Absolute Poetry 2.0
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Francesco Accattoli, La neve nel bicchiere

Fara, Rimini, 2011

Articolo postato sabato 17 dicembre 2011
da Renata Morresi




Se questo cosmo

Se questo cosmo
che a noi sembra così minuto

potessi io racchiudere in svelte parole,
sbilenche o irridenti,
spiegando tracce con tratti
violenti e ingrati;

come sola la mano esegua
un percorso orbitale

possa io vivere in vere parole
l’adunarsi di lumi e di lune
attorno ai tavoli dei caffè.



Vicino al temporale

La luna ora
è un dito puntato, sfacciato,
su di noi,
costruiti come case popolari;

l’elettricità evade
le apparenti nubi,

al limitare
di parole indovinate



Arrivi

S’intuisce dall’odore del metallo. Uno dice
“è da qui che si torna a casa. Avevo visto
farsi notte all’improvviso, guardavo il filo
dei binari, sui binari era scritto il nome del paese”.
Uno accanto è rivolto agli oleandri, ha reciso con tre balzi
la distanza che separa entrambe le direzioni.
Ci vuole poco a superare un piazzale senza nome:
si fermano le auto incolonnate, si stirano altri treni
regionali, lampeggiano i fanali agli stranieri.
Che veloci si guardano intorno e dappertutto
noi viviamo in quelle case.



La resa

Ho concluso, con le spalle serene,
di schiena alla pioggia.
La resistenza ci ossequia, ad uno
ad uno perdiamo il gusto,
diventiamo sottili osservatori, fumiamo,
ci riconosciamo in un buongiorno largo.
Da ieri la poesia ci nuoce,
perchè la verità
è un incontro ed io non sono
sicuro di ciò che è dietro le parole.



Ed il mondo lontano partirà lontano

Sarebbe inutile
togliere le chiavi
ai chiavistelli, le porte
ai cardini,
disserrare le finestre
serrandole con le mani.
Così noi,
ad uno ad uno,
disamorando in fila;

ed il mondo lontano
partirà lontano.



Noi passeremo le colline di sale

Noi passeremo le colline di sale
poste a levante,

e a levante andremo,

seguendo il solco cartesiano
del sole,

in una zona che non è più uomo
o femmina o strumento manuale.

Viviamo per punti.



*


(dalla Prefazione)



“Cambio di stagione” è la sezione iniziale di questa nuova silloge poetica di Francesco Accattoli. Ad aprirla è un testo intitolato “Il varco”, il cui primo verso recita: “Non accenderò una poesia della negazione”. Un doppio passaggio sta dunque al principio di questo lavoro: quello temporale dei cicli stagionali e quello fisico del valico. Insieme essi segnano il confine che siamo chiamati ad attraversare per entrare nel libro, offrendo sin da subito una dichiarazione di poetica che è anche un atto di fede: che si possa ancora credere alla poesia come via possibile, educazione alla vita, verità singolare (nel senso di propria del singolo, su misura di quell’uno/a – eppure ’singolarmente’ ulteriore a sé – , e nel senso di ’strana’, indiretta, sempre obliqua, inseguita verità).
Accattoli accoglie il mandato umanistico e umanissimo (quindi potenzialmente irto di errori, di conflitti) della poesia come testimonianza e custodia del mondo. Non “negazione”, ma “svolta-virata positiva o comunque pro-positiva” scriveva Remo Pagnanelli nelle sue note di “etica-poetica”. Che accolga dunque l’invenzione e le avventure della lingua in “un progetto di rifondazione civile” [1]. Per il poeta maceratese la poesia era soprattutto ricerca di verità, scoperta e presa d’atto di ciò che siamo profondamente, svelamento di gesti e di storie: di questa tensione didattica e conoscitiva Pagnanelli fu giustamente maestro. Forse anche deluso maestro, la cui tragica parabola umana sembra denunciare la poesia come “strumento inservibile, inerme” [2]. La ricerca di significati forti, di senso autentico, è viva e bruciante anche in Accattoli, che fa del rapporto tra verità e apparenza, tra autenticità e falsa coscienza, uno dei motivi dominanti, senza però rinunciare alla possibilità romantica che la poesia appartenga a un “io” e irraggi una propria luce segreta.
“Nulla è sicuro, ma scrivi”, diceva Fortini, pronunciando non il mesto autocompiacimento degli sconfitti, ma il riconoscimento del piacere nel continuare a dire sì al mondo. Così in Accattoli la volontà di lucidità, di consapevolezza del reale, si trasforma in laica preghiera alla coscienza, che non ceda né all’illusione, né al cinismo, e continui a illuminare una finitudine che può essere piena di stupori:

possa io vivere in vere parole
l’adunarsi di lumi e di lune
attorno ai tavoli dei caffè.

Diffida delle “cattedrali di parole” il soggetto poetico di questi testi, si interroga sull’ambiguità della poesia come fuga dal reale, come consolazione estetica. Adotta una voce lirica nel solco di una tradizione consolidata, ma rifiuta l’incantamento che non rende conto della precarietà della condizione umana, la cui “eco giunge dalle macchine operaie e dagli aghi / dei pini” e sempre ritorna “in quel suo pianto / che non mi riesce di colmare”.
Alla necessità, con cui deve misurarsi sia la fragilità esistenziale, sia una dimensione sociale sempre più incerta, il poeta oppone la sorpresa dell’incontro umano, il passo d’una ragazza, la lettera di un amico, o la sapienza semplice, che echeggia di un ethos contadino perduto, delle madri e del pane. Troveremo vino e feste e viaggi in questo libro, passeggeremo in strade straniere o per le sagre di provincia, mossi non dall’ebbrezza, ma dalla ricerca d’uno spirito più schietto e durevole a riempire “il boccale immenso, spumeggiante / d’oro” che già fu di Rimbaud [3].
Accattoli esplora dunque il rapporto tra il volere alto dei propri desideri, stare in una tradizione poetica, l’essere “santi / nell’ispirazione”, e l’evidenza delle “nostre ginocchia / sbucciate”, il ritrovarsi “nudi e malandati e bastonati” in una storia che si sbriciola. Di più: abita questa “asimmetria”. Su e giù sul lembo del difficile equilibrio tra purezza e impegno materiale, tra ricerca interiore e storia pubblica, tra io appassionato e furore del mondo, il poeta cerca di rintracciare le celate vie che uniscono i destini individuali e le forme della società, poiché lì, nel loro comporsi, vede sbocciare la grazia:

se il mio punto d’equilibrio
s’adattasse per un soffio
allo sguardo, alla vita
della giovane cassiera,
ogni algebra direbbe
la circonferenza pura
d’ogni forma sul pianeta.

