di Stefano La Via
Stefano La Via si è formato presso le Università di Roma "La Sapienza" e di Princeton.
È professore associato di Storia della poesia per musica presso la Facoltà di Musicologia di Cremona (Università di Pavia).
Ha pubblicato numerosi saggi sul rapporto fra poesia e musica in varie epoche storiche, dal medioevo ad oggi.
Fra i suoi libri:
Il lamento di Venere abbandonata. Tiziano e Cipriano de Rore, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1994;
Poesia per musica e musica per poesia. Dai trovatori a Paolo Conte, Roma, Carocci, 2006
di Cecilia Bello Minciacchi,
Paolo Giovannetti,
Massimilano Manganelli,
Marianna Marrucci
e Fabio Zinelli
di Yolanda Castaño
di Domenico Ingenito & Fatima Sai
di Maria Teresa Carbone & Franca Rovigatti
a cura di Massimo Rizzante e Lello Voce
La Libreria Koob di Roma (via L. Poletti 2) è qualcosa di più d’una libreria. Vi si ritrovano non solo lettori e bibliofili, ma anche scrittori, musicisti, artisti, studiosi, intellettuali di tutte le età e provenienze. Il piano inferiore include, oltre ad un ampio spazio per i bambini, anche una saletta variamente sfruttata per presentazioni di libri, conferenze, letture poetiche, concerti. È qui che in un tardo pomeriggio settembrino del 2009 mi sono imbattuto in Giovanni Guaccero: chino sulla sua tastiera, affiancato da Matteo Pezzolet (contrabbasso), accompagnava la cantante Sandra Del Maro nell’esecuzione—impeccabile anche se forse un po’ troppo amplificata—di alcuni classici della canzone brasiliana, alternati ad altri pezzi da lui stesso composti (che pure non sfiguravano affatto accanto ai capolavori di Jobim & Co.!). Solo qualche giorno più tardi ho appreso che quel fine neo-bossanovista nostrano non solo è il figlio di un compositore d’avanguardia del calibro di Domenico Guaccero (Nuova Consonanza), ma è egli stesso un affermato pianista-compositore, nonché musicologo (laureatosi alla “Sapienza” con una tesi su “L’improvvisazione nelle avanguardie musicali”) e docente presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio. (Si rimanda il lettore più curioso al profilo biografico contenuto qui )
È stato così naturale, inevitabile, iniziare con lui un dialogo (non solo verbale ma anche musicale), tutt’ora in corso, i cui motivi più ricorrenti mi sono deciso a riassumere qui di seguito in forma d’intervista. Quel che la trascrizione non può rendere, tuttavia, è la davvero insolita gentilezza e delicatezza d’animo di Giovanni, la sua capacità di esprimere opinioni forti—e spesso controcorrente—con un tono di voce estremamente pacato, al tempo stesso fermo e dolce. Una lezione anche di stile, la sua.
* * *
SLV Ci puoi parlare della tua formazione musicale? Da un lato, gli studi di composizione, con tuo padre e al Conservatorio; dall’altro l’interesse parallelo per la Música Popular Brasileira [d’ora in poi abbraviata in MPB].
GG Ho iniziato studiando pianoforte, intorno agli 8-9 anni di età. Contemporaneamente mostravo una propensione alla composizione e cominciai a mostrare le mie cose a mio padre che successivamente mi diede le prime lezioni di armonia. Il rapporto con la musica brasiliana è cominciato fin dall’inizio, nel momento in cui, credo a livello intuitivo, capii che c’era uno stretto nesso tra questa e, in particolare, lo studio pianistico di Bach: tra i primissimi amori ricordo Baden Powell e anche un bellissimo disco di Toquinho inciso in Italia, Il Brasile nella chitarra, in cui c’erano brani come Bachianinha n°1 di Paulinho Nogueira che mi facevano letteralmente impazzire.
SLV Sì, anche per me quel disco è stato importante, da giovane chitarrista che ero. Non a caso era stato prodotto da Sergio Bardotti, grande conoscitore, traduttore e divulgatore della MPB; anche la perfezione tecnica di quelle registrazioni, sul piano del sound, si deve alla sua cura pressoché maniacale. A parte la bravura del primo Toquinho, per la prima volta, in Italia, si potevano ascoltare musiche non solo di Jobim, Baden Powell, Vinicius, Toquinho, ma anche di autori altrettanto grandi eppure (da noi) ignoti quali Dorival Caymmi o lo stesso Nogueira…
GG Sì, poi nell’età dell’adolescenza mi avvicinai al jazz e in particolare al free jazz. E’ stato quello il ponte che mi ha permesso di avvicinarmi alla musica contemporanea, più di presunte ‘imposizioni paterne’ che, in realtà, non ci sono mai state. Durante il percorso di studi al Conservatorio di S. Cecilia, iniziato nel 1985, ho vissuto da un lato il contesto della musica contemporanea romana (Nuova Consonanza e dintorni), dall’altro ho svolto un percorso di studi di composizione con un maestro come Luciano Pelosi, che mi è sembrato sempre porsi in conflitto dialettico con quel mondo. Visti gli esiti attuali della cosiddetta musica contemporanea, penso che questo doppio canale di formazione sia stato molto stimolante.
