Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Ferruccio Brugnaro «Petrolchimico fine anni ’60, facemmo una dura lotta contro l’entrata nei serbatoi»
«Entri e muori. È la nuova solitudine operaia»
«Era la fine degli anni ’60 e avevamo ingaggiato una battaglia durissima contro l’entrata nei serbatoi dei lavoratori del Petrolchimico». Ferruccio Brugnaro, poeta operaio, a Marghera ha lavorato una vita. Usava le sue poesie per denunciare le condizioni di lavoro. E l’avvelenamento degli operai. E’ scosso per l’incidente di ieri mattina e dice che quella tragedia gli ha fatto tornare alla mente le azioni sue e dei suoi compagni contro la discesa nei serbatoi. «Si entrava e si moriva. E’ successo a tanti compagni e alla fine abbiamo detto basta. E ci siamo rifiutati di scendere in quei serbatoi. Allora hanno cominciato ad additarci, a dirci che non avevamo voglia di lavorare. Ma per noi allora la battaglia per le condizioni di lavoro, per la sicurezza era fondamentale».
Siamo tornati indietro nel tempo?
Il problema sono i carichi e i ritmi di lavoro. Siamo di fronte a una regressione storica e sociale che riguarda il lavoro e i lavoratori. Ormai la vita dentro il lavoro non conta né determina nulla. Oggi come negli anni ’60, il lavoratore fa tutto quello che gli viene richiesto perché davanti ha lo spettro della disoccupazione. C’è un costante ricatto, si lavora per sopravvivere e non ci si può permettere il lusso di contestare. Il sindacato deve mettere nuovamente mano a questioni che sembravano un ricordo del passato. La tragedia di Marghera dipende dal fatto che si mette il prodotto, la produzione davanti a tutto. La vita diventa secondaria.
Tu dici che oggi il lavoratore è più solo che in passato.
Non v’è dubbio. A metà degli anni ’60 e fino al 1975, o giù di lì, in Italia c’erano otto morti al giorno nelle fabbriche. Purtroppo stiamo tornando lì. Le lotte in fabbrica avevano successo perché eravamo noi lavoratori, assieme ai sindacati, a avere il controllo dell’organizzazione del lavoro. Oggi il controllo è in mano ai padroni. La solitudine del lavoratore è la cosa che più mi preoccupa. Passo davanti alla Breda: a qualunque ora, giorno e notte, c’è un via vai continuo. Si lavora a ritmi serrati e insostenibili. Tutto deve essere prodotto presto. Non importa se i lavoratori sono formati o meno. Il ricatto che subiscono è enorme. E purtroppo va detto che anche le organizzazioni sindacali di oggi non sono più quelle di una volta. Il consiglio di fabbrica una volta era una organizzazione forte. Ora non è più così.
Ritornando all’incidente di oggi, tu sostieni che era assolutamente evitabile.
Certo. Chiunque sa che un carico di cereali fermenta. Insomma, qualcuno avrà pur dato l’ordine di entrare in quella stiva. Si parla tanto degli ispettori. Ma purtroppo sappiamo bene che gli ispettori possono fare solo una parte di lavoro. Il resto dipende da un cambiamento che deve prodursi in questo sistema che mette la merce al centro. La merce prevale su tutto ormai. Sul lavoratore e sulla sua stessa vita.
Questo carico di morte
La morte in questi giorni
non ha limiti.
La fabbrica ingoia la vita
nella più totale indifferenza.
Morte e solo morte.
7 operai bruciati lo scorso mese
alla Thyssenkrupp
2 asfissiati stanotte anche
a Porto Marghera
nella stiva di una nave.
Tutti i giorni
tutti i giorni
giovani vite
stritolate schiacciate cadute...
Il sole tanto amato è lontano.
Chi fermerà mai questa guerra?
Chi smaschererà il pianto generale
su questa strage?
Non certo la devozione esasperata
al prodotto interno lordo
alla corsa illimitata alla produttività
al profitto.
Non tornerà indietro tutto questo carico di morte
non tornerà indietro questa immensa solitudine.
2 commenti a questo articolo
Ferruccio Brugnaro: ENTRI E MUORI. E’ LA NUOVA SOLITUDINE OPERAIA
2008-01-20 23:50:23|di giacomo
sette – sedici
otto ore filate più una per il pranzo per contratto
ci dovrebbero dare un paio di scarpe antinfortunistica
e dei guanti ma niente allora le mani
cominciano a tagliarsi dal primo mattino
si ricuciono e riaprono conficcate dai cartoni
la lentezza con cui si cicatrizzano
sta lì a significare la pazienza che ci vuole
questa lotta si vince al collasso di una delle parti
allo stesso tempo diventare il loro tempo e combatterlo
ritagliarselo chiudersi nel bagno come scampo tenere duro
arrotolarsi le cicche prendersi un caffé senza timbrare
ingoiare arrotondare la mezzora de scondiòn.
la benedizione quotidiana dell’assegnazione del reparto
deciderà del tuo supplizio se sarà lombare o più su dorsale
se ti tireranno i tendini lungo le braccia o perderai
la sensibilità dei polpastrelli se ti sveglierai
nel cuore della notte continuamente informicolato
da quando ho cominciato a lavorare non cago più come prima
dal naso mi escono solo bruni pezzetti che sembra catrame.
impolverati dentro.
è con la terza settimana di fila che tutto si uniforma
che finalmente la schiena si rompe
il filo asseconda il turno della sveglia mugugnando meno
si uniformano i pensieri tra le fila dei reparti (nella foga
per la fuga nella figa) le bestemmie
rabbiose sfilate a forza dai denti esplosioni
di cristi e madonne che squarciano il petto
e danno sollievo il tempo che durano sono un canto
sono un canto che le mani sono dure per sempre
non basta la crema idratante
non toccano più queste mani non toccano
premono afferrano spingono tirano
non toccano si dimenticano come fare
come posso infilare queste dita
nella bocca della donna che mi piace, come farei,
aprirei delle voragini.
Commenta questo articolo
Ferruccio Brugnaro: ENTRI E MUORI. E’ LA NUOVA SOLITUDINE OPERAIA
2008-12-25 17:36:57|di vittoria oliva
un saluto ad un compagno operaio e poeta e ai suoi canti di rivolta e passione per il riscatto degli esseri umani. Adoro anche il suo modo di verseggiare.
vittoria oliva
un salto