Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

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Frecce verso l’altro, n. 4: ALESSIO LUISE

di Elisa Biagini e Fabio Zinelli

Articolo postato martedì 14 settembre 2010

Alessio Luise, nato nel 1978 a Sesto San Giovanni (MI), è autore di canzoni, testi “sdrammaticati” e poesie. Laureato in Filosofia, lavora nei call centers per conforto e prima necessità da più di dieci anni. Da un tempo maggiore pratica la scrittura "sdrammaticata dell’invece delle cose”. Dopo gli esordi sperimentali ( “L’uomo non è volante, ma almeno può sterzare” – autoproduzione 2005), pubblica con Lietocolle Editore nel 2006 il libro “Concavo.Convesso.Corsivo.". Contribuisce poi con tre liriche all’antologia edita da Net Saggiatore “Subway-Poeti italiani underground” con prefazione di D.Rondoni. Appare anche ne "L’albero degli aforismi" (Lietocolle Ed. 2004), in "Roma verso Milano"(Lietocolle Ed. 2007), in “Ospite d’onore. Della Terra.” (Subway 2006) e nella biografia di Luigi Tenco “Il mio posto nel mondo” (BUR Rizzoli,2007). Scritti sperimentali sono apparsi sulle riviste “Confini” (ediz.La Vita Felice, Milano 1998/2003), Argo n.14 (Pendragon ed.), LaMOsca n.20 (Ediz. LaVitaFelice). Cantautore concettuale col nome Luisenzaltro ha autoprodotto i lavori sonori Inversioni aEIOU, in versione aUDIO (2004), L’uomo non è volante,ma sterza con furia (2005), Il corsivo è dell’autoradio (2006, Insicurezza sul lavoro (2008), La Situazione è un Pop Grammatica (2010) in parte trasmessi da RadioRai1, RadioPopolareMilano, RadioAlmaBruxelles.
Letteratura e precariato come condizione perfino antropologica in cui si muove il giovane laureato che scrive e che non ha nemmeno di lontano la possibilità di un posto di lavoro. Se ne è parlato soprattutto nella narrativa di questi anni (per es. Mario Desiati, e le ‘inchieste’ di Aldo Nove). Ora questo rapporto è tematizzato nelle poesie di Alessio Luise, dove il teatro dell’azione è quello di un call center, luogo che divora, anche linguisticamente, tutta la realtà: «Se poi ti dico Basquiat / vai per esclusione, non è un calciatore della / Francia, / non recita, / è un privato» (privato come opposto a ‘facente parte di una ditta’: cioè gli unici due concetti che riassumono le possibilità di descrizione del mondo). Dialoghi e voce monologante condividono sulla pagina storie di precariato. La sequenza a metronomo dei versi forma un ostinato che può ricordare la metrica regolare di Gabriele Frasca e si costruisce in un nastro testuale continuo, giustificato (infilzato) al centro della pagina. È la scorza di un principio di resistenza, prosodica, durissima.
E.B:, F.Z.


INTANTO.INVANO.INVECE.


INTANTO.

Nel senso della possibilità di un altro senso,
incontrare il senso è un senso all’incontrario
.

*

Dissimulando quello che sarebbe tale, nel
non
tutto di non tutti è consolante e impegna
l’alibi
direzionale,
nel frenetico complesso di spesa
la frase seguente è falsa
e quella precedente vera.

E nel non avere tempo
ancora abbiamo luogo,
nell’a consolazione di starci
a partire da un ammanco.
È l’utilità dell’aria cui
non chiedo più le ferie,
l’occhio espresso del
cassiere,
uno scusa e l’altro prega.

Come te di nuovo, sotto la coperta
dei nostri a mo’ di tregua:
qualcosa che non c’è,
ma invece.

Lo dico intanto che pronuncio questo invano,
che sono appunto invece, al punto e al posto
fletto di un senso mica tanto, nel sistema inefficiente del
mio primo condizionamento -
nell’insufficienza d’aria, che perdura concentrata
nella veste
del riflesso, in chi sta aspettando a casa,
per crescita del segno e perdita