SLV Su entrambi i versanti, quali sono stati gli autori, o i filoni, che più ti hanno formato, influenzato, orientato? Fino a che punto ti senti parte di una ’scuola’, di una corrente? Fino a che punto ti senti un artista autonomo?
GG Su entrambi i versanti distinguerei tra gli autori che non possono non far parte della propria formazione musicale e coloro che hanno svolto un ruolo più specifico nella definizione di uno stile. Al primo campo posso dire che appartengano autori come Tom Jobim, Baden Powell e Chico Buarque, che hanno svolto nella mia formazione un ruolo paragonabile – in ambito classico – a quello di Bach, Mozart, Beethoven. Ossia non è possibile prescindere da loro. Riguardo al secondo campo direi che i riferimenti sono abbastanza eterogenei. In ambito classico direi da un lato Stravinskij e soprattutto Bartók, dall’altro, quasi con un senso di discendenza etnica, alcune esperienze romane, a cavallo tra musica aleatoria ed improvvisazione di gruppo, nel cui contesto la figura più interessante, problematica e trasversale è a mio giudizio quella di mio padre, la cui opera ho cominciato praticamente a conoscere dopo il 1984, anno della sua morte, attraverso i concerti e il riordino del suo archivio. In ambito ‘extracolto’, direi che sono state importanti sia la conoscenza dei lavori di jazzisti come Miles Davis e John Coltrane sia soprattutto, per la definizione di uno stile, l’opera di altri due giganti brasiliani come Milton Nascimento ed Egberto Gismonti. Non sento di appartenere ad una scuola. Posso dire di sentire una vicinanza e una qualche discendenza rispetto ad alcune esperienze (forse le più “marginali” ed eterodosse) di ambito romano, vicine appunto all’area di Nuova Consonanza. Tutto sommato, vista la solitudine in cui ci muoviamo, mi piacerebbe anche poter appartenere a qualche corrente. Ma quelle che ti appiccicano o che semplicemente potrebbero riguardarti mi irritano profondamente. Come ‘contaminatore’.
SLV Sì, anch’io trovo insopportabile l’abuso (tipicamente giornalistico) della parola ‘contaminazione’. Ogni volta che un autore–o anche un intero repertorio–fonde nella sua opera linguaggi, tecniche ed esperienze culturali diverse si parla automaticamente di ‘contaminazione’… come se ci fosse un elemento negativo (o impuro, insano, basso) che contagia un altro elemento più positivo (puro, sano, alto). Perché non parlare, più semplicemente, di incontro e fusione fra esperienze diverse?
GG Appunto. Ma è forse ancora peggio sentirsi definire ‘compositore post-moderno’. A questo proposito trovo particolarmente inutile e dannosa l’impostazione di Jean-Jacques Nattiez quando parla di postmodernismo. Come se fosse possibile risolvere il problema della ‘narrabilità’ della storia attraverso la continua successione di etichette tutte interne all’ambito (euro)colto, quando secondo me il problema è esattamente l’opposto, ossia la necessità di scardinare le etichette e le periodizzazioni novecentesche, cercando di trovare una nuova narrazione per gli ultimi due secoli di musica in cui si possa ridefinire il rapporto tra ‘colto’ e ‘popular’ e tra le varie culture dell’area atlantica.
SLV L’interesse per la MPB, invece, quando e nato e come si è sviluppato?
