Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
In questi giorni di crisi politica, giudiziaria, istituzionale, economica, in cui la sensazione è di fare la fine dell’Argentina, le voci dei poeti non esistono. I giornali e le televisioni invitano vip del piccolo schermo e del piccolo parlamento: i commentatori tuttologi in grado di commentare qualsiasi evento globale. La depressione monta, assieme alla rabbia. Proprio ieri sera se ne parlava con altri poeti, a Lubiana. Il fascino del paese con gli abitanti più giovani d’Europa, in cui pare che tutto vada bene, in cui la letteratura si continua a fare sulle riviste con la stessa vitalità e partecipazione che circolava da noi 40-50 anni fa, quel fascino ha acuito la nostra disillusione. E in macchina, sull’autostrada in cui sfrecciavano i bolidi degli ex-proletari arricchiti, ci siamo trovati a trasognare un cataclisma tricolore: un terremoto, un’eruzione, un maremoto, oppure una guerra, un’apocalisse qualsiasi che ci dia la possibilità di ricostruire tutto daccapo. Di rimboccarci le maniche e spalare nelle macerie, mezzi morti ma con qualche speranza in più. E’ un’idea malsana che si insinua tra i pensieri, da tempo, come una bramosia inestinguibile. E leggere - come avrete modo di fare qui di seguito - che da altre parti i poeti vengono arrestati, perché la loro voce è ancora pericolosa, mi ha fatto provare un moto di invidia. Ho ripensato al sonetto XXXII nella bocca di Pasternak. Era coraggioso attaccare Stalin. Sì, ma se Pasternak fosse vivo oggi, e se ne stesse qui, nel Monnezza-Bel-Paese, "32" a chi lo rivolgerebbe? Chi gli consegnerebbe un microfono in mano, chi gli punterebbe contro una telecamera? Chi gli darebbe credito? Quale De Magistris lo farebbe arrestare?
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Salom Paolo, "Corriere della Sera", 25 gennaio 2008
L’ autore del componimento è stato subito arrestato
Il poeta di San Valentino beffa i generali birmani
Attacco al regime nascosto nei versi d’ amore
DAL NOSTRO INVIATO RANGOON - Vietato parlare d’ amore. Vietato scrivere poesie. Vietato, soprattutto, farsi beffe del regime birmano. Anche se con parole innocenti. La polizia segreta ha arrestato nei giorni scorsi il poeta Saw Wai autore del componimento «14 febbraio», un’ ode ai sentimenti in vista della giornata internazionale degli amanti. Versi fin troppo zuccherosi e magari scontati («Bisogna essere innamorati sinceramente, follemente, profondamente e poi lo si può definire vero amore»). Ma non è certo questa la ragione del provvedimento. La poesia in lingua birmana di Saw Wai, infatti, nasconde un acrostico irriverente, una beffa al regime smascherata non appena la rivista su cui è comparsa, A chit, o «Amore», è andata a ruba nelle edicole di tutto il Paese. Leggendo in verticale la prima parola di ognuno dei sette versi l’ insulto appare chiaro: «Than Shwe è assetato di potere». Orrore e raccapriccio: come ha osato Saw Wai attaccare il generalissimo, il leader indiscusso della giunta militare? Come si è permesso di provocare scoppi di risa a ripetizione nell’ intimità delle famiglie birmane? Come ha potuto prendere in giro persino i vertici della rivista letteraria, sodali dei militari attenti a non mandare in stampa scritti che non siano innocui sussurri di buone intenzioni? In Occidente, durante il Sessantotto, si gridava: «Una risata vi seppellirà». Nella Birmania appena uscita dalla rivoluzione zafferano, affamata, repressa, disperata, anche una poesia può fare paura a chi ha usurpato illegittimamente il potere. I militari lo sanno: nessuno, al di fuori della loro casta, li ama. Than Shwe, in particolare, è il bersaglio di insulti popolari creativi quanto ingenui (è accostato a un cane, un bue, un