Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

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Redatta da:

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Federico Romagnoli: CARNE DIEM

di Federico Scaramuccia

Articolo postato domenica 13 giugno 2010

FEDERICO ROMAGNOLI: CARNE DIEM
Anteprima del libro in uscita per ZONA



Il 30 giugno uscirà per ZONA Carne diem, la nuova raccolta poetica di Federico Romagnoli. Dal 30 giugno sarà quindi attiva anche la pagina con descrizione e indicazioni per l’acquisto del libro.


***


FEDERICO ROMAGNOLI è nato a Siena nel 1976. Operaio chimico, è dottorando in Letteratura, Storia della lingua e Filologia italiana presso l’Università per Stranieri di Siena. Ha pubblicato le raccolte poetiche Maschere in quiete (2001, con illustrazioni di Marco Acquafredda), Macchina a odore (2009, in Registro di poesia 2, Edizioni d’if) e articoli e foto per la rivista “La voce del campo” (2006-2008).


Carne diem è una raccolta di quarantuno poesie e tre piccole prose, suddivisa in tre parti: L’ano della bestia, Macchina a odore e Madrigalli. La prima parte è composta da diciassettine in versi imparisillabi, la seconda da tradizionali sonetti e la terza da madrigali in stile trecentesco. Si cerca in questo modo il connubio tra la grande tradizione poetica (il madrigale e in particolare il sonetto) e una forma nuova di sperimentazione personale (la diciassettina) per affrontare il grande tema del corpo umano – la carne appunto – nelle sue sfaccettature erotiche in primis, ma anche politiche e socioculturali. I disegni sono opera del pittore Marco Acquafredda.



L’ora della carne
di Federico Scaramuccia

«Regolati sull’ora della carne», scrive Federico Romagnoli: constatazione e imperativo necessari durante i tre tempi del Carne diem. L’«ora della carne» ritorna infatti al «primordiale», a L’an(n)o della bestia, dove «bestia» segue «bestia», reciprocamente annusandosi «l’ano», fiutando un «odore» “cloroconformizzante”. È il richiamo della natura, che induce alla compenetrazione, a mutare in un «affascinante animale a due schiene». Ma il meccanismo che questa Macchina a odore mette in «ricircolo» è gratuito ed infecondo: non riproduce che se stesso, per il puro (sod)disfacimento della «carne». Richiama alla natura, ma contro natura diventa una «febbre meccanica». L’«amo» nasce infatti dall’«ano», perché l’«ano» è l’«amo» cui tutti abboccano, che «tutti presto ingolla», per cui non v’è altro o veltro o filtro che tenga. È il «cavo coassiale» di «fede» che «spopola», quanto insomma consente la trasmissione, l’andare «aldilà», fino all’avvenente (con)fusione dei Madrigalli, che blocca la vita sul nascere. Quell’«idea fissa» con cui Beltrami avrebbe voluto tradurre il «ferm voler» arnautiano, diventa «chiodo fisso» che si avvita su se stesso, mettendo in «croce» il corpo stesso della «voce», fino alla «scomunicazione». «In verità, in verità sto zitto»: è con questa «memoria frigida» di (pru)riti (formu)laici che invitano alla «guerra» dei «sensi», (re)incarnazione dell’attimo, che l’autore si consegna al lettore. Con una poesia, cioè, che si fa “verbo” (contro ogni “merinismo”) e che di quel “verbo” mette in luce il negativo. Del tentato «carnevale», resta la rivelazione («ammetto la mia colpa») di una «maschera» appiccicosa («persevero perverso»).



L’AMORE

Non che non resti appeso alle tue labbra,
solo, oggi, preferisco il capezzolo
vezzoso e lasciato al pascolo
lascivo e pur innamorato
delle mie labbra.
Certo se come bestia
ti giro intorno all’ano,
e non ho fretta di dirti che ti amo,
se allargo le tua braccia e poi ti chino
e accenno lentamente l’ondulatio,
sei donna mentre reciti un pompino,
madonna di virtù nella fellatio.
Non voglio dire che non ho parole,
son muto appena prima di finire
e ammiro con rispetto il deglutire;
e adesso se ti vengo in fondo al cuore,
ti giuro che son pazzo, sì d’amore.