GG Come dicevo, è qualcosa che è cominciato verso l’età di 9-10 anni a causa del nesso che inconsapevolmente riscontravo con la tradizione classica. Posso aggiungere che una delle cause è stata anche quella sorta di divieto che vigeva a casa mia riguardo alla musica commerciale. La cosiddetta ‘musica leggera’. Questo atteggiamento credo avesse una matrice ideologica: per quella generazione di compositori marxisti, come mio padre, non solo c’era un giudizio critico riguardante la qualità della musica pop, ma soprattutto era intollerabile l’idea che la musica fosse ridotta a pura merce. E di fatto, a casa mia si ascoltava principalmente Schubert, Mozart, Bach. Era poi possibile ascoltare musica popolare ed anche il jazz, ‘eticamente’ accettati. Ma non la ‘musica leggera’. Da bambino non ho mai assistito a un Sanremo (e ancora oggi direi che sono abbastanza carente in materia). Fatto sta che per vari motivi cominciai ad innamorarmi del Brasile, ed evidentemente la musica brasiliana non poteva essere vietata, per scarsa qualità e poca eticità. Anzi, diciamo che fu favorita, e posso dire che negli anni della malattia di mio padre, ne abbiamo ascoltata tanta insieme; e le canzoni di Vinicius de Moraes, Jobim, Toquinho, Chico Buarque hanno contribuito certamente ad alleviare momenti dolorosi.
SLV Mi sembra questa una testimonianza davvero molto, molto significativa (chi ha letto i post precedenti di melosBlog capirà ancor meglio perché). Puoi parlarci, in particolare, della tua passione per il genere brasiliano dello choro?
GG Ho sempre amato lo choro, probabilmente per i motivi di cui parlavo. E’ certamente il genere di musica brasiliana che più ha mantenuto il rapporto con la nostra tradizione classica, da Bach a Chopin. Studiandolo poi più a fondo negli ultimi anni mi sono reso conto da vicino che le ‘inflessioni melodiche’ che io stesso utilizzo, in maniera quasi inconsapevole nella composizione di choros al pianoforte, sono le stesse che da un lato connotano e delimitano il genere e dall’altro hanno una diretta discendenza eurocolta.
SLV Tu componi musica ’colta’/’classica’ (strumentale ma anche vocale) e al contempo scrivi musica per canzoni ’brasiliane’ (con testi in portoghese): sono due attività ben diverse, separate, oppure hai trovato il modo di legarle, di creare nessi e punti di convergenza attraverso la tua esperienza creativa? Passando da un ambito all’altro cambia il tuo modo di lavorare? Sarebbe interessante se ci parlassi un po’ del tuo processo compositivo in ciascun versante.
GG Sono domande a cui non è semplice rispondere. Potrei dire che le composizioni di ambito colto nascono da un massimo di consapevolezza e progettualità mentre il mio rapporto con la canzone, e in particolare con la canzone brasiliana, nasce da un massimo di intuitività. Per cui, riguardo al processo compositivo, si potrebbe dire che uno è più ‘a tavolino’ e diluito, mentre l’altro è più ‘al pianoforte’ e istantaneo. Ma poi non è detto che le due cose non possano coesistere anche all’interno di uno stesso progetto. A volte in brani classici, a parte il fatto che alcuni elementi possano essere ‘trovati’ anche al piano, ho usato come materiali temi di mie canzoni, trattate come materiale preesistente da elaborare. Per l’attività che ho svolto con il mio gruppo Alquìmia invece a volte scomponevo dei temi che avevo utilizzato in ambito classico, per poi sottoporli a procedimenti improvvisativi. Oppure, nel rapporto con il teatro musicale, in un’opera come Le Isole felici, all’interno di una macrostruttura rigidamente e ‘classicamente’ progettata sono presenti materiali come canzoni o schemi d’improvvisazione. Nel rapporto con la canzone, invece, diciamo che esploro tutto quello che assorbo inconsapevolmente e che poi riemerge in forme non del tutto mediate razionalmente, su un piano emotivo ed intuitivo.
SLV Vedi i due ambiti, ’colto’ e ’popolare’, come due pianeti distanti o come due aree—fra loro adiacenti e intercomunicanti—di un unico grande universo interculturale?
GG In proposito bisogna distinguere il piano della storiografia da quello personale. Sul piano storiografico, sicuramente sì. Come dicevo prima citando Nattiez, malgrado perduri la tendenza a separare gli ambiti, è arrivato il momento in cui secondo me è diventato ridicolo continuare a raccontare la storia della musica colta occidentale come qualcosa di separato ed autosufficiente dal resto, aggiungendo mano a mano un capitolo. Era possibile e giustificabile fino a una quarantina di anni fa. Oggi non lo è più. Il problema però è che quando provi ad ‘unire’ non è possibile farlo riguardo solo all’oggi. Bisogna andare indietro nel tempo, almeno un paio di secoli fa (se non di più), in un’epoca in cui la distinzione tra colto e popular non era così definita. Si capirebbe allora che alcune tradizioni, orali e scritte, non sono improvvisamente scomparse con ‘la crisi del sistema tonale’ di fine ottocento, ma hanno semplicemente continuato a vivere in altri contesti. L’uso dell’ornamentazione melodica nello choro brasiliano, genere nato proprio in quell’epoca, è a mio giudizio emblematico in questo senso. Sul piano del percorso personale oscillo tra tentativi di fusione (gruppo Alquìmia), frustrati dall’assenza di un contesto di riferimento e momenti di separazione, eredità del mio tipo di formazione che tende alla separazione degli ambiti.