asino, oppure è definito semplicemente «il più stupido del Paese»). Ma - nell’ apparente controllo totale sulla popolazione - in realtà sono proprio gli artisti a esplorare ogni possibile breccia nella cortina di terrore, ricavando esigui spazi di libertà che portano sollievo momentaneo all’ ottusità della vita quotidiana. Non c’ è solo il coraggioso Saw Wai, finito nei guai più volte in passato. Ci sono anche i membri della troupe «I quattro frutti», che hanno inventato battute sulla recente rivolta repressa nel sangue. Ma soprattutto i «Moustache Brothers», i Fratelli Baffi - Par Par Lay, Lu Maw e Lu Zaw - che, nel West End di Mandalay, sulla 39esima strada, mettono in scena ogni sera la loro personale parodia della vita in Birmania, le loro pernacchie al regime. Li incontriamo poco prima dello spettacolo nella loro casa-teatro, sorvegliata a distanza dagli agenti della polizia segreta. «Non hanno il coraggio di entrare, quelli lì», ci dice beffardo Lu Maw, nel suo inglese fantasioso che ricorda un po’ il Grammelot di Dario Fo. Il teatro dei Moustache Brothers si chiama A-Nyeint. «È un po’ come la vostra Commedia dell’ Arte - spiega l’ attore -. La vita di tutti i giorni, con le sue durezze, i soprusi dei militari, la corruzione, entra nei nostri spettacoli in forma di risata. È una tradizione antica». Par Par Lay, il leader del gruppo, tra settembre e ottobre scorsi, si è fatto più di un mese di prigione. «E non era certo la prima volta - ghigna Lu Maw -. Mio fratello e il cugino Lu Zaw sono stati condannati nel 1996 a sette anni di lavori forzati. Motivo? Avevano fatto divertire Aung San Suu Kyi durante uno spettacolo di fronte alla sua residenza di Rangoon». Per le proteste internazionali sono stati liberati dopo quattro anni: «E noi siamo ancora qui, a ridere del regime. Per non piangere».
La poesia Il componimento del poeta Saw Wai si intitola «14 febbraio» I versi La poesia dice tra l’ altro: «Bisogna essere innamorati sinceramente, follemente, profondamente e poi lo si può definire vero amore». E si chiude così: «O voi milioni che sapete come amare per favore applaudite con le vostre mani coperte d’ oro e ridete a squarciagola» L’ acrostico Le prime parole di ogni verso diventano: «Than Shwe è assetato di potere».
30 commenti a questo articolo
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 19:53:21|di erminia
la fonte? ma perchè, lei non ne è al corente, essendo un parlante della lingua italiana? cmq, prendiamo un dizionario a caso: il De Mauro (che ne offre una definzione simile agli altri) - ma laprego, ora...legga attentamete questa fonte.
fa|scì|sta
agg., s.m. e f.
1 agg., s.m. e f. TS stor., militante dei Fasci dei lavoratori
2a agg., s.m. e f. FO seguace, sostenitore del fascismo o dei movimenti di estrema destra che a esso più o meno dichiaratamente si richiamano: un convinto f., un picchiatore f.
2b agg., s.m. e f. FO estens., che, chi si comporta in modo autoritario, reazionario e antidemocratico, o impone le proprie convinzioni con violenza brutale
3 agg. FO del fascismo, dei fascisti: regime f., un giornale f., metodi fascisti
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 19:41:37|di erminia
in direzione "velleitaria" (come diversivo e falso "abbraccio"):
"[...]E in macchina, sull’autostrada in cui sfrecciavano i bolidi degli ex-proletari arricchiti, ci siamo trovati a trasognare un cataclisma tricolore: un terremoto, un’eruzione, un maremoto, oppure una guerra, un’apocalisse qualsiasi che ci dia la possibilità di ricostruire tutto daccapo. Di rimboccarci le maniche e spalare nelle macerie, mezzi morti ma con qualche speranza in più. E’ un’idea malsana che si insinua tra i pensieri, da tempo, come una bramosia inestinguibile [...]" Luigi Nacci
e.
