Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Enrico Carovani, uomo, poeta. Le pagine del suo diario, i fogli dell’agenda, le cassette nella sua videocamera, liberamente in versi. Nel secondo volume di questi inediti Scritti berlinesi (secondo di due, per ora; la prima parte: qui) mancherà qualche pagina. Forse alcune vengono da un quaderno, altre da un altro. Ma tutte sono fitte di a capo. Il lettore saprà cogliere, sin dal primo testo, che il poeta non guarda solo in dentro ma anche attorno a sé. Di verso in verso. Naturalmente. Vive. Registra. Di tempo in tempo. Fuori e dentro. Come fanno gli uomini poeti.
Enrico Carovani, Scritti berlinesi, vol. 2
NUOVI MITI
Chi ha sentito da giovane
l’esser giovani in quel momento,
al gioco della vita che si prefigura,
oggi abbandona la caverna
perchè come la sua testa si ritrova
scoperchiata, nuovi miti corrispondono
ad un sole solamente proiettore
ed il prototipo dell’uomo da colloquio
sa quanto a lungo è richiesto di fissare
questa luce artificiale, si limita nel farlo
al controluce di ragazze amate male, consolato
come consola il porno in una prigione.
UN VERSO DILUITO
Al mondo rinnovato han creduto in pochi
e gli altri viaggiavano in metro schivando ogni sguardo,
le labbra fatte di morsi e l’attesa del cambio corsia.
Strati e ipotesi, aumenta il mucchio che alla rivoluzione
contrappone malattia, preferire la montagna grassa
per più protezione, fremere e negare e dire brutto
di chi ha bellezza a nostra altezza superiore.
Vedo la noia fra di voi, vedo che basta un’occasione
e il giro dell’intimo si ingarbuglia.
Come risolvono questi adulti italiani medi
la competizione, la corsa all’oro?
Come trattenere l’eccezione e integrarla al corso delle cose?
E’ nella strada della giusta saturazione che si riscontra
l’allergia del poeta al proprio verso, fuoriuscito senza
la voce personale che sta in ogni commozione.
Se non ti eserciti sarà il naufragio del talento,
se abbassi le pretese sarai l’eco dei versi di tuo padre.
Queste guance asciugate di lacrime e irritate
intensificano l’attrazione e uniscono la saggia
seduttiva idiozia, l’attesa di un arnese tra i capelli.
Studia, procurati i sentieri per poterti anche fermare
sulla soglia, correggi le gobbe di tante donne
e ti prometto che sarai ricompensato.
Sappi che il ritorno del solitario a un mestiere affollato
significa aver compiuto un percorso.
La tua è la pigrizia eterna di non allinearsi e credere
che una fortuna giunga, è fidarsi delle illuminazioni
di Hemingway quando descrive una cancrena,
la scelta di una passione, della telecamera, sulla base
dell’arbitrarietà apparente dei criteri di valutazione,
del lavoro buono rispetto a quello scarso, non istruito...
DYSNARRATIVA
Mi è morta una voce da tempo
e da allora non faccio altro che parlare
,
vestendo i fatti con i suoni simulati
da esordiente che propone un grande classico
a giurie di balordi antiquari compiaciuti.
Come quel professore modello di timbri rochi,
amato fino a confondere i miei toni.
A lungo provi a inseguire le frasi
di cui ci si vergogna, a risentirle, nei giornalieri,
e se prendo quei nastri, se mi costringo
al pudore per simili pudori da bambino,
manca il riflesso diretto di quanto dicevo,
ai compagni di scuola prima della lezione,
a mia sorella nei messaggi in differita
che spedivo oltre la Manica,
ai dottori quando la bocca tradiva
gli affanni mentali di chi legge Lowell
e poi deve scandire i vocaboli più mosci.
Nel passaggio di queste stagioni al cinema muto,
accanto ad una lingua provvisoria le ombre dei suoni
che aspetto fan coppia con le grida soffocate
di un drammatico esercizio, in cui fingo
di avere da dire e intanto smetto di pensare
BABILLAGE 2008
Passo nell’anno otto con il coraggio,
perduto da molti, di fare strada
a piedi pari con se stessi,
e i gruppi parlano di euro,
stomacano denari, mandano giù
l’ultimo angolo di dolciume.
Segnata sui bordi delle bocche
la bava dolciastra, la frittura
di zuccheri, la sequela di grassi
studiati a danno del pensiero.
Pretende una repubblica delle arti
chi denuncia quanto calca il televisore
su blocchi umani così anonimi?
S’è riversato il nulla in ogni cosa,
si sa poco, se non dai gesti dei più fragili,
a cosa porti la processione di impulsi
e di sostanze nocive.
Questo è il giorno per dire
a tua sorella di non tornare.
Si somma ora per ora la convinzione lucida
che solo i vuoti si salveranno dal vuoto,
diventandolo, e il rigetto del vuoto
che avverti è diventato smacco al resto,
sgarro agli ingranaggi, ciò che altrove
non è se non quello che è sempre stato.