SLV In ambito ’classico/colto’, penso ad esempio al Salmo metropolitano, per me uno dei tuoi lavori più riusciti (ma anche fra i più apprezzati dalla critica), di cui propongo qui sotto la terza parte:
Ecco, in questo caso hai lavorato su testi di Pasolini, o tratti anche dai Salmi, in dialogo con testi tuoi e di Roberto Gualtieri. Presumo che tu abbia composto la tua musica su testi preesistenti, secondo il principio classico della ‘Poesia in/per musica’ (a meno che i testi tuoi e di Gualtieri siano venuti dopo la musica, in una fase più avanzata del processo). Negli altri casi, i testi di Raul Bopp, Francesco Randazzo, etc., hanno stimolato la tua musica, oppure viceversa?
GG Sì, per Salmo metropolitano è nato prima il libretto. Il tutto è cominciato dalla lettura di un breve testo di Pasolini del ’75, I giovani infelici. Testo che secondo me c’entra anche con tutti questi nostri discorsi. Il tema è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. E la colpa specifica di cui parla Pasolini starebbe “nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese”. Nella costruzione del libretto ho cercato così di creare una sorta di drammaturgia che partisse da quel testo, che consisteva in una sorta di dialogo di un ‘figlio’ (o meglio un ‘figlio dei figli’), con il ‘padre’/Pasolini. Ne ho discusso poi con lo storico Roberto Gualtieri con il quale abbiamo creato alcuni versi ad hoc. Inserendo poi citazioni di altri autori, come quella gramsciana secondo me particolarmente significativa: “perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, dalla ‘nazione’, e sono legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento politico o nazionale dal basso”.
SLV E già, anche in relazione a quanto dicevi prima, sarebbe ora di restituire al concetto gramsciano di “nazional popolare” il suo significato originario e più profondo, che oggi non solo i giornalisti ma anche i critici militanti tendono a banalizzare, o addirittura ad equivocare. Ma questo potrebbe essere il tema di un’altra intervista. Scusa l’interruzione, continua pure…
GG Dicevo… nel Salmo metropolitano la stesura della musica è venuta certamente dopo, anche se il nucleo ideale della sua evoluzione strutturale è nato indissolubilmente all’idea di sviluppo drammaturgico. In genere, in ambito classico, è vero che utilizzo praticamente in modo esclusivo il principio della ‘Poesia in/per musica’ lavorando su testi poetici preesistenti. Solo nel caso della collaborazione con Randazzo per Extra me aliqua res, del 1991, gli chiesi la creazione di un testo che rispecchiasse alcuni aspetti formali e numerici.
SLV Passando alla canzone d’ispirazione MPB, la composizione della tua musica ha preceduto la scrittura verbale dei tuoi collaboratori — come avviene di norma in questo repertorio di ‘musica per poesia’ (vedi Jobim, Buarque, Guinga, etc.), oppure ti è capitato di mettere in musica testi preesistenti? Puoi parlarci di qualche parceria [leggi ‘collaborazione’]in particolare?
GG Con i miei parceiros utilizzo modalità di lavoro differenti: in realtà anche in quest’ambito utilizzo spesso il principio della ‘Poesia in/per musica’, soprattutto con i testi preesistenti di poeti come Geraldo Carneiro e soprattutto Maria Lúcia Verdi. In realtà, e questo vale anche per i miei tentativi con la lingua italiana, ‘colti’ e non, il mio obiettivo è ‘l’interpretazione’ del testo. In una modalità in cui cerco di mettere la musica al servizio di un’intuizione poetica e a volte teatrale. Come se il testo avesse già dentro una sua musica, che va semplicemente scoperta. Insomma, una sorta di ‘interpretazione’ da attore che si esprime con la musica. Poi ci sono parceiros con cui ho una maggiore interazione. Ci sono Marco Antonio Costa e Eloi Stein che in genere mi danno dei loro testi, che però poi possono essere un po’ rimodellati in base alle esigenze musicali. In pratica la ‘Musica per poesia’ la utilizzo solo nella collaborazione con Rosalia De Souza, che su alcune mie musiche preesistenti ha scritto dei testi. Rosalia è un’ottima letrista: basti pensare a canzoni come Agarradinhos scritta su una musica di Roberto Menescal, e incisa recentemente anche da Leila Pinheiro. Una canzone come Há muito tempo è significativa del nostro modo di lavorare. Partendo da un incipit melodico basato su due versi iniziali scritti da lei ho poi sviluppato uno choro. A quel punto le ho girato la musica e lei ha completato il testo, cogliendo alla perfezione il senso della struttura fraseologica del brano.