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 18:22:18|di Gabriele Pepe
Ma poi è veramente questa tragedia il crollo dell’occidente? La storia ci insegna che tutto ha una fine persino gli imperi millenari. Oggi nuovi protagonisti si affacciano sul bordo della storia e nessuno di noi può neanche lontanamente indovinare dove questo cambiamento ci porterà. Al massimo possiamo immaginare e questo è o almeno dovrebbe essere uno degli aspetti dell’arte . Che l’italia sia putrido cadavere in decomposizione mi pare difficile da rinnegare. Ho perso da tempo ogni speranza di riscatto e cambiamento. Confido solo negli inevitabili futuri territori del meticciato. Il mondo non finisce con le nostre piccole vite e i nostri insignificanti pochi secoli. Pensate ai dinosauri o a Lucy, che è rimasto della loro gloria? Fossili e polvere. E vivaddio che così dev’essere!
pepe
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 18:13:01|
Oh, my god!
Mi sento profondamente offeso dalla frase “comunismo sinonimo di omicidio”.
Ne chiedo l’immediata cancellazione!
ng
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 16:14:46|di gianfranco franchi
Qualche osservazione.
"In italiano, reazionario è sinonimo di fascista". > attendiamo la fonte. Il fascismo nasce dal socialismo rivoluzionario. Curiosa questa sua lettura storico-politica.
*
"tradizione che vedeva nella guerra un male necessario, così come la bomba su Hiroshima".
> o il bombardamento di Dresda e di Zara. Infame e insensato. O i milioni di morti figli del comunismo in tutto il Novecento. Record assoluto per le ideologie totalitarie; primato per lo sterminio etnico (ucraini) rispetto ai nazisti. "Comunismo" sinonimo di omicidio. Riusciamo a dirlo?
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Scrive: "la guerra come un male necessario a fare pulizia per consetire a chi la guerra la sogna di ricostruire sappiamo bene in quale direzione"
> Forse lo sa soltanto Lei.
***
Anarchismo nero? Questa poi. A chi si riferisce? Sa cosa significa "anarchismo nero" per averlo letto su "Il Manifesto"? Ha mai conosciuto un anarchico nero che sognava la guerra?
Che meraviglia.
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scrive:
"andare piuttosto a fare il mestiere di poeta all’estero, magari in Lithuania, visto che ivi ha tanti cari amici poeti?
(...) benchè depresso e disilluso, ormai non più giovanissimo neanche lui",
> ed ecco il personalismo e il pettegolezzo. Alè.
Sia cortese. Ragioni.
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 15:24:58|di erminia
grazie maria dell’intervento.
non è un problema mio o di nessuno se, in italiano, reazionario è sinonimo di fascista.
certo deve essere scomodo sentirsi accostati a questa tradizone che vedeva nella guerra un male necessario, così come la bomba su Hiroshima.
quanto a me, il brano più lo leggo e più lo trovo chiaro,lampante.... è un allegorismo bieco, che vede città italiane sterminate e ridotte in macerie... che vede la guerra come un male necessario a fare pulizia per consetire a chi la guerra la sogna di ricostruire sappiamo bene in quale direzione, secondo le proprie non chiarite speranze. era quel progetto che andava chiarito. non la necessità della guerra - che a quella teoria paradossale, appunto, ha già pensato Nietzsche, e tutto il resto è citazione e clone.
quanto a me, e a quelli come me, le macerie d’Italia (o di nessuna altra nazione) non le vorrei vedere mai, perché sotto le macerie non ci sono solo gli oggetti da depredare dagli sciacalli, ma ci sono - e forse questo luigi nacci non l’ha considerato, preso nel suo bisogno di umorismo - i corpi dei morti, delle vittime...
men che mai vorrei vedere l’Italia sotto le macerie di bombe - né bombe terroriste e nemmeno bombe di una guerra - mi spiace, così dicendo, di mortificare la fantasia di nacci! anzi spero che queste sue fantasie restino relegate alla sua stanza, alla sua pagina e non diffuse dai palchi.
venendo da terra vulcanica e da nazione fortemente sismica, di terremoti devastanti, di compatrioti e conterranei morti sotto le macerie ne ho visti eccome e sono destinata probabilmente a vederne ancora, ed anche, magari, a restarci sepolta, insegnando in una scuola proprio sotto il Vesuvio...
