Absolute Poetry 2.0
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Eleonora Pinzuti: TRE POESIE

di Renata Morresi

Articolo postato lunedì 8 novembre 2010

ELEONORA PINZUTI, Tre poesie
Poesia di Strada. XII Edizione, Wizarts Editore



«Mi dirò che ho giocato la tragedia»
di Giampaolo Vincenzi


I testi presentati da Eleonora Pinzuti offrono al lettore un immaginario nuovo che è nello stesso tempo usato ed esotico; come poche scritture, infatti, le tre liriche presentano forti elementi di continuità con la tradizione poetica europea che si mescolano selvaggiamente ad un nuovo tono di sensibilità intellettuale poco comune oggi. Esistono scrittori che pensano la poesia, soprattutto italiana, esser nata con Montale ed altri, molto più numerosi, convinti del fatto che la letteratura scaturisca dalle loro parole; i testi della Pinzuti fortunatamente non rientrano nei casi suindicati perché chi, prima e più sapientemente del sottoscritto, ha potuto descrivere il suo lavoro, ha saputo indicare una evidente continuità con la tradizione fatta di richiami culturali alti - Dante, Mishima: tanto consueti e ovvi in una filologa, studiosa della comparatistica e dei generi - e un nuovo ordine di importanza delle immagini che si confondono tra citazioni omeriche e pacchetti di sigarette. Un Up and Down che rispecchia il confuso panorama culturale e situazionale del poeta moderno, «casualmente declinato» dentro lo sfondo piatto e tremendamente orrorifico della contemporaneità e della propria ed altrui presunta inutilità. In questi testi è tangibile una generosa ricerca terminologica ed una precisione letteraria che fa convivere il Dante infernale del XXVI, il Canto di Ulisse, la mitologia scura ed enigmatica della Parca-Sibilla con la più disarmante disabilità del quotidiano con la quale si tenta di entrare nel mito e che ci respinge violentemente: «Nel frigo manca il loto/ (troppo alto il ripiano del mercato)/[…]/ mi sfoco, semmai,/[…]/ sulla sedia di cucina». Il riutilizzo di miti e figure tradizionali regala loro una vita notturna e rappresentativa dell’incapace costruzione di un’identità forte, meno potente ed importante della storica, ma sbirciata con ironia dall’occhio dell’autrice. Il fallimento dell’astante (bello, in mezzarima con «silente») nel testo Mi ricordo Sarah Bernhardt, segue nelle tre tappe «E mi sembrerà tremendo, strano, poi normale,» una disciplina storica della propria autorappresentazione che esibisce al lettore meno accorto la cifra dell’ironia della Pinzuti, ma a quello informato della biografia della grande attrice e dei suoi rapporti culturali ed epistolari (con D’Annunzio, ad esempio) presenta la tragica giustificazione dei diversi e dei grandi scrittori incompresi.



Mi ricordo Sarah Bernhardt


Mi lasci a lato. Busta in carta

fra lo sgoro delle strade. Della bacca
resta l’epicarpo.

Cadeva allora, fra noi, la posa da teatro,
io in costume da scena
logoro mi tenevo
stretta i costumi che mi offrivi:
ch’altro non potevo.
Suggerivi rime, e fole, e ruoli,
oppure cancellavi l’atto
a mano alzata.

E io accetterò silente il verdetto d’una sola astante.
Metterò nello zaino
il rimanente degli ingranaggi, la biacca spessa,
la parrucca. Li butterò nel secchio
e da lì correranno al nulla. Mi dirò che ho giocato
la tragedia.
E mi sembrerà tremendo, strano, poi normale,
vederti (come ora)
a binocolo rovesciato.

*

declinazione casuale


Avessi letto meglio,

fra le pieghe dei casi
il cuneiforme tratto della Sibilla…
Ma ero presbite,
o forse sorda,
Ulisside penosa
senza picciol compagnia o Circe bella.

Nel frigo manca il loto
(troppo alto il ripiano del mercato)
e non c’è elleboro nero
che senno renda alla creatura.
Le dita restano serrate nella spola,
la conocchia (mia memoria)
si fa tenaglia che morde alla caviglia…

Mi sfumo allora,
ma senza l’eroismo
di un Mishima:
mi sfoco, semmai,
col pacchetto di Marlboro
sulla sedia di cucina.

*

polita pomice


Facessi parte del giorno che
m’incarna e non dell’inquietarsi
della grinza, fossi pietra
al sole che si scalda,
sormontante i pilastri della sorte…

E invece sono anaglittico
intaglio
sul filo della pianta:
le bocche aperte dei parassiti sgranocchiano la notte
(li sento) le corde dei tendini,
i cardini delle porte.
Mi aggrappo ogni tanto,
al ramo che sembra sollevarsi…
ma non scaglia lontano e
torno a sbattere per terra:
e più duro è l’impiantito,
e più rovinoso il ciglio,
e più dolente l’osso.