SLV C’è una tua canzone, in particolare, che considero un capolavoro: Outro amor (purtroppo il seguente frammento, mal registrato e tagliato alla fine, ne può dare solo una vaga idea):
Solo un profondo conoscitore di Jobim, e della bossa nova più raffinata, avrebbe potuto concepire una musics del genere. C’è un gesto melodico-armonico, in particolare, che sembra rivisitare (mutandolo) il motivo-base di Preciso aprender a ser sô (Marcos Valle e Paulo Sérgio Valle). Puoi parlarcene un po’?
GG Ti ringrazio. Outro amor è sempre una parceria con Rosalia De Souza. Qui il caso è abbastanza curioso. Io avevo scritto il tema di una bossa nova. Lei un pomeriggio è passata da me con un abbozzo di un testo e ci siamo accorti che le due cose combaciavano quasi alla perfezione. Messomi al pianoforte, abbiamo riadattato un po’ la musica (essendo lei cantante abbiamo interagito anche sul piano melodico) e poi lei ha completato i versi mancanti. Il nesso con Marcos Valle è casuale, ma chissà, magari essendo stato uno dei musicisti con cui Rosalia ha collaborato potrebbe esserci stata una inconsapevole influenza di quel brano (ma mi viene in mente anche Flora di Gilberto Gil, con quelle continue modulazioni). Ma il punto è importante. Diciamo che nel momento in cui entro in quella modalità compositiva è probabile che mi venga naturale riproporre dei ‘gesti’ idiomatici. Questo sia nella bossa nova che nello choro. E in quest’ambito ad esempio se analizzassi brani di repertorio, o anche miei, potrei dire: questa è una appoggiatura, questo è un passaggio cromatico, questa è una formula di nota cambiata. Ma nel momento in cui componi/improvvisi in modo ‘audiotattile’, con quel linguaggio, certo non ti poni questi problemi: è semplicemente la tua lingua, e come quando si parla si utilizzano parole e frasi preesistenti che compongono però discorsi sempre differenti.
SLV Canzoni come Outro amor, in effetti, sono così ’brasiliane’ che sarebbe difficile anche solo immaginarsele con un testo italiano. È per questo, per questa tua radicata ’brasilianità’ musicale, che non hai mai composto canzoni italiane?
GG Ho composto poche canzoni in italiano probabilmente perché non era il tipo di musica che ascoltavo. Non ho assorbito quell’idioma. Ho fatto dei tentativi su poesie preesistenti di Maria Jatosti e Francesco Randazzo, ma, come spesso mi accade, privi in un certo senso di un ‘contesto’; anche se sto ultimamente riflettendo su un’idea di ‘canzone di poesia’ in lingua italiana. Alcuni degli esempi secondo me più riusciti in italiano sono le canzoni che ho scritto per un lavoro teatrale su Racconto di Natale di Dickens e in questo caso alcuni testi scritti insieme a collaboratori sono stati realizzati anche dopo la musica.
SLV Cosa ne pensi della canzone d’autore in generale? E cosa pensi, in particolare, della situazione in Italia, rispetto a quelle di altri Paesi?
GG Trovo che la canzone d’autore potrebbe svolgere una grande funzione nell’ambito della cultura popolare nazionale di un Paese. Ad esempio in Brasile l’alto livello delle musiche e dei testi penso che assuma una grande valenza all’interno della cultura nazionale, una valenza anche ‘educativa’ se vogliamo. In Italia penso che scontiamo una serie di problemi. Prima di tutto non siamo una nazione coesa, e ciò che abbiamo di livello, più difficilmente diviene patrimonio ‘popolare’ condiviso. L’ultimo esempio in questo senso è stato probabilmente il melodramma ottocentesco, che però non arriva ai livelli di ‘interclassismo’ della musica brasiliana. In secondo luogo, è triste dirlo, siamo un paese che ha poca cultura musicale diffusa. E in ambito urbano (tranne forse il caso di Napoli) trovo che siamo carenti di autentiche radici culturali. E spesso l’alternativa sembra essere tra la riproposizione di modelli tradizionali ‘sanremesi’ e l’imitazione di mode anglo-americane. Tra questi estremi si inserisce il filone ‘cantautorale’ che spesso però ‘maltratta’ un po’ troppo la musica a scapito di una presunta libertà della parola. Comunque ho avuto una bellissima esperienza didattica presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio con il Laboratorio Canzone, che è un laboratorio di composizione di canzoni. E già qui c’è un primo scoglio, perché far accettare l’idea che ci possa essere una didattica legata alla canzone è abbastanza difficile. Comunque, in particolare tra il 2004 e il 2007, si è creato un gruppo di allievi molto bravi, abbiamo scritto alcune canzoni in italiano secondo me molto belle, e da qui è nato il gruppo I Canzonieri, che ora è divenuto un gruppo autonomo.
