Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

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Redatta da:

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Frecce verso l’altro, n. 2: CARLO CUPPINI

di Elisa Biagini e Fabio Zinelli

Articolo postato lunedì 2 agosto 2010

Carlo Cuppini. Nato a Urbino nel 1980, nel 1998 è finalista al Premio Campiello Giovani con Il mago, romanzo fantastico su Giordano Bruno pubblicato da Marsilio Editore in I ragazzi del Campiello 3. Frequenta il DAMS di Bologna che conclude con una tesi sull’artista e coreografo Virgilio Sieni. Con il quale, poi, lavora per quattro anni come assistente in una miriade di progetti strani e affascinanti tra danza, teatro, arti visive, territorio.
Vive a Firenze dove lavora come redattore nella casa editrice Maschietto Editore. Collabora con la Compagnia Virgilio Sieni Danza, CANGO Cantieri Goldonetta e altre realtà culturali.
Recenti pubblicazioni: Se in Palestina scoppia la non-violenza, reportage da At-Twani (in "Latinoamerica" n.109); Il domatore di ragni, micro-racconti in forma di cartolina postale, illustrati da Giorgio Fratini; una raccolta poetica nel volume Frecce verso l’altro, curato da Elisa Biagini e Fabio Zinelli per Marcos y Marcos (selezione Nodo Sottile-Born to Write).
Tiene un blog-cantiere: http://militanzadelfiore.blogspot.com
Parte dei testi di Carlo Cuppini antologizzati in Frecce verso l’altro si muovevano sul terreno consolidato del mimetismo delle scritture del corpo, tanto che il soggetto poteva essere non solo chi scrive ma il foglio stesso su cui si scrive («Arrivato alla fine del braccio / va’ a capo»). Ne è una prova il (nuovo) testo che apre la scelta di poesie che si legge qui sotto. Lo spazio chiuso tra testo e corpo attira però al suo interno per includerveli i personaggi della Storia con la S “grande”. Nascono allora, con una moltiplicazione di immagini che colorano come traccianti questo spazio chiuso, le Canzoni per un fiore di Palestina, e Estate, altrettante meditazioni sulle nostre “notti di pace occidentale”
E.B., F.Z.


Rischio

Scandaglia attentamente ogni
anfratto del corpo tra
ascelle e canini sotto
costole e lingua
oltre le rughe e tutto
intorno al femore alle gengive
tra le dita dei piedi nel bianco
dell’occhio tu esplora
pertugi fessure dove l’angelo
madreperlaceo - così sminuzzato -
si potrebbe annidare.

E arrivato alla fine del braccio va’ a capo
perché è lì che comincia
l’assenza il bordo del volto è
confine
col vuoto e in fondo allo
sguardo non s’apre che
l’eco.

Corpo smangiato dal bianco
eroso da ciò che lambisce e
corrode e scrosciando
sparisce.

E ora l’angelo avrà lampi d’aurora
nitore abbagliante in fondo agli occhi
suoi ciechi - non occhi ma vuoti
crateri cavità che ti accolgono
ti sono tana mentre tu
ti rivolti e ti frughi divorato
dal morbo di cercare su te
il segno di un volto che irradia
la cicatrice di luce la piccola
impronta di un’ala.




Canzoni per un fiore di Palestina



1. Verde

Questa donna buttata in terra
aggrappata al tronco di un ulivo secolare
questa donna che ha finito di piangere
perché ha finito le lacrime
potrebbe essere la madre di mia madre
che scongiura la sua infanzia rurale
i fantasmi assiepati nel pagliaio:
non tornate.

I soldati erano dieci
hanno dato al suo uomo la scure
hanno detto: l’ulivo va tagliato
potrebbe servire al terrorista
per nascondere l’arsenale
per lanciare granate granaglie o grandi frittate
oggetti comunque pericolosi
per la gente che difendiamo.

Hanno detto: abbattilo vecchio
tu che sei vecchio e rugoso
tanto quanto l’ulivo
e poi è il tuo giardino.

E l’uomo tirava accettate
su ogni istante del proprio passato
su ogni parte del proprio legame.
Dio soltanto poteva guardargli
nel catrame del cuore.

La donna ora dice: non morire
albero vecchio mio amato marito
sui tuoi rami dormono i morti
tra le radici aspettano i vivi
se crolli tu chi curerà il mio domani?
noi sradicati dove andremo a morire?

I soldati ringraziarono
ripresero la scure e
buttate le cicche nel giardino
continuarono il giro.

*

2. Nero

Se esplode la finestra
esce la luce
come il sangue dal naso
in terza media
e l’ombra del sole piomba addosso
se l’elicottero che a mezzo cielo
s’è frapposto
comincia a sparare.

La violenza sbiancata
che rimbalza sui muri alle dodici e ventitre
– così riporta il telegiornale –
e poi ti raggiunge e ti ustiona
la faccia le cosce il torace
disegna la tua ombra per terra
delinea lei stessa il confine
che non può oltrepassare.

E nell’ombra sta acquattato come un puma
in attesa di slancio
il tuo destino di vetro
insieme alla compagine dei morti
che ora - infranti -
altro luogo non hanno all’infuori
della pozza scura ai tuoi piedi
dove piangere i vivi.

[...]