(delle speranze espresse dal nacci, come nel 1981, da certi settentrionali nelle salumerie del nord, di un terremoto purificatore, o cataclisma regolatore, che causi macerie, ho già espresso il mio sconcerto, ma non credo che Zeus lo accontenterà per il piacere di farlo,... mentre della sua infelice idea che, mancando il terremoto o il cataclisma, debba esservi una guerra a fare pulizia, ribadisco che vedo l’arrogante anarchismo nero.)
non sarebbe preferibile per il nacci esiliare? smettere si desiderare la morte e la distruzione della propria nazione e andare piuttosto a fare il mestiere di poeta all’estero, magari in Lithuania, visto che ivi ha tanti cari amici poeti? non per essere scortese, ma a me questo suo malaugurio della guerra o del terremoto sull’Italia mi allarma.
se un giovine di Trieste o Messina non è contento della situazione e non immagina ( o non ha) strumenti positivi per porvi rimedio..lse ne vada, lo faccia: mica è obbligatorio essere italiani? stare in Italia!?
poi credo che tra il dire e il fare non ci sia tanto di mezzo il mare…
in realtà, a nessuno frega nulla di quello che, benchè depresso e disilluso, ormai non più govanissimo neanche lui, viaggiando in macchina dopo una delle sue gite a est di Trieste, tragicamente spera il poeta nacci.
svevo era tutt’altro discorso: la sua bomba era posta in termini psicologici soprattutto,ed era intesa in senso autodistruttivo, come elemento partecipante ad una società che si annichila, da sé. la sigaretta era la miccia.
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 14:59:45|di gianfranco franchi
Perdonate.
Luigi non ha bisogno di difensori; ha espresso con grande chiarezza un sentimento che fatico molto a credere non sia condiviso. La triestinità - provare a illustrare e spiegare si può, interiorizzare e capire è chimera - è una forma di preveggenza; in quella frontiera
tutto quel che accadrà è anticipato. Dovremmo considerare i letterati triestini quasi come indovini.
*
Sentire piovere grottesche accuse di visione "fascista" della realtà - la domanda semplice è: cosa significa "fascismo" per certi intellettuali e certi artisti? Semplicemente coincide con l’apocalisse o con la morte? - inevitabilmente convince a cercare altrove le origini e i termini della questione.
Direi piuttosto che "totalitario" e propagandistico è scivolare nei personalismi e fuggire dai contenuti e dagli argomenti. Vecchia tattica comunista è ad esempio pizzicare sul personale o spettegolare sul privato, quando altro non si ha da dire; decisamente grossier, e facilmente smontabile. L’impatto grottesco di certe osservazioni - di certe accuse - è vagamente malinconico. In altre parole, abbiamo appena assistito a una vicenda così sintetizzabile:
un poeta ha detto che piange la sorte della nostra società e della nostra patria, che per corruzione e decadenza sta morendo; e per rabbia e consapevolezza ha scritto che spera che questa morte venga in fretta, e che si possa rinascere una volta ancora con altro spirito, e diversa speranza.
Nel silenzio s’è alzata una manina per dire "fascista", perché evidentemente a qualcuno questa realtà va bene così. A qualcuno vanno bene questo clima politico, questa situazione editoriale, questo sistema di informazione. Non ne dubitavo.
Ma mi scoccia molto che, come nei polverosi centri sociali di una volta, non appena qualcuno ha il coraggio di dire qualcosa di diverso ecco che si ritrova tacciato di fascismo. Tra tante offese e tanti insulti, sempre il più ideologico e fuori posto (animo: questo è il 2008! E’ finita...).
***
La condotta successiva di Luigi - la cancellazione di messaggi sempre virati sul personale, contenenti riferimenti a mail o conversazioni private: e non è la prima volta, se non ricordo male - è esemplare.
Si parli d’arte e di intelligenza e di libertà, non di cazzi propri (o peggio: del prossimo).
Scomodare poi grandi nomi del passato, estranei proprio alle dinamiche del pettegolezzo e della cattiveria, rattrista. Dateci speranza: la poesia è libertà e morte delle ideologie altre dalla nostra, quella dei letterati - l’indipendenza, l’autonomia, l’estraneità ai dogmi e al loro lessico: rosso, e nero. A noi interessa la frontiera ultima: l’essenza del linguaggio, l’essenza delle arti.
Delle beghe dei partiti e dei debiti e dei vizi dei poeti ce ne freghiamo.
Salut
gf
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 14:19:49|di luigi nacci
sai che c’è maria? è che penso che a molti di noi manchi il senso dell’umorismo. molto prendersi sul serio, nella vita e in poesia. in italia. qualche km più in là, direzione nord-est, non mi pare sia proprio così. e difatti il ghigno (pesantissimo) di bernard non è mica italiano, come non lo è il ghigno (pesantuccio) di kraus. leggiti, se non l’hai già fatto, fresco fresco in traduzione italiana per fazi, necropoli del triestino-sloveno boris pahor. magari ordina l’ultimo romanzo di pierri, l’analfabeta etico (battello). pensa ai versi caustici di kosovel, il più grande poeta sloveno del ’900, nato sul nostro carso:
bella, oh, bella sarà la morte dell’europa, / splendida come una regina tra gli ori / si stenderà nella bara dei secoli oscuri. / perirà in silenzio. così chiude / gli occhi d’oro una vecchia regina. / tutto è estasi, estasi di morte!
pensa alla sentenziosità provocatoria di slataper. quando scrive nel 1909 su "la voce" che trieste non ha tradizioni di cultura e fa andare su tutte le furie la borghesia e l’intelligenzia della città, vorrebbe svegliarla dal suo torpore, torpore in cui si sente anche lui impigliato. perché sente vicino il crollo di una civiltà (la finis austriae). pensa al finale esplosivo della coscienza di zeno. è la stessa apocalisse a cui pensavo io in macchina. e ci pensavo, su quella strada, da triestino. ovvero da autore facente parte di una tradizione che ha conosciuto momenti di altissimo livello in passato (da rileggere anche la buffa di giulio camber berni: un poema scritto in trincea, durante la grande guerra, con un’ironia a tratti sublime). stavo in quella macchina agitato da quella che carlo bo, parlando a proposito della tradizione triestina, e riferendosi in particolare a michelestaedter e slataper, chiamava “disperazione esistenzialista", la quale è un impeto di ribellione che si soffoca in una risata amara o in una fantasticheria grottesca alla grosz. la quale nulla a che fare con il fascismo. perché il triestino medio, ci insegna svevo, è un impiegato che scrive di nascosto e le rivoluzioni o le sommosse non le fa nemmeno nei libri, troppo pavido, troppo preoccupato di sanare, anzi, di non sanare le proprie manie, i tic, le ossessioni private. una tradizione fiorita, appassita, in terre che abito e che credo siano conosciute molto poco, storicamente e letterariamente, dal resto dei letterati e poeti italiani.
viszlat, luigi
E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 13:13:29|di maria valente
anche se in ritardo, intervengo per esprimere solidarietà ad erminia
luigi, probabilmente non eri consapevole, non ti sei reso conto, ma nel tuo comportamento c’è abuso di potere: proibisci un’interpretazione differente dalla tua tappando la bocca e mettendola sul personale.
anche a me il post non è piaciuto quanto meno perché mi sembra completamente fuori luogo paragonare un caso estremo di censura in pieno 2008, con un lamento per mancata di considerazione dei poeti nostrani.
un paragone che per me non sta né in cielo e né in terra, ma che proprio grazie alla nostra libertà di espressione tu puoi benissimo permettirti di fare, come io ed erminia liberissime di contestare.
non ritengo fascista lo scritto,ma non sono così sicura sul comportamento in seguito degenerato.
e, francamente, se questo è la nostra maniera di affrontare una questione grave come quella annunciata nel post, sono proprio sollevata di sapere che a noi poeti non ci si dia retta, ma grazie a dio se nessuno ci ascolta, grazie a dio se nessuno ci prende sul serio, per il mondo è molto meglio così, lo credo davvero.
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E VIVADDIO CI SONO ANCORA POETI CHE VANNO IN GALERA
2008-02-02 20:04:40|
mi scuso per i molti typos post precedente, ma ero senza occhiali.