*

L’ANNO DELLA BESTIA

Ormai scappavamo da ore, il tempo non aveva più senso, solo il sudore freddo che tatuava la fronte e le guance, ne aveva ancora. Riuscivo, con la punta della lingua, a ingoiarne qualche goccia e mi ritempravo, ripartivo, scappavo. Anche lei era sudata fradicia, le vedevo, quando mi correva davanti, il filo della mutanda ormai violentemente entrato nello spacco del culo, come un tormento, il mio. Ma scappavamo. Se ci avessero presi sarebbe stata la fine, la morte per entrambi. Poi iniziò a piovere violentemente; nel giro di qualche istante eravamo talmente zuppi che non riuscivamo più ad alzare le ginocchia. Strascicavamo i piedi, disperati, disperatamente. Lei ebbe un sussulto, sento l’odore, sono vicini, molto vicini, e mentre mi parlava la camicetta pregna d’acqua mostrava in trasparenza i capezzoli, eretti come la mia nuova erezione. Scappavamo ora mano nella mano; lei era molto stanca, la tiravo, la spronavo. Erano vicini, lo sentivo anch’io quell’odore insopportabile di cloroconformismo. Poi lei cadde, caviglia distorta, male terribile, aumento d’ansia. L’odore acre sempre più vicino, adesso nauseante, spasmodico. La presi in braccio e continuai la fuga, ormai privo di speranza. Lei iniziò a piangere e singhiozzare e io distinguevo bene le lacrime dalla pioggia. Le si gonfiarono le labbra al pari dei capezzoli carnosi, ormai irresistibili. Io la desideravo. E basta. Mi fermai, ormai era inutile scappare, il loro odore ci stava cloroconformizzando, quasi ci nutriva di veleno. Saremmo morti a breve. Così l’appoggiai carponi, a quattro zampe, così come le si conviene. Le strappai il retro dei pantaloni ormai irrimediabilmente lacerato dalla pioggia e dal sudore; feci uscire l’uccello, spropositatamente duro; spostai la mutanda frangi-culo e penetrai, tenero e sicuro, l’ano della bestia. Un affascinante animale a due schiene, urlante di piacere, di dolce dolore, svenuto alla fine. Quando arrivarono e ci videro avvolti sull’asfalto fradicio, ci credettero morti. E se ne andarono con il loro odore.
Correva l’anno della bestia.

*

L’ANO DELLA BESTIA

Tutto il veleno che esce
dall’ano della bestia
è vento puro,
tra l’impura sostanza
che rode intorno
all’ignoranza.
L’intelligente carestia
d’intelligenza
conferma l’evidenza:
la bestia non ha voce
e feroce mi cerca,
a perdifiato,
sconvolgendo la mia precoce fuga.
Ora mi ferma il fiato appena rotto,
s’avvicina la bestia appena sotto;
luna e sole è un tutt’uno per la bestia,
ora è in vigore l’ano della bestia.

*

È un chiodo fisso ascesa precipizio
all’incosciente partecipazione
aspettando la disidratazione
dell’attimo momento più propizio
è liquida la volontà del vizio
che scorre percorrendo l’emozione
del torbo controcanto all’astensione
dall’essere se stessi o un te fittizio
regolati sull’ora della carne
e disfati che è l’ora di sentire
che forza e che passione in questa carne
che senza compromessi mi soddisfa
e placa il sentimento del finire
e senza che mi accorga si ridisfa.

*

M’avvio al postribolo galantemente
reprobo prima del tenero dopo
voglioso del prima schiavo del dopo
disfatto dal mio gemito morente
l’anima urlante si chiude dolente
tradita tra carni di prima e dopo
indiavolate e sbiadite nel dopo
davanti all’essere del mio vivente
ripida calma è il fisico equilibrio
sconvolto in solitudini sconnesse
costretto in lunghissime e dritte vie
calma ripida è il fisico equilibrio
solitario e coinvolto tra dimesse
e strette e lunghissime e dritte vie.

*

È come se sentissi il tuo sentire
anonimo alla festa bisbigliante
non prima dell’amplesso ma durante
nel tempo immaginario di venire
mi fermo senza starti più a sentire
ripeto il movimento più ondulante
e odori nel respiro tuo scostante
e sento con più forza il tuo sentire
sfiancato dalla fine dell’amore
placato da un anonimo profumo
che ha un nome impresso forte sulla carne
placata nell’amplesso dell’amore
sfiancata compiacente dal profumo
che schizza senza fine dalla carne.

*

È l’ora di sgonfiare un otre intero,
baccarsi senza sosta di maiali,
la fame è ritornata per davvero
e adesso in compagnia voglio godere:
galletti polli cosce e pure l’ali,
il vino a gargarozzo voglio bere.
Sfinito d’abbondanza ed esaustato
mi sfiora ora l’idea, ricominciare!
Il palato ha sì vinto la mattanza,
ma io trionfo solo dopo aver cacato.

*

I corpi che si abbracciano tra i corpi,
informi bestie e mostri senza forma,
le forme metamorfosi dei corpi
e l’ombre sgombre d’ogni umanità.
Le macchine al di fuori d’ogni norma,
incesti masochisti di realtà;
le madri crescono nel post Edipo
e i galli nel principio di piacere;
i figli si erotizzano in castigo,
i padri sono afflitti di godere.

*

In verità, in verità vi dico
con una strizza forte in fondo al cuore
e lo sgomento sempre come amico,
che la miseria ci ha baciati in fronte,
sconfitti e poi rinati nel suo amore,
tra i suoi femminei morsi e le sue impronte.
In verità, in verità non parlo
Ma scrivo versi storti tra uno dritto,
rodendomi nel roso già dal tarlo.
In verità, in verità sto zitto.


1 commenti a questo articolo

Federico Romagnoli: CARNE DIEM
2010-06-14 18:00:16|di Gigi


Federico che con me dividi
le radici lontane di Montieri
sgorgo nel tuo poetico errare
il celato mondo che ci rassomiglia.

Il gioco ardito e grasso delle parole
,il bello e il porco nell’amore infinito,.
nella ricerca di un fine che non c’e’
di una pausa che avra’ da venire
di una speranza che non vuol morire.


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