SLV Fantastico. Mi sembra un esperimento didattico-creativo molto importante, che sarebbe il caso di sviluppare ulteriormente. Chissà se sarà mai possibile fare qualcosa del genere anche in ambito universitario (ho la netta sensazione che non pochi studenti, e non solo del mio corso, ci metterebbero la firma… se ci siete, battete un colpo!). Sarei anche molto curioso, naturalmente, di ascoltare i frutti del vostro Laboratorio… le canzoni de I Canzonieri. È possibile avere qualche assaggio, magari da proporre in questo post?
GG Certo. Allora, questo è un frammento dalla suite All’arie che abbiamo eseguito al Teatro Palladium di Roma nell’ambito di un progetto di Giovanna Marini con la Scuola Popolare di Musica di Testaccio. All’interno di una ‘cornice’, in cui abbiamo rielaborato–inserendovi un nuovo testo–una melodia popolare italiana proposta da Giovanna a tutti i partecipanti al concerto, abbiamo collocato tre brani del repertorio originale del gruppo. Questa è l’inizio della suite con il primo All’arie introduttivo a cui segue Esse oh esse, un brano originale della cantante de I Canzonieri Antonia D’Amore, nato all’interno del lavoro del laboratorio:
SLV Grazie davvero (anche in questo caso attendo la reazione dei lettori). Sei d’accordo sul fatto che da noi la canzone (ma in genere tutta la cultura) brasiliana è pressoché ignorata, o altrimenti fraintesa e banalizzata, sicuramente sottovalutata? Cosa si può fare, concretamente, per favorire una ricezione più adeguata, meno superficiale, della MPB in Italia?
GG Certo, sono d’accordissimo. Uno dei problemi di fondo (come dice la geniale canzone Inclassificáveis di Arnaldo Antunes cantata recentemente da Ney Matogrosso) è che il Brasile è in senso generale “inclassificabile”, indefinibile, e ciò che è inclassificabile probabilmente mette paura perché può mettere in discussioni regole e ruoli definiti. Sarebbe concepibile in Italia mescolare, come in Brasile, il bianco col nero, il moderno col tradizionale, il colto col popolare? Evidentemente no. Inoltre è anche di difficile comprensione capire cosa sia l’idea di ‘musica brasiliana’, poiché non mi risulta che altri tipi di musica in ambito occidentale siano definibili quasi esclusivamente con l’identificazione della nazionalità (l’idea di ‘brasilianità’), coprendo un raggio di esperienze così diverse tra loro ma anche così intimamente legate, non solamente ‘popular’. Un altro dei motivi dell’ ‘incomprensibilità’ dell’importanza della musica brasiliana in Italia è secondo me il suo essere meno legata di altre musiche ad alcuni miti e ideologie musicali del novecento: come ad esempio l’idea trasversale che il ‘moderno’ corrisponda necessariamente a una preminenza del parametro timbrico (ciò che in ambito pop definiamo sound), e di conseguenza che il ‘nuovo’ non possa essere misurato anche su parametri ‘tradizionali’ (e quindi considerati superati) quali armonia, contrappunto, melodia (questione che in ambito colto abbiamo definito ‘superamento della tonalità’), poi il mito individualistico e della ‘superiorità’ della creazione istantanea tipici della cultura jazzistica, riguardo a cui trovo che la musica brasiliana sia sostanzialmente estranea. E quindi la nostra dipendenza e subalternità rispetto ai modelli nordamericani. Ancora adesso mi trovo a vivere in contesti culturali e didattici in cui generalmente se ci si approccia a generi musicali nordamericani tutto ciò viene considerato normale, e se invece solo si parla della musica dell’altro gigante delle americhe vieni guardato in maniera strana. Probabilmente ha pesato anche una certa immagine negativa della musica latinoamericana veicolata in Italia dal varietà e successivamente dalla commedia all’italiana, e successivamente dalla nostra propensione a privilegiare una certa idea, tristemente attuale, della donna. Per una migliore ricezione della musica brasiliana sicuramente può aiutare l’attività didattica e la pubblicazione di studi seri e rigorosi in proposito.
