Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Il primo tassello di una raccolta in fieri. In allegato una casalinga registrazione audio.
***
Dirottiamo aeroplani di carta nei giorni di vento
Dirottiamo aeroplani di carta nei giorni di vento
Tramontana ci porta lontano e maestrale ci impenna
Nella stiva fa freddo si ghiaccia si gelano gli occhi
Non si vedono piste e non sono previsti atterraggi
Ci copriamo con pacchi-lenzuola e con coltri-bagagli
Incrociamo gli sguardi ma senza azzardarci a parlare
Che l’ossigeno è poco e il pensiero si ossida presto
Ci conforta il reattore che sparge potente il suo canto
Ed è come l’apnea delle prime nuotate in piscina
O la faccia contratta nel vetro del treno che parte
Ci mettiamo a soffiare a soffiare pensando alla luna
Si potesse saltare aggrapparsi coll’unghie a dei cirri
Poter dire una volta di avercela avuta la testa fra le nuvole
A giorni alterni qui crollano le case in tutte le stagioni
Nelle macerie si gioca a nascondino prima dei soccorsi
Liberatutti canticchiano le ruspe e arrivano i becchini
Scrivono i corvi con tremuli becchi la lista dei dispersi
Con le bombe facciamo palleggi di testa di piede di mano
Piroette sgambetti e passaggi fin quando non cade per terra
È un saltare di dita che pare la festa del primo dell’anno
A ciascuno il suo scoppio a ciascuno il tripudio di fuochi che spetta
Come stelle filanti le dita ricadono ognuna al suo posto
Ci si stringe le mani e stringendo si aspetta che faccia mattino
Zoppicando torniamo alle nostre baracche con meno coraggio
E c’è sempre qualcuno che arriva e controlla e ci conta e ci dice
Che nel campo si tace si dorme si muore anche il sogno è proibito
Siamo scorie eccedenze rovine del tempo robaccia che brucia
Riciclarci per cosa e per chi riciclarci per fare che cosa
Mentre grida ha negli occhi decine di metri di filo spinato
Col suo filo faremo una fune che sale alla volta celeste
Poter dire una volta di avercela avuta la testa fra le nuvole
A giorni alterni qui crollano le case in tutte le stagioni
Nelle macerie si gioca a nascondino prima dei soccorsi
Liberatutti canticchiano le bombe e sparano i cecchini
Scrivono i corvi con tremuli becchi la lista dei dispersi
49 commenti a questo articolo
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-24 01:53:28|di Christian Sinicco
Luigi, non mi pare abbia sbrodolato. Anzi, esattamente l’opposto. Ho parlato di un elemento, non proprio così integrato, e sottolineo questo termine.
Ciò che scrive Ricciardi, non lo condivido; il suo scritto si fonda su una questione di piacere personale (legittima), ma non c’è un’analisi, minima, del testo da parte sua, che supporti quanto scritto: dunque non è una critica.
Tutto ciò però non immunizza la discussione se qualcun altro ti muove appunti, bada bene a partire da un unico testo; cioè non serve spostare l’attenzione su Ricciardi, o sul lettore che non commenta, o su eventuali confusioni metatestuali.
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-23 09:47:18|di Luigi
ps:
Christian, non c’entra la suscettibilità, il fatto è che fare presente in maniera amichevole, come tu scrivi nel commento, a me non piace. Non ci sono amici o nemici di fronte a un testo. Se uno scrive da amico, rischia di - passami il termine - sbrodolare, essere approssimativo, perché si esprime con un lunguaggio intimo condiviso con l’interlocutore, sottende cose e pensieri che possono dare all’esterno un’immagine contraddittoria; se è nemico vede solo la preda, la distruzione dell’opera e dell’autore che l’ha formata (e il bottino? mah). Dobbiamo sforzarci, quando critichiamo un’opera, di chiunque essa sia, di padroneggiare sempre un linguaggio il più tecnico e oculato e e ac-curato (che cura i dettagli e che si prende cura dell’altro) possibile, e di evitare l’impressionismo, incoraggiato di per sé dalla forma-blog-mordiefuggi.