Come avere ragione a dire frasi
via via di un altro dialetto –
come farsi bastare lusinghe
di un suono di cellulare?
Passo oltre, ma li osservo,
e, quando si spera guariranno,
racconterò alle loro discendenze
la brutta sindrome che li prese
nell’anno otto denso di anime
del secolo prima e dell’anno zero...
FIBRE BLU
Polmone tenuto in vapori d’amianto,
Tute lavate a mano dalle mogli,
Radiatori e tubi fasciati a fibre sottili.
Frantoi del minerale persi in promontori esotici,
Valli blu dove bimbi del Transvaal
Giocano a rincorrersi su mine microscopiche,
Collina del detrito e della contaminazione,
La vita grata alla crocidolite, e l’esplosione pure.
E’ farina con cui si fa il pane che ha grani letali,
Visi dei padri imbiancati da un frumento fossile
Che si deposita a fiocchi sopra la pleura, dopo la lenta,
Infida e amara inalazione al turno di lavoro.
Da rari ed imprevisti i morbi assumono
Un carattere fisso, professionale.
Cardatori e caldaisti portan per qualche mese
Stimmate che i medici chiamano mesoteliomi.
Non sono soli, han nutrito di nebbie lattee anche i vicini,
Mentre i nebulizzatori a capo han blasone da nobili,
Sono marchesi del Belgio, astuti affaristi intenti a comprare
La scienza, che non compaia il teschio sopra i sacchi di veleno,
Che non si apponga mai alcuna avvertenza.
La coda di spiriti umiliati avanza verso il tribunale,
I morti otturati ai bronchi a cui venne tolto il fiato,
Zittito dai fumi dell’asbesto miscelato col tabacco,
Son semola di scheletri indignati, sono nuvole morali
Che penetrano a palazzo di giustizia, in attesa di sentenza.
Qualora mancasse condanna ad eterno per i finanziatori
Del tumore alle vie respiratorie in aula il povero imputato
Sarà ignaro del contrappasso, e ignari furono i caduti
di Casale Monferrato]
Come una calce vendicativa, invisibili, gli spiriti, particolato
Scuro di colpevolezza, si insinueranno fra laringe e trachea,
Coibenteranno alveoli, rivestiranno i tessuti del peritoneo,
Restituiranno di colpo, ai proprietari, ogni singola, esiziale, fibra blu.
LE SCIE ARSE
Giunge dal fronte dei nostri incubi
quella presa che non possiamo dare,
sono aria per finta di una convivenza
i quanti di sconfitta degli ormai cervelli soli,
avere corpi attorti e disvelarne grandi ustioni,
che il mattino dopo aloni di incapaci
sputano via gustando il bruciore.
Dicono che non sappiam volere,
su crinali di futuro sconosciuto.
La promessa di due irrealtà
non fa una somma di certezza,
decidi che sta male l’organismo
a raccontarsi un fatto vero,
s’annebbiano dei baci mai schioccati,
pianificato in parte come lieve aborto
l’uomo mal ridotto, utopico, di fantasia,
un mostro.
Sgomina incanti la conversazione
sbucciata alle quattro del mattino,
fra un giovane aggregato ancora liquido
e una turbosentimentalpronta a far seguito,
dovunque in capo al cosmo e anche oltre.
Immaginette del tempo cresciuto,
matrici inventate a sopperir l’amore.
Da un’idea già malsana all’ideologia del sentimento,
quando ci ripuliremo, quando a tanti buchi guarderemo
con rigore femminile, sulla scia dell’esistenza
che non prende, dell’antenna spezzata
senza solidificar elettroni?
Camminano oltre il confine i tuoi mariti di una notte,
Boccadoro si sparpaglia e non omologa,
se non a ragione di mantenimento,
i propri versi al rumore di chi sa come si fa.
KREIDEFELSEN
Quando lasciai la strada della frana,
in giorni caldi vissuti a camicia chiusa,
presi un tracciato selvatico e mi spogliai,
avevo immaginato l’avventura invece
nudo di senso compiuto mi accolse
il dissesto e la via di fuga.
Sembrò un vestito nuovo l’incontro,
così potendo la salita in compagnia,
così potendo vallate di ferrovia
ed un fiume inebetito, scogli friabili
anche senza i treni, le acque marmoree
ridenti in un orecchio come voci di genitori
che hanno compreso il sentimento.
Quante città viste dalla cima e torri in attesa,
pinacoteche vissute troppo di fretta…
NEU-K. RESTAURANT
Venti farmacie in un isolato, aperte,
e due vetrine ricamate a manichini,
moda bimbo che rimanda a sultanati,
è la domenica di neukölln e tanto asfalto,
grattato per aprire nuove vie, cantieri
fatidici in mistiche sagome a vernice arancio,
buccia amara, a pochi passi cucina italiana,
ristorante monamia.