SLV A questo proposito, per concludere, vorrei tornare alla tua attività didattica, che non svolgi solamente presso la Scuola di Testaccio. So che hai dedicato interi corsi a generi brasiliani come lo choro, il samba, etc. Ecco, mi interessa sapere, in particolare, come li hai impostati, come hanno reagito gli studenti di fronte a universi così sconosciuti eppure così vasti e ricchi...
GG A Testaccio, come accennavo, è stato importante il Laboratorio Canzone e esperienze didattiche legate all’improvvisazione e alla composizione aleatoria. Queste esperienze ho poi cercato di riproporle anche nei corsi di Didattica della musica che ho svolto presso il Conservatorio di Reggio Calabria. Lì lo scorso anno ho provato questa follia di realizzare un breve corso di Composizione di choro. Il corso era finalizzato da un lato a capire come a partire da melodie derivate da formule di arpeggi usate con disegni ritmici derivati dal samba, inserendo ornamentazioni melodiche tipiche del nostro repertorio classico si arrivasse ad avere melodie di choro, e dall’altro che queste figure di ornamentazione melodica sono le stesse che ‘inconsapevolmente’ lo strumentista classico utilizza oggi in genere solamente nell’esecuzione di musica scritta di repertorio. Mentre quest’anno a Testaccio sto realizzando un corso sull’esecuzione di canzoni brasiliane, in particolare samba, samba-canção e choro: è interessante perché l’impatto con certe musiche afroamericane ci fa capire quanto siamo legati col corpo, quanto ci manchi il ‘gesto’ necessario, che per noi è rigido, o a volte violento, e non morbido ed elegante come è nella musica brasiliana. Oppure ci fa capire come l’obiettivo del suonare insieme non sia ‘l’affermazione di sé’, ma il condividere insieme qualcosa di ‘bello’, al di là dei ruoli che si assumono. Oppure riguardo all’uso della voce che secondo me andrebbe depurata dalle inflessioni jazzistiche, che non c’entrano molto con la tradizione del samba e anche della bossa nova, tranne alcune esperienze specifiche.
SLV È possibile che la cultura musicale italiana, un giorno, possa finalmente capire, assorbire, filtrare, far sua, la grande lezione della MPB antica e moderna?
GG Non so. Penso che non siamo ancora preparati e che in caso dovrà passare ancora molto tempo. Per ora, intanto, per me come per altri amici artisti e non, il Brasile con la sua musica continuerà a rappresentare l’idea di un rifugio ideale, di un’isola felice dove trovare riparo e consolazione. O forse dove perdersi. E in fondo è di questo che tratta uno dei miei ultimi lavori di teatro musicale, intitolato appunto Le Isole felici (una passione).
8 commenti a questo articolo
Fra Nuova Consonanza e Música Popular Brasileira
2011-02-06 23:19:09|di Monica Demuru
Raramente si incontra un artista così maturo sul senso storico della propria arte!
Giovanni Guaccero offre da molto tempo ai collaboratori, agli interpreti e al pubblico una esperienza di espressione contemporanea non velleitaria e fastidiosamente in penombra. Una carica umana e artistica ricca entro un’estetica straordinariamente coerente in totale assenza di vetuste questioni di genere. E’ un sollievo interessantissimo questa intervista. Resistere!
un abbraccio
Monica Demuru
Fra Nuova Consonanza e Música Popular Brasileira
2011-02-02 20:12:04|di Claudio
Davvero un’intervista fantastica, personalmente molto entusiasmante!!
Ho conosciuto la MPB grazie ai corsi di Storia della poesia per musica che Stefano tiene presso la nostra facoltà di Musicologia (Cremona) e non ho potuto fare a meno di innamorarmene!
Ora che ho iniziato il mio progetto di dottorato sull’origine del linguaggio armonico di Tom Jobim, le parole di Giovanni Guaccero hanno per me un valore enorme, ma credo che più in generale quest’intervento sia importantissimo, oltre che in sé e per sé, anche se messo in relazione con il primo post di MelosBlog, "coltopop senza snob!", e in generale con tutto ciò che fin qui si è detto/scritto! Una cosa importante, non vi pare?
Per quanto riguarda l’idea di un Laboratorio Canzone (idea formidabile!!) in ambito universitario l’unico commento che posso fare è: "MAGARI!!!!!" (eccome se ci metterei la firma!).
Grazie infinite ad entrambi e che la MPB sia sempre con tutti noi!
Abraços
Claudio
Fra Nuova Consonanza e Música Popular Brasileira
2011-02-02 00:28:02|
...x questa bella intervista a Giovanni che abbraccio forte.
