Una chicca dal grande archivio di FUORI ORARIO. COSE (MAI) VISTE di Rai 3.
Estratti dal Primo Festival Internazionale di Poesia tenutosi a Castelporziano, sul litorale laziale, nel 1979.
Letture di Ted Joans, Evgenij Aleksandrovič Evtušenko e Allen Ginsberg.
2 commenti a questo articolo
Festival di Poesia di Castelporziano (1979)
2011-07-14 12:05:27|di divisoperzero
io l’ho scoperto ieri sera...mi permetto...https://divisoperzero.wordpress.com...
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I buchi della (mia) poesia
2011-09-15 00:14:20|di Antonio Porta
Walter Benjamin nel suo saggio “Di alcuni motivi in Baudelaire” (pubblicato in Angelus novus, Einaudi Editore, ora nella collana “Reprlnt”, pag. 230, lire 5.000), che rimane fondamentale per la poesia moderna, ha definito, prima di tutto, il rapporto della poesia nuova con il pubblico come una sfida perenne, come una scommessa sempre perduta, dal poeta, e sempre rilanciata, quasi si potesse trovare nell’ostinazione con cui la poesia si propone in quanto scandalo, il motivo più resistente della sua permanenza. Il pubblico della poesia sfidato da Baudelalre era dunque “ipocrita”, ostile, e postumo. Quando Les Fleurs du mal furono dati alle stampe i lettori immaginati da Baudelaire non erano ancora nati e solo adesso sappiamo che ne continuano a nascere.
Ora, se questo meccanismo culturale, che riproduce una distanza incolmablle tra la poesia e il suo pubblico, dovesse ripetersi ancora oggi, l’idea di fare spettacolo con i poeti dovrebbe essere giudicata folle e dunque sublime, nel senso in cui esprime la volontà di “sacrificare” i poeti, nel senso di darli in pasto. In realtà questa situazione di separatezza culturale non si verifica più con tutta la società, che è appunto fondata sulla separatezza, ma con più o meno vasti strati di essa. Quindi i termini della scommessa sono in parte cambiati: si scommette sul fatto che ci sia o non ci sia un pubblico per un linguaggio oscuro e scandaloso come quello della poesia, dunque che i poeti possano trovare degli alleati lettorl, dei co-autorl, nella sfida all’Ignobile che ci governa e uccide.
Come ogni partita rischiosa anche quella giocata dai poeti in pubblico trova nei suoi alti e bassi, comici o drammatici, nelle sue pause e nelle sue riaccensioni, il proprio ritmo vitale e teatrale, “scrlve” i capitoli del proprio romanzo (come ama dire Cordelli). Così l’idea che tutto possa “andare bene” che tutto possa essere previsto e organizzato, è insensato quanto quella di un racconto di cui si vorrebbe conoscere con precisione la trama e gli esiti prima che sia scritto, mentre si sa che il narrare programmato è la semplice negazione del raccontare.
Che l’esperienza di Castelporziano sia stata vitale, in senso romanzesco, che è il miglior senso, lo dimostra il fatto che si continuano a scrivere nuovi episodi della sua trama, con distorsioni notevoli, anche, e falsificazloni e mistificazlonl, certo, con rabbie e rifiuti o ingenue adesioni; ma tutto conferma che la storia di Castelporzlano è dominata da “senso caldo” del mutamento e della conoscenza, caratteristiche della poesia.
Conoscenza e mutamento non a-critici, come qualche personaggio minore ha voluto far credere ai lettori del romanzo-Castelporziano, e neppure a-politici, come sembrano suggerire certe divagazioni che tentano di confondere il fare poesia come la soddisfazione del bisogno di “trasfigurare” l’esperienza reale. Che la poesia sia un momento fortemente critico della nostra esistenza non sfugge, né è sfuggito al coro-protagonista, né ad alcuni co-autorl tra i poeti. E nello stesso tempo non è sfuggito che si stava celebrando la festa della sopravvivenza e insieme della rinascita di quanto di vivo e vitale è rimasto in tutti, non soppresso, non rimosso, e forse insopprimibile e non cancellablle (questa è un’altra scommessa della poesia).
Per quanto mi riguarda (e qui trasformo per un momento il romanzo in diario) ho l’impressione di aver catturato molte immagini, di avere avuto rapporti intimi con il corpo medesimo della Bellezza, così come si manifestava in una notte in cui tutti i corpi diventavano belli, e si muovevano ritmicamente, con calma, nell’acqua. Ma ho anche sentito come la poesia, che stavo scrivendo o avevo già scritto, si stava trasformando e la conferma l’ho avuta subito, il giorno dopo, quando mi sono messo a verificare alcune poesie nuove: sono stato costretto a introdurre delle varianti, dettate da Castelporziano, nel senso della concretezza, là dove la scrittura era rimasta ancora un po’ sospesa e astratta. Me ne sono accorto, dai buchi che erano rimasti nei miei versi, perchè leggendo in pubblico (e mi era già capitato in altri luoghi, anche a Rotterdam, per esempio) ci si rende subito conto che l’esperienza della poesia è storica e dunque le immagini devono essere pesanti come l’esperienza reale.
In “Manifesto” 22 luglio 1979