Si entra a chiedere conto di quel nome
offrendosi come capocuochi secondo
una tesi sulla temperatura dei forni.
Poveracci di accento pesante e carne scurita
tappan l’ingresso impauriti dal finto avventore.
Italiani? No e segue risata insudiciata.
Appena arriva il boss, dicon così,
gli riferiamo la tua visita, buonasera.
Buonanotte. Sì ma il nome?
Ti do un consiglio, prova con gli annunci
del morgenpost (quando qualcosa per sé funziona
diviene regola, esempio, strada battuta).
D’accordo, ma lì non si denuda la vostra insegna
sciagurata, non mi si dice cos’ha spinto samir
mangiaceci a ubriacar leonardo da vinci
con un lessico da trattoria del nord-est.
Ti do un consiglio, prova col tabloid
berliner zeitung, che in prima, in terza,
in ultima pagina denuda sempre, sempre.
Se venisse al locale una di quelle me la strapperei
e me la impasterei e me la annegherei e me la resusciterei
e di nuovo a cadenza di cottura di una pizza -
l’altro approva strusciandosi al bancone.
Noi siamo per l’obbligo di erfahrung che significa esperienza,
se non ne hai torna più avanti oppure torna al tuo paese.
Mi s’afferma una turchia dei marginalizzanti e ci rinuncio,
la sorte del sociologo o del vecchio moralista
è sepolta sotto ammassi mangiucchiati di semini
risputati semivuoti, di domenica in domenica.
ÜBERSEE
Berlino, luglio 09
Concedi gli occhi alle fronde lungo il fiume,
collezioni caffé al tuo tavolino
decorato con oggetti impersonali.
In alto queste scie di verde salice
rovesciano l’idea della radice,
un mondo capovolto che si nutre solo d’aria.
Dell’anatra che ottusa al ponte plana,
del clarinetto che viene gracchiando
e poi svanisce con la storia di un amore
imiti l’esserci per poi sparire,
il fiato corto di tutte le creature
.
La sedia non verrà più a reclamare,
la cruda potatura del tuo complemento
infetto, retoriche di buon principio
in atto, e non si posson rispecchiare.
PESO SU PESO
Bisogna andare dove han messo via le nostre voci
e aprire bocca e gola alla sperata restituzione,
solo tu puoi stare muta e non accorgerti che negli scorci
di fermata in cui la banchina galleggia e troppo zucchero
si posa sulle labbra la medicina è data da questa pronuncia,
tutti i nomi che col tempo abbiam rimosso.
A prova della confidenza e fluidità di sentimento
il non dover ridefinire ogni minuto il cielo e l’aria che sovrasta.
Chiedo da quando ti conosco la quiete dal vizio della parola
e sei riuscita a farmi nemica l’onda sonora che stringe il corpo
come un cordone ombelicale, conosco ormai la cima da mordere
a freno del sussulto verbale, per un’emorragia che cessa
eccone un’altra a fare infetta la mia lingua, inversa.
Nell’irritazione dei tuoi capillari infilo piccole preghiere,
protestano le frasi incancrenite nei passi non concordi,
cammino di balbuzie, inciampi, singhiozzi,
ti tolgo quelle briciole di glassa a complicarti la cerniera
e penso che basti, che mi concederai giusto riposo dalla presa,
aggiungi invece il cimelio del tuo cuore ad abbellire il peso,
condanni la mia voce alla più pura imprecazione.
DA SPONDA A SPONDA
Pare medesimo lato del fiume,
una volta ad angolo ed ora frontale,
sul retro, interno cortile.
Dicono lento il cantiere
lasciatoci alle spalle.
Natale dell’avanzamento,
ispezione di festa
dove avevamo casa.
Ponte che minore misura copre
più dilata il tempo di lavorazione.
Tratto di oggi in tre fasi,
lungofiume farmacia, nesso di vendita
per biciclette avute in frode,
sopraelevato smercio antico,
applica tantovale, un turco,
lo sconto ambito.
Scorcia invece l’arco desolato
delle corse, delle spese nei discount
e nei mercati delle pulci,
verso la birreria di Monna Lisa.
La piattaforma ultima, conclusa,
che gratta le corde a chi suona a moneta,
semina grossa di tappi a corona,
la si vede a malapena, forse ci abita un’amica,
ti ci ho incontrata appena,
notturno dell’ingravidamento.
4 commenti a questo articolo
Enrico Carovani: SCRITTI BERLINESI, vol. 2
2010-07-19 16:22:38|di g.p.
sì. c’è della tecnica. buona. e molta buona foga.
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Enrico Carovani: SCRITTI BERLINESI, vol. 2
2011-12-14 09:52:49|di jurij
per altri testi di Carovani cfr. http://www.attimpuri.it/tag/enrico-.... Presto una nuova silloge.