Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

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Frecce verso l’altro N. 3: ISABELLA DI BIASE

di Elisa Biagini e Fabio Zinelli

Articolo postato giovedì 26 agosto 2010

Isabella Di Biase. Dice di sé: «Sono laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Bologna. Il mio interesse per la poesia nasce nei primi anni delle scuole superiori, anni in cui inizio a scrivere le prime composizioni sotto forma di testi di canzoni. Ho sempre avuto una passione per lo scrivere in generale, soprattutto per le forme più creative e non codificate di scrittura. Nel 2006, nel 2007 e nel 2008 sono stata selezionata per la realizzazione dell’antologia di alcuni premi di poesia indetti da “Il Club degli Autori” Casa Editrice Montedit. Nel 2010 alcune delle mie poesie sono state pubblicate nella raccolta Frecce verso l’alto, antologia curata da “Il Nodo Sottile”, edita da Marcos y Marcos e risultato del concorso “Born to write 2009».
I testi di Isabella Di Biase nascono nel campo del soggetto che scrive e si auto-scrive. Lunghi tracciati di versi che scattano l’uno sull’altro per ripetizione della molla dell’enjambement, rappresentano una sorta di diagramma fenomenologico, la linea curva del soggetto «nel non divenire». La sequenza lineare dei testi è un vettore temporale, perdita («guardo le mie cellule / diminuire»), possibilmente da «riparare». Se c’è un freno possibile all’emorragia in atto, è quello della grammatica, cioè l’esattezza dei valori linguistici in campo, un centro di ostinata resistenza: «ricucirò e capirò i verbi».
E.B., F.Z.

LISCA

Ora mangiate righe queste onde
senza antidoto sempre sulla
linea senza un fuoco e un vai
quella casetta reattiva e le arie
rullatrici mute stelle insieme
a rimarginazioni fraudolente
correggi la vista senza impronte
frizione tra rocce cadute orli
dimenticati sequenze incantate
entro ed esco dalla danza
forse mi appoggio per un respiro
profondo ingoio chiodi su base
di fresco prato indicami
l’orizzonte ricerco le pinze
e le distanze variabili una pallina
fluorescente saggia non si ferma
è una bomba le due dita la
pelle sopra cui viaggiano le intemperie
l’altro campo è usurato questo
allagato ghiaccio che soffia d’estate
separato dal ferro che trasporta
le finestre ancora chiuse trema il
mantello non si vede chiudere
il circuito se no passa corrente il
pianeta sbuca alle spalle
pastiglie consumate ponti di legno
mai oltre la metà tocca il terreno.


ALLIO BERTS

Come le acque stanche ora
vedo solo risultati non processi
e il lampione che sbatte contro
la serranda mille luci senza
falene ricucirò e capirò i verbi
aggrediscono e poi scompaiono
non ci sono rotaie oltre questa
sosta non le costruire perché
non si possono toccare se viaggi
poi maledici scolorisci il rosso
tra i numeri scivolosi riparo
le asole le gonfio ma già suona
il prossimo sole sbatto la ciotola
basta incarti manomessi e parole
mancanti mentre questa fabbrica
produce sequenze chiuse c’è uno
spazio tra la finestra e la luce
sposto la sedia apertura graduale
anche se non pianto i piedi
il fiammifero sorride automaticamente


SIT YOUR DAY

Fiori di ghiaccio su chi porta
via maggio con le cime sezionate
e le strade che scorrono al
di sopra di un battito di ali
oculari arrivaci senza aiuti
si dimezza la battuta si moltiplica
con calma si racconta imparo
dallo specchio bisogna riempirlo
di sabbia che fa nascere il sale su
ogni sogno almeno segni guardo i
connotati rivoltati del cielo marino
perché gli attimi alcuni a volte
non si estinguono lunghe code
raggiungono i centri neurali trova
le tredici chiavi dammi un atomo
sciolto per il pennello tu che sbatti
le braccia e non cadi subito
lì le rocce senza gambe
ti cadono la gola e il testo senza
timore vago salvandomi ma poi è un
volo dalle piume cromate tra
tratti e tagli il fiume scarlatto
tremano le catene e le taverne
trema la tarma e il verme.


MAPPA

A metà tra i due mondi
al riparo sotto
una curva
dentro il ventre
del pesce
ascolto le onde
parlare
la tempesta
partire
ed esibirsi
sulla terra
brezza amplificata
da tubi metallici
aspetto la coincidenza
di richiami
dell’emisfero sentito
per tornare
ad un letto ed un menu
da imparare
ad una ampia veduta
su una camera
con luce soffusa naturale
a volte il tramite
rimane aperto
quante volte ho cercato
di trovare un modo per
aprire scatole ammucchiate non riesco a smettere
di rovistare
per cercare di
trovare un modo di
non far troppo rumore naturale
vado a far la ronda
per controllare
le stanze senza sole
in punta di piedi
guardo le mie cellule
diminuire
per arrivare e regredire
ad uno stato primordiale
da completare
per riparare.


