Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
LE RICORDANZE
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l’aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l’aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre de’ servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l’età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m’odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz’amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol de’ malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch’ho appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l’allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell’arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell’ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M’era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l’acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d’affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l’onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m’avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l’avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell’imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L’esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d’affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d’angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell’acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
De’ miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai co’ silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l’accolga e chiami?
Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! e di te forse non odo
Questi luoghi parlar? caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond’eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l’abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L’antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D’ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
17 commenti a questo articolo
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-19 01:47:37|di Martino
[...] ed aspro a forza
Tra lo stuol de’ malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch’ho appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l’allor [...]
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-18 23:14:12|
Un caro saluto, Lorenzo.
Fammi scherzare un po’, che ne ho bisogno!
Un abbraccio di stima e di affetto ai redattori di Absolute.
Gianfranco
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-18 18:17:39|di lorenzo
sai dunque gli altri, e ciò sia sufficiente.
lorenzo per intero
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-18 18:03:50|
Franco a metà, ma forse Gianni a mezzo. I’ non lo so chi legge o non legge, e in base a che cosa forse lo legge o forse no.
Gianfry
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-18 17:58:00|di lorenzo
gianfranco, franco a metà, poveri i posteri se ancora parleranno, di chi mette due spazi tra ogni punto " . ", di chi nel cassettino, con la pistoletta, ha chiuso pure il referente, o di chi, beato d’un edulcorato allegorismo, legge e non legge.
lorenzo
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-18 17:54:25|
Vedere ’i vorrei cosa diranno li posteri del nostro tempo ( sull’arte che si fa oggi del verso). Ponso preso a sberleffi; Sinicco, spluledrato assai dalla metropoli; Massari con assai falcidia de’ punti dimagrito; Gezzi, deriso per la sua marchigiana stazza; gl’inglesi e gl’italiani di quel dell’Atelier; Fantuzzi e Fantuzzini; Ariani & Cangianini; Davoli macerati; ecceterà ecceterà.
Gianfranco
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-18 14:15:41|di Christian Sinicco
mi sa che ti scriverò qualcosa di immortale, l’aggettivo grande è troppo limitante Carlucci. Cmq la cosa che mi piace di più della questione Baldus, è il lavoro sul dialetto, che non è lavoro, è poesia e basta. Siccome su altri siti si parla solo della funzione politica del dialetto, in antitesi alla società attuale, e io mi son spaccato i maroni di queste semplificazioni, riprenderò la riflessione di Baldus, significativa. Posso dire che a me la poesia di Manzoni mi piace un sacco? Lo so che ci sono troppi cori, e che sembra di essere nell’800, ma magari lo salviamo:-)
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-18 08:50:02|di lorenzo
certo silvia per questo sono possibili autori grandi come sinicco e me soltanto oggi. isella se n’è reso conto.
lorenzo
Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-18 02:12:40|di molesini
Ho letto da poco un libro piuttosto interessante, "L’idillio di Meulan" di Dante Isella, filologo.
Sostiene, questi, che la lingua italiana, diversamente da altre belle lingue madamadorè, sia in pieno rinascimento (o risorgimento?)perché praticamente nata con Manzoni nella metà dell’ottocento.
Gli fa dire questo la separazione imponente tra italiano scritto (piuttosto sapientone e tutto filologato) e italiano parlato non ancora per niente nato pressapoco centocinquanta anni fa.
Fautori del rinascimento del secolo diciannovesimo : l’unità d’Italia combattuta a sangue, i bravi congiuntori della lingua (che però ahiloro sciacquavano i panni in Arno) e, udite, udite, i grandi dialetti, vere lingue parlate e scritte con rinnovato ardore e fior di dizionari
"gergali" dal Manzoni stesso e Dossi e Porta e altri... Da questi arriva a Gadda, ne fa una "funzione".
Sembra, insomma, che la nostra lingua vera sia giovanissima, e che proprio adesso si possa passare alla sua fase matura.
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Di cosa parliamo quando parliamo di poesia
2007-06-19 10:30:53|di Martino
Pare che il Poeta, dopo aver scritto questi versi, presagendo con pessimismo gli sviluppi futuri della poesia italica, si sia lasciato sfuggire un "ma che ve lo dico a fare...".