*

4. Bianco

Riposami gli occhi
canta una canzone
non saremo più soli
forse domani
forse già ora
andrà in pezzi la storia
lasciandoci incolumi
nella bolla del respiro
protetti dentro il cuore del boato
potremo così non sentire
le avulse profezie della strada
staremo qui fermi saremo
quasi umani figure
rese uguali e non
sentiremo
dolore

*

5. Niente

Crollata la spalla
la luce in controluce
il lago nottetempo straboccato
la gente evacuata dal sole
terremoto bombardato dai droni.

Non è la primavera che sale.
Questo inverno di furore ci riguarda
dalla pagina finale del bestiario.

Per l’igiene del tempo a venire
la lista dei morti alla mano
tacciamo.



Estate


Armatura medievale in regalo con "Gente"
a puntate - ottima al posto
della crema solare ripara
il corpo dalle radiazioni e
dal male.

Ci sfrigolo dentro sigillato
sbracato sul litorale adriatico
non mi nuocciono neanche
le zanzare chiuso nel
confortevole tepore che
come la marea sale sale.

E ripenso a quell’estate tropicale
di una dozzina di anni fa - la stessa
spiaggia il mare sempre
quello - quando abbronzati a naso in su guardavamo
gli F16 che rigavano il cielo
diretti a Est.

E per fortuna che c’era un bel grumo
di mucillagine sul bagnasciuga
a drenare quei pezzi di corpi
di Slavi del Sud che ci avrebbero
un poco – di certo
guastato le feste
– quei pezzi di gente su cui
i nostri soldati tiravano
a piene mani gli avanzi
del passato Capodanno petardi e
salsicce umanitarie a volontà
trallallero
lallà.




Il nodo semplice della scrittura

Il nodo semplice è un abbraccio gentile, se la corda è allentata. Simmetrico, tondeggiante, sinuoso, più di ogni altro nodo ha forma perfetta che evoca il sigillo. Stretta inesorabile finché la tensione tiene, se questa viene meno diventa inservibile: il nodo sparisce e la corda s’appiana. Tutto come prima.

Non c’è traguardo che metta al riparo dalla disfatta. Bisogna continuare a tirare, sudare, amare, iniziare, studiare, disimparare. Tendere al cuore delle cose, tendere bene da entrambi i lati il proprio stare, continuare la metamorfosi, sottrarsi all’ammaestramento, andare nei luoghi di guerra, camminare sul confine di luce. Andare. Il nodo semplice sa anche lasciare andare.

Disponi il filo a circonferenza, poi, passando da dietro, infila un estremo nel cerchio. Se tiri, il nodo si stringe: diventa punto di sbalzo, interruzione, scalino nella linearità del filo - lo sa bene la nonna che cuce -, determina ostacoli allo scorrere dei polpastrelli, dove l’inerzia del pensiero s’incaglia, la disattenzione cronica s’inciampa, lo sguardo per contraccolpo deve alzarsi dal suolo, dove stagna. Ci si può innervosire lì per lì, si può invocare una dose di fluidificante, per la serenità dello strisciare; ma poi potrebbe rivelarsi, proprio quello più incrinato, l’istante buono per la profezia: per lo svelamento, per la salvezza, per salvare l’inimmaginabile e annodare il proprio corpo alla visione. Potremmo perfino trovarci accanto al senso del dolore, all’essenza del sale; in presenza dell’umano.

Il filo è direzione e destino: fil rouge che serpeggia, si destreggia tra le anse della mistificazione in atto, si inabissa e riemerge tra l’orrendo psico-linguaggio del potere che ci circonda, colonizza, persuade e saccheggia. Il nodo è il saltello che risveglia l’istante al desiderio, lo riporta all’azione: è voce-parola che promette e modella, parola-rivolta che induce lo scarto necessario per tornare al reale, parola-pallottola che se manca il colpo si autocancella, si zittisce, s’incendia. E in caso d’incendio, per inciso, non c’è nodo che valga: meglio buttarsi nel fuoco, votarsi al fuoco -potremmo anche uscirne slacciati, affrancati, illuminati: il corpo ricoperto di parole argentate che, ancora una volta, avranno suoni e significati.


***

Cos’è Frecce verso l’altro: qui

Frecce verso l’altro, n. 1 - ANDREA CIRILLO: qui

2 commenti a questo articolo

Frecce verso l’altro, n. 2: CARLO CUPPINI
2010-08-06 00:39:21|di Luca Baldoni

I miei complimenti a Carlo, e ai curatori che l’hanno incluso nell’antologia. "Rischio" è un testo splendido; inchioda per tre strofe al corpo, scandagliato come si dice giustamente in modo mimetico, ma nell’ultima prende, e ci fa prendere, un volo che è come un sussulto. La concatenazione delle immagini e delle spezzature del verso rende splendidamente il compenetrarsi di esterno e interno, cielo e tana, ala e cicatrice.
Le "Canzoni" mi colpiscono ugualmente non solo per il tema, ma per la sapienza tecnica, la capacità di essere "memorabile" senza risultare retorico. Molto suggestiva anche la prosa poetica. Spero presto di poter leggere di più.


Frecce verso l’altro, n. 2: CARLO CUPPINI
2010-08-02 14:43:23|di fabio teti

molto interessanti, decisamente condivisi i temi. complimenti,

fabio teti


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