Per esempio, come ho detto sotto, nonostante l’abbia fatto in modo - dice, e gli credo - sincero e limpido, il commento di Jacopo Ricciardi è secondo me figlio di quell’impressionismo critico, con una serie di giudizi buttati qui e lì, senza motivazione - sensazioni. Sì, posso ringraziare una persona di aver "buttato via" del tempo per leggermi e scrivermi, ma poi serve un terzo momento, di elaborazione formale della riflessione/analisi critica, anche se viene da un poeta e non da un critico.
Inoltre c’è un fatto: la maggior parte, direi almeno il 90% delle persone, stando alle statistiche (anche in questo caso), clicca, legge e non lascia commenti. Magari scrivono quello che pensano via mail, o lo dicono a voce (anche molto tempo dopo, o per interposte persone; certe, sconosciute, trovano la mail in rete e scrivono). Mi viene da pensare: è fisiologico che una buona fetta di persone non voglia esporsi, vuoi per timidezza, o vuoi perché non è talmente presa dalla materia. Ma altre potrebbero farlo e non lo fanno:
1) i non-operatori del settore: non poeti, non mega-appassionati di poesia, passano per caso, attraverso google, e non lasciano commenti perché intimoriti dal tenore della discussione (spesso su AP ci si scontra aspramente, ogni tanto lo scontro genera prospettive nuove e inattese, altre volte si deforma in pura caciara);
2) gli operatori del settore, i poeti, etc., arrivano sul post con coscienza, seguono tutti i commenti o quasi, e non entrano nel dibattito: credo alcuni siano infastiditi dai toni (seguono per curiosità, o per poi riferire a questo o a quell’amico, dicesi: gossip); altri - e questa secondo me è la realtà maggiore- hanno paura di essere triturati da questo o da quello, come dire: timore di esser messi alla gogna.
Personalmente vorrei che AP mantenesse uno spirito battagliero, ma mi piacerebbe fosse un po’ smorzato il tono, in modo da incoraggiare a entrare nelle questioni anche neofiti o non addetti ai lavori.
Ho provato a pensare all’inverso: un blog di astronomi, in cui bazzicano astronomi, alcuni conosciuti, altri meno, con accese discussioni su stelle, pianeti, etc.: io, da amatore o completo inesperto, mi introdurrei mai, per dire la mia? una risposta sola: ABSOLUTELY NOT!
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-23 09:06:21|di Luigi
No, io parlo di CONSENSO. Che è tutt’un’altra cosa. Chiudiamo qui. Ciao e grazie a tutti!
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-23 01:19:54|di Christian Sinicco
e no Luigi, io parlavo del testo. Parlavo di elemento noi, la cui scelta (tua, di colui che ha fatto l’opera) ovviamente non è casuale, per questo parlo di atto politico: sei tu l’arbitro di quella scelta.
Ciò che ti faccio presente (prima in maniera amichevole...a prop., quando scrivevo aggiustatine, hai risposto in modo un po’ permaloso, ma non stavo smontando il tuo testo, che rimane tale e armonioso, stavo trattando da una mia riscrittura, per farti comprendere da questa comparazione che il noi non era un elemento così operativo! ci sei?), vista la tua risposta, è che essendo questo noi così frutto di un tuo atto politico, cioè l’hai messo lì a fare il presidente del consiglio, ciò che mi aspetto è che nel proseguio dell’opera vi sia un approfondimento di questo elemento. Tutto qui.
Se non fai questo approfondimento, pazienza, rimarrà questo dettaglio dell’opera che mi convince di meno.
Poi, da quello che dici, pare che la poesia sia una cosa che se va bene piace; e se non va bene, l’autore se ne lava le mani.
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-22 11:57:39|di Luigi
Christian, la discussione è secondo me palesemente conclusa. Lo dimostra il tuo "aggiustatine". Io non do aggiustatine, non sono un parrucchiere (con tutto il rispetto per la professione). Dai, plaese...