Vi è uno sdoppiamento che è intimo alla vocazione della poesia lirica come ricerca di senso: per guardare il sé e il mondo e scoprire i segreti rapporti tra le cose occorre essere autentici a se stessi e al contempo uscirne fuori, lasciarsi investire dagli eventi e isolarsi, starsene “come un merlo dal becco giallo sopra / il legno di un baobab” e poi tornare alla parola umana. Senso e non-senso si tengono insieme, si compenetrano; noi siamo chiamati a decidere, a distinguerli.
Ricorda Maria Zambrano che la parola poetica è gesto liberato dalle circostanze, che riporta al centro di se stessi [4]. Non è mai al riparo dalla vita nuova che sopraggiunge, non la comprende mai totalmente, ne è sempre superata, ma al tempo stesso riporta al dato materiale, alla scaturigine che di continuo ci raccoglie e ci scaglia lontano: lo sfiorarsi delle spalle lungo il viale, “il bianco tra le tue collane”, le periferie polverose, le “minuscole stazioni della riviera”, il sapore della crema la domenica mattina, il profumo del basilico, i nomi orgogliosi delle strade, “un poco di neve in un bicchiere”. Nell’esperienza di un bicchiere di neve bagnato di sapa, improvvisata granita di sciroppo di mosto, Accattoli rinviene una metafora felice per gestire le dicotomie: con esso recupera una memoria viscerale, un sapere limpido, un rito condiviso con gli affetti primari, il cuore dolce e freddo di un’invenzione che tiene insieme la bellezza illimitata della neve nella misura domestica d’un bicchiere. La portata immensa di un bianco indecifrato, il caos-mondo che non si può afferrare, si raccoglie nell’estensione possibile del calice. Sta, come recita l’epigrafe di Fortini, nella “misura della mia mano” quel bicchiere di neve, proprio come un libro.
Non meraviglia allora che gli scenari della poesia di Accattoli compongano una mappa emotiva di passi compiuti, interni domestici, strade vissute, utopie e luoghi collettivi: dai giardini di provincia alla stazione di Bologna, dal barrio viejo di Barcellona ai corridoi della scuola, dai filari di campagna alla Festa della Liberazione. In questa topografia finiamo anche “noi, costruiti come case popolari”, radicati in quel che siamo e protesi verso fuori, come “il mio cuore, nel farsi davanzale”.
Gettati nel mondo, nel suo rumore indifferenziato, non si scelgono i vicini o l’origine, non si scelgono la famiglia o il paese: si accade tra e con loro, e insieme a loro (a volte contro) si è chiamati a intessere fedi contraddittorie e fragili speranze, moti vivi e scelte complesse, che, con fortuna o dolore, più spesso entrambi, diventeranno l’irripetibile biografia di ciascuno. In qualche modo, per la sua unicità, sempre un ’successo’. Per altri versi, comunque un dissolversi anonimo nel tutto. Per resistere e orientarsi in questa “cospirazione tra caso e infinito” [5] Accattoli scrive poesia che, pur nello scenario degli eventi contemporanei, ha inclinazione gnomica e pulsa di tensione classica, poiché cerca il senso anche nella sua vocazione musicale. Il tono epico-lirico si alterna a quello orante, cantato in “ferma eloquenza” [6], in dettato che vuol essere chiaro e alto. Si abbandona, sì, ma non panicamente, bensì con la suggestione che il senso profondo da sapere è nella viva materialità del tocco. Perché “la verità”, dice il poeta, “è un incontro”. È da un gesto puro e realissimo come uno sguardo che, non dubito, la poesia di Francesco Accattoli proseguirà la sua ricerca.


Note

[1] Remo Pagnanelli, “Punti per una improbabile etica-poetica”, in La Collina, 8, 1987 (oggi in ).
[2] Massimo Gezzi, “Nel cielo delle infinite potenzialità: l’eredità di Remo Pagnanelli”, in In quel punto entra il vento, a cura di F. Davoli e G. Garufi, Quodlibet, Macerata, 2009, p. 93.
[3] Arthur Rimbaud, “Al Cabaret-Vert”, Opere, Mondadori, 1997, p. 69.
[4] Vedi Maria Zambrano, “Perché si scrive”, Verso un sapere dell’anima, Cortina, Milano, 1996, pp. 21-31.
[5] Alain Badiou, Manifesto per la filosofia, Cronopio, Napoli, 2008, p. 74.
[6] Leonardo Mancino, Nota introduttiva a Come acqua che riposa... di Francesco Accattoli, Stamperia dell’arancio, Grottammare, 2007, p. 8.


Renata Morresi


1 commenti a questo articolo

Francesco Accattoli, La neve nel bicchiere
2011-12-23 00:15:45|di Giampaolo Dp

Bello quel verso dalle spalle serene!

Continuo la lettura, portato qui dalla curiosità per l’ottimo lavoro di sempre della poeta Morresi.

saluti,

Giampaolo Dp


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