Maestro, son placide tutte le ore che noi perdiamo, se nel perderle come in un vaso mettiamo fiori. Non ha tristezze né allegrie la nostra vita. Così sappiamo, incauti saggi, non tanto viverla, quanto fluirla, tranquilli, placidi, con i bambini come maestri e gli occhi colmi di Natura. In riva al fiume, lungo la strada, come ci viene, nel sempre uguale lieve riposo di star vivendo. Cogliamo fiori. Bagniamo lievi le nostre mani nei fiumi calmi, per imparare calma anche noi. Girasoli sempre fissando il Sole, nessun rimorso d’aver vissuto, calmi usciremo da questa vita.
Ode (del 12.6.1914) di Ricardo Reis (Fernando Pessoa).
Un saluto da Benedetto Fanna de I Canzonieri
I miei complimenti a Stefano La Via...
2011-02-02 00:26:55|
...x questa bella intervista a Giovanni che abbraccio forte.
Maestro, son placide tutte le ore che noi perdiamo, se nel perderle come in un vaso mettiamo fiori. Non ha tristezze né allegrie la nostra vita. Così sappiamo, incauti saggi, non tanto viverla, quanto fluirla, tranquilli, placidi, con i bambini come maestri e gli occhi colmi di Natura. In riva al fiume, lungo la strada, come ci viene, nel sempre uguale lieve riposo di star vivendo. Cogliamo fiori. Bagniamo lievi le nostre mani nei fiumi calmi, per imparare calma anche noi. Girasoli sempre fissando il Sole, nessun rimorso d’aver vissuto, calmi usciremo da questa vita. Ode (del 12.6.1914) di Ricardo Reis (Fernando Pessoa).
Un saluto da Benedetto Fanna de I Canzonieri
Fra Nuova Consonanza e Música Popular Brasileira
2011-02-01 21:20:22|di Calogero
....Bellissima intervista!!!!!! Gli aneddoti della Vita Artistica e Umana sono il percorso di una generazione che ha sempre guardato fuori dai confini culturali di un Paese ormai perduto e in balia del "brutto" e dell’apatia del vivere. Calogero
Fra Nuova Consonanza e Música Popular Brasileira
2011-02-01 12:42:46|di Fabrizio de Rossi Re
Conosco Giovanni e la sua musica che mi piace da sempre.. Sono certo che negli anni la sua musica, così particolare e così diversa dalle altre musiche dei colleghi contemporanei possa trovare un grande riconoscimento strada facendo...ne sono sicuro. Apprezzo questo "rigore" nella libertà di pensiero musicale che traspare dalle parole e dai pensieri di Giovanni ( come del resto, buon sangue non mente, nel papà Domenico, che è ancora oggi un punto di riferimento fondamentale per molti compositori della mia generazione) Un rigore che lo porta ad affrontare con serena e decisa fermezza il suo percorso artistico.. cosa davvero rara oggi in questa babele di opinioni e di proposte.... Molti complimenti a Giovanni ma anche al prestigioso intervistatore Stefano La Via che ha formulato con grande acume le domande.. Un caro saluto !!
Fabrizio de Rossi Re
Fra Nuova Consonanza e Música Popular Brasileira
2011-02-01 12:02:19|di Pedro Scassa
Sono brasiliano e vivo a Roma dall’88. Io e Giovanni ci conosciamo da dieci anni e ho avuto ’opportunità di conoscere le sue diverse "anime" musicali. Ho anche avuto il piacere di partecipare - anche se in modo indiretto - al suo vecchio sogno di conoscere la mia terra, in particolare Rio.
Dalle nostre chiacchierate ho appreso che Giovanni apprezzava il Brasile sin da piccolo e credo che non sia esagerato dire che lui in qualche modo "sia" brasiliano da sempre, quasi più brasiliano dei brasiliani stessi. La sua conoscenza della MPB è enciclopedica e questo amore si riflette, puntualmente, nelle sue composizioni.
Parlare quindi di influenza brasiliana è fuorviante; è Giovanni, con la sua legittima passione, a influenzare amichevolmente chi con lui incrocia le vie musicali.
Um abraço, João!
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Fra Nuova Consonanza e Música Popular Brasileira
2011-02-15 18:41:32|di fausto sebastiani
Un’intervista che si legge tutta d’un fiato segno di uno spirito artistico forte, sincero e sopratutto originale; infatti Giovanni, che conosco da diversi anni, ha sempre indagato sentieri particolari, lontani e inattesi, come se la sua cifra stia nel nascondersi tra le pieghe di musiche altre per restituirle con un colpo di coda assolutamente personale. Bravi tutti e un caro saluto!
Fausto Sebastiani