Il ’noi’ mimetizza il ’sé’: messa così è una ovvietà allucinante. Ovvio che mentre scrivo non scrivo insieme a 20/200/+ INFINITO persone(-autori) in carne e ossa, quindi è ovvio che sono sempre io a scrivere. E’ lo stesso discorso per chi pianifica la distruzione dell’io lirico: non è pur sempre un soggetto singolo (anche se dall’inconscio frammentato, schizzato, multiplo, malato) a scrivere? Dunque anche in quel caso sarà mimesi del sé, no? Anche scrivere dei lacerti e poi ficcarli in un software-frullatore è un gesto che proviene dall’io, il risultato non è una mimesi del sé anche quella, anzi, forse anche più realistica, delle altre? Il fatto è che parlavo ad un altro livello, parlavo di NARRATOLOGIA: tu stai confondendo l’AUTORE REALE con il NARRATORE!
Infine: quando tu chiedi: perché dovrei aderire? E’ una domanda retorica, alla quale rispondo così: non aderire! Ma l’effetto che volevo è riuscito, ed è proprio questo - far chiedere al lettore/ascoltatore: perché io dovrei stare dentro quel noi? Domanda che invece è arduo assai che un lettore si ponga di fronte a un ’io’, ti immagini? ’Io’ sovrapposto a un altro ’io’, nooooooo, brrrrrr, che schifo, aiuto. Ciò accade solo se c’è immediata e profonda empatia con quell’io. Ma a me non interessa la sovrapposizione. L’atto politico è nell’incitarti a formulare la domanda: io in quel noi? Sì, no, subito, non sia mai, sono risposte che hanno a che fare con il CONSENSO, e il consenso non ha che fare con la poesia, piuttosto con la politica.
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-22 03:56:43|di Christian Sinicco
questo "noi" cosa è, qui, nel testo? Questo "noi" alla fine mimetizza un sé, il tuo... non è il portante di ciò che dici nel testo, non è nemmeno il risultato - è un elemento, in massima parte privo di una funzionalità operativa, se non come atto politico.
Se lo elimini, noterai che il testo, con due aggiustatine, sta pure in piedi: è evidente che il "noi" è un tuo atto "politico", cioè vuoi che sia il nostro "noi", ma io ti chiedo: perché dovrei pensare che lo sia, perché dovrei aderire ad esso nell’opera? Perché dovrebbero essere mie, in quanto nostre, queste azioni enumerate?
A questo ovviamente puoi pure rispondere con un altro testo, altrimenti gli elettori non ti votano, e addio elezioni:-)
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-22 00:11:10|di Luigi
Christian, il ’ci’ ripetuto 20 mila volte, secondo te, è messo lì.. a caso? Insistenza fonica: c-c-ci-ci-s-s-s-siamo, ecco-ci entrati, in scena, noi-altri, eccì!
Tireremo le fila alla fine. Per il momento ringrazio tutti coloro che hanno detto la loro, sia qui che privatamente via mail - alcune osservazioni e critiche mi saranno utili nel prosieguo.
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-21 15:40:25|di Christian Sinicco
Mi hai capito male sui massimi sistemi...in ogni caso, una volta ultimata la seconda parte del poema disumano, vedremo (e tireremo i fili in quel momento). Riguardo l’intrusione di altri soggetti, beh, l’hai introdotta tu una terza persona singolare, ad un certo punto, no? Hai scelto il finale, e si capisce che è una scelta motivata...ci conosciamo troppo bene. Sottolineo solamente come questa scelta risulti più avvincente della reiterazione del "noi", dei ventimila (8) "ci"...avresti potuto optare per farlo anche nella prima parte del testo, scegliendo pure un tu, un voi, un io...spostando l’attenzione per un attimo, quello che basta. Sei tu che hai creato il precedente, non so se mi spiego...non io:-)
DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-21 14:55:45|di Luigi
ps:
altri due consigli per gli acquisti:
Fiabe dalle Colline dei Rifiuti della scrittrice turca Latife Tekin;
Mike Davis, Il pianeta dgeli slum.
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DIROTTIAMO AEROPLANI DI CARTA NEI GIORNI DI VENTO
2007-04-24 10:48:28|di Luigi
Christian, davvero a volte faccio fatica a capirti. Comunque non sposto nulla, dico semplicemente che, per me, la discussione è terminata - nel senso che ho acquisito abbastanza dati e suggestioni, e ora scatta il momento della ri-elaborazione, e del silenzio (mio).