HEART TO EARTH

A tuo agio nel
tubo
stesa tanto ne hai
diritto
non ti pieghi
vedi colori che non
riesci ad immaginare
oh giovane statura
che tanto respiri
intense fuoriuscite
compresse e tempi
morti tutti uguali
le teste come lampioni
stato permanente
osmosi di bruciori
dritti sui muri mete
sospese
quell’inizio e quella fine
che non finisce ti
nascondi tra le braccia
del vulcano tenero buio
coprente che sonno dolce
pavimento di ovatta
vento sospeso mille
nomi rimbombano
e non tremi
voci che finiscono e
non penetrano solo
brusii che impari
ti ripari dai sintomi
e scavi un trono e
regni sui topi
allenati ma nessuno sa
che sbandi che segni
sogni senti tutto ma non
trattieni nella mente il
passaggio che
sfugge al normale sguardo
e calma finalmente una
vera notte nasci alla terra
in bassorilievo ma vedi
non hai sonno lì non ti
stendi allora chiedi alle
scale di risucchiarti
assenza di gravità
vicina al centro liquido
gli antichi suoni
l’aria satura ti sterilizza
lasciami qui nelle lente
geometrie
nel non divenire.



MINIMUM

Lingua di sabbia penna vuota
quando musa muta specchio
evito l’occhio che guarda il
suo riflesso parli quando parlo
io tengo in mano codici e
attraversamenti socchiusi
parli quando non ho tempo hai
le frecce e il vestito blu spari le
catene ma non trovo ceramica
o pennello poi cassetti di immagini
inventi chiavi torte di cravatte sei
il riassunto la recita è stata
posticipata forse parlo o grido
dentro un aquilone preparatevi
buste e onde elettromagnetiche
il club delle provviste dei sentieri
perduti da trovare rotonde di
parole applicazioni di bufera
dentro la bottiglia che nuota
dall’altro lato del sole scarto le
briciole apro i cassetti



NODO PARLATO

Le cime si uniscono e si disgiungono, danzano come le parole. Le parti del discorso divengono mobili, plastiche e intercambiabili. Si avvinghiano alla carta come le cime all’ancoraggio e si fissano per un attimo che io congelo. Ho scelto il “nodo parlato” che è per definizione il nodo più semplice da realizzare, ma anche uno dei più resistenti. In questo tipo di nodo le cime si intrecciano e poi subito divergono, si incontrano in un punto poi seguono la loro strada all’infinito. Nella mia poesia le parole, prosciugate del loro senso più certo, si incontrano in un preciso punto di significato per poi continuare ad avere il loro ruolo usuale. Io fisso questo momento che è funzionale all’espressione di un mio pensiero o alla descrizione traslata di avvenimenti. La mia poesia non ha inizio e non finisce con il punto, ma è un estratto di un continuo dialogo tra l’essere e il mondo circostante.


***

Cos’è Frecce verso l’altro: qui

Frecce verso l’altro, n. 1 - ANDREA CIRILLO: qui

Frecce verso l’altro, n. 2 - CARLO CUPPINI: qui

3 commenti a questo articolo

Frecce verso l’altro N. 3: ISABELLA DI BIASE
2010-09-01 12:48:28|di carlo cuppini

Isabella scrive con una sapienza che non sa. una sapienza tutta dentro le parole, le articolazioni, i versi. lei non sa e non deve sapere. neanche noi che leggiamo dobbiamo sapere. il primo verso detona nel nulla: microbigbang, umano e disumano, comunque prossimo al "noi", al corpo nostro che sente e recepisce gli accadimenti. e nell’esplosione c’è l’energia che gioca fino in fondo se stessa, spremendo e impegnando la materia, i materiali verbali messi in campo, fino alla fine dello slancio, fino all’entropia. fino a un attimo prima dell’entropia, per la verità, perché prima della stasi finale cala -sapientemente - il sipario. non si può vedere l’inizio non si può vedere la fine. panta rei, e tanto ci basti: ciò che scorre, sfuggendo, ci riguarda.


Frecce verso l’altro N. 3: ISABELLA DI BIASE
2010-08-30 23:06:05|di curétor

Caro gabriele,
metto lì un’ipotesi, mi interessa questo “non andare da nessuna parte” che dici. Lo spiego che in una poesia ci sono il “suono” e il “senso”. Immagina di mettere uno e l’altro su due nastri magnetici diversi (proprio quegli oggetti che usavamo prima e che sono ancora uno “strumento” della musica contemporanea). Falli girare nello stesso tempo. Per me questi versi hanno il fruscio ipnotico del nastro, ma se ascolti il senso non senti il suono, se ascolti il suono perdi il senso. Non c’è mai un punto dove si toccano, arrivi in fondo e non c’è neanche un finale drammatico che mette le due cose insieme. C’è però un rumore chiaro, un ultimo scatto che dice fine testo, fine esperienza, “1st take”. Se ne leggi un altro si ricomincia, “2nd take” e via di seguito. Mi piace questo, uno stacco pulito: sentire uno che parla senza capire cosa dice, o tolto il sonoro vedere le labbra che si muovono sentendo però stranamente le parole nella testa. Non è mica facile scrivere così, puoi perdere il tempo, o mettere troppo suono o troppo senso. Ci vuole controllo e magari la ragione tua intima per cui ti sei messo al tavolo a scrivere te lo farebbe anche perdere, ma non ci caschi. Bisogna essere bravi...


Frecce verso l’altro N. 3: ISABELLA DI BIASE
2010-08-29 13:07:40|di gabriele nugara

ci somigliamo molto, questa forma di poesia mi piace, anche se rischia a volte la monotonia perché non sa proprio bene, esattamente dove andare, allora un po’ si ripete. ma chi scrive va rispettato e protetto. se non proprio pubblicato.


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