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Domenico Pinto su Le api migratori

recensione apparsa su Alias del 9/2

Articolo postato venerdì 15 febbraio 2008

Riporto di seguito una recensione di Domenico Pinto, benemerito curatore della collana Arno per Lavieri, all’ultimo libro di Andrea Raos, ovvero Le api migratori. La recensione è apparsa su Alias la settimana scorsa ma magari è sfuggita a qualcuno o magari qualcuno ha voglia di rileggerla. Eccola:

“Dopo il volume Aspettami, dice (Pieraldo 2003), in cui erano adunati i versi del decennio 1992-2002, Andrea Raos, yamatologo vagante e propulsore, dal blog collettivo Nazione Indiana, di tanta poesia contemporanea, ha chiuso in libro il disegno di un epos fantascientifico in cinque tempi: Le api migratori (Oèdipus, collana «Liquid», pp. 136, € 10,00). Scheggiato via da un filone quasi esaurito, che ha l’archetipo nel film The Swarm (1978), Le api ricava dai topoi cinematografici la propria armatura narrativa; tuttavia, come spesso è dichiarato ad incipit dei ‘film di mostri’, si tratta d’una storia vera: nel 1956 furono importate in Amazzonia dall’Africa, allo scopo di creare una specie più produttiva, api da ibridare con quelle locali. Una mutazione produsse le cosiddette «api assassine», che fuggirono dal laboratorio e migrarono verso nord, risalendo il continente americano fin nel cuore del Nevada, per seminare il panico fra la popolazione. Da questa sinopia Raos avvia un’intensa riflessione sull’era della tecnica e sulle meccaniche che incessantemente distruggono e riformano i tessuti della società. La prospettiva sarà, ancora una volta per speculum in aenigmate, quella degli api militari – con forzatura morfologica già nel titolo, dove è grammaticalizzata la mutazione – pronte a eseguire quanto inscritto nel loro DNA: nella parte prima (Api-muta. Inverno, autunno) lo sciame è agito dal raptus micidiale («Ed ora che passato / passava tutto, intero, per intero, / e su ciò che diventa, si avventa»), ossessione di consonanti liquide («Terra, terra, terra tremante, terrosa, terra / trema, trova, terra, torrente, torre, terragna, terra / tirata, tratta, stretta, terra, terramara / erra, rena, nera, nero, era») che d’improvviso comunicano a distanza con le «fere», i delfini mana di morte in Horcynus Orca («Che freme, fera, e che pertugio, che si inclina, nera, che si incrina, sfera»). All’interrogazione verso l’origine, il cui apologo è tracciato dalla Favola delle api («Ma come è cominciato, che divisi? / Adesso è come sera, che mattina, cosa dicono, che buio») seguirà la splendida sezione del Dialogo delle api con Marco Anneo Lucano, dove vengono rifusi moduli della Farsaglia, alimentando, attraverso un altro Vexierbild, i quadri con segreto della nostra contemporaneità. Per questa «iniezione del fantascientifico nel testo lirico» (secondo una felice formula di Gherardo Bortolotti), per gli esiti raggiunti da una frantumazione melodica e sintattica sagomata sul pensiero dell’alterità assoluta, serrati nel suo orizzonte i furori della PlayStation e i romanzi di Hans Henny Jahnn, Le api migratori rappresenta veramente un unicum nel nostro scenario poetico. «Non è niente nascere: è un cominciare, un fremere, un cominciare a fremere. / Trema, premere. / E non sa niente crescere, non crede a niente. / È fruscìo di qualche onda. / Mentre scrosciano gli anni / simula il dissimile / questo frusciare d’onda. E intanto il sempre uguale / che chiamato fiato».”

1 commenti a questo articolo

Domenico Pinto su Le api migratori
2008-02-16 20:49:37|di maria valente

bellissima recensione e bellissimo libro. grazie ghererado


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