Mi sgretolo e macchio
l’acino che sbuca dalla cesta.
Pulisco in fretta il fallo
(che nessuno sappia)
con la pomice che resta

*

Eleonora Pinzuti è dottore di ricerca in Italianistica (Università di Firenze) e si occupa di gender criticism e di teoria della letteratura. La sua produzione scientifica spazia da studi ecdotici fino alle più recenti indagini sul soggetto post-culturale e sul testo come atto performativo, dal queer agli studi postcoloniali. È, insomma, una studiosa della differenza o meglio di quegli scarti differenziali che si producono all’interno dei pensieri teorici e che vanno a riflettersi nelle storicizzazioni. Se sul versante teorico è attratta dalle fratture epistemologiche, in poesia, invece, è interessata alla possibilità di ricomposizione delle antinomie all’interno della forma-soggetto e al concetto stesso di forma come rappresentazione delle istanze cognitive, sentimentali, affettive. Per questo, spesso, nei suoi testi torna il tema del teatro e del “gioco” (si pensi alla silloge Games of Society in Pro-testo, Fara Editore, 2009), della fissità e della maschera: «Nella Pinzuti tale tema è sempre mirato a sottolineare la minaccia insita nella chiusura in specifiche determinazioni, ma si tratta di una minaccia (e di una ribellione) a più livelli» (Mimmo Cangiano, Precondizioni interpretative o Nonostante la crisi, Atelier, 59, XV, p. 19). Ribellione “dialettica” alla società o all’ ̓ανάγκη come interrogazione continua che si fa trama.

*

Eleonora Pinzuti si è classificata seconda a “Poesia di Strada” 2009, il premio per poesia inedita ideato da Alessandro Seri ed organizzato dall’Associazione Culturale Licenze Poetiche. “Di strada” perché la poesia è di tutti, e perché qui viene tradotta su tela da artisti visivi ed esposta durante eventi, festival, letture e altre occasioni pubbliche. Il premio è giunto quest’anno alla XIII edizione (chiunque volesse parteciparvi, trova il bando per l’edizione 2010 qui. Insieme ai testi degli altri nove finalisti, le Tre pistole si possono ora leggere anche all’interno dell’antologia del premio: Poesia di Strada. XII Edizione, a cura di Alessandro Seri e Licenze Poetiche, Porto Sant’Elpidio, Wizarts Editore, 2010 (€ 10,00). Chiunque volesse acquistarne copia, contatti l’Associazione Culturale Licenze Poetiche (e-mail: licenzepoetiche@email.it) oppure l’editore Wizarts (e-mail: info@wizarts.it).

***

Il terzo classificato, Federico Scaramuccia: QUI

1 commenti a questo articolo

Eleonora Pinzuti: TRE POESIE
2010-11-17 22:32:24|di Luca Baldoni

Mi ha molto colpito in "declinazione casuale" - ma non sorpreso conoscendo in parte l’indirizzo della ricerca di Eleonora -l’alternanza/mescolanza/sequenza di immagini identificatorie femminili e maschili.
Si parte dalla Sibilla, una figura che nella poesia scritta da donne spesso segnala una posizione di contestazione e di resistenza al millenario predominio maschile di vati, poeti e profeti. Pochi versi dopo l’autrice si spinge oltre appropriandosi di Ulisse, direi un mito maschile e eterosessuale per eccellenza, prima declinandolo al femminile ("Ulissside pensosa"), e poi rimescolando le carte anche riguardo all’orientamento sessuale (l’eco di Circe in questo caso vuole suggerire una relazione tra donne? e se sì, la "picciol compagnia" di memoria dantesca andrà intesa allora come costituita da sole donne, potenzialmente caricate anche eroticamente l’una nei confronti dell’altra?)
Per arrivare all’immagine finale, geniale e spiazzante, di Mischima, che più che come riferimento culturale vero e proprio (non trovo, nella poesia, riferimenti specifici all’opera del narratore giapponese), intendo come riferimento "iconografico". Perché anche chi non conosce le opere di Mischima sarà familiare con le sue foto, quasi sempre a torso nudo e con fiera espressione da samurai. Per cui si crea un cortocircuito fantastico, in quanto il soggetto poetico che l’autrice ha avuto cura di definire come femminile tramite l’aggettivazione, mi appare alla fine seduto a fumare una sedia con il corpo - muscoloso, ipermaschile - di Mischima.
Mi pare valga la pena sottolineare come procedimenti di questo tipo siano estremamente rari, sopratutto - mi pare - da parte dei poeti uomini. Faccio fatica a ricordarmi di un poeta che si sia rappresentato tramite una figura femminile, per di più se iconica della femminilità (com’è il caso di Mischima per il maschile). Ovviamente poi Mischima era gay, e ciò rende tutta la situazione ancor più stratificata e interessante...
Mi sono dilungato su alcuni dettagli ma è da questi che emerge l’unicità della poesia di Eleonora, che a livello di pensiero - lasciando ora da parte le fonti strettamente poetiche - si nutre certamente più dell’aria che circola all’estero che di quella italiana.
Brava e coraggio!


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