, in un rapido carteggio con la giovane poetessa, nel 1990, pur mettendola severamente in guardia dalle insidie della maniera e dei modelli ingombranti, ne riconobbe la sostanza autentica. I versi della Ruggeri, alcuni, apparvero postumi, a due mesi dal suicidio, su un numero de «l’incantiere», encomiabile foglio poetico salentino.
Anni dopo, a prendersene cura, è l’amico scrittore Mario Desiati, il quale da responsabile della redazione di «Nuovi Argomenti», pubblica nel numero invernale del 2004 della rivista mondadoriana una sintetica ma decisiva monografia, col saggio Note per una poetessa, adesso consultabile sul sito dedicato alla poetessa scomparsa. La rivalutazione postuma approda finalmente alla pubblicazione delle opere, ancora curate da Mario Desiati, col titolo Inferno minore (peQuod 2006). Seguirà, il saggio di Alessandro Canzian, Oppure mi sarei fatta altissima (Terra d’Ulivi 2007). Altri articoli, omaggi, documentari video (come quello completato da Elio Scarciglia nel 2008) hanno dunque testimoniato l’esperienza poetica della Ruggeri.
Un punto più meditato lo mette adesso il contributo critico collettivo curato dalle Fucine Letterarie di Pasquale Vadalà, col supporto di Michelangelo Zizzi, conoscente e interprete della poetessa: La sposa barocca – Sette saggi su Claudia Ruggeri (LietoColle 2010, pp. 120, euro 13). Il libro, prefato da Zizzi, raccoglie i contributi di Andrea Cassaro, Mario Desiati, Stelvio Di Spigno, Andrea Leone, Flavio Santi, Carla Saracino e Mary B. Tolusso. Il risultato è un profilo critico, militante e appassionato, sfaccettato, e perciò coerente con l’oggetto stesso (il segno poetico della Ruggeri è squisitamente plurale): dalle intuizioni storico-letterarie di Fulvio Santi, che circoscrive una “linea” di emittenza letteraria meridionale, alle dotte riflessioni su oralità e recitativo di Andrea Cassaro; dall’analisi del sostrato mitico di Di Spigno, alle riflessioni metaletterarie della Saracino, al ricordo di Mario Desiati; dalla riflessione sull’Epos maledetto di Leone, alle analisi psicologiche su voce e identità della Saracino.
Insomma, una centrifuga, provvisoria, plurivoca interpretazione di una esperienza poetica contemporanea, che infine, però, forse, non riesce a cancellare l’idea che la pagina scritta a stento restituisca un poetare, che, animato dal demone istrionico, germogliava fuggevole negli spazi impraticabili tra atto e presenza, tra voce e parola, tra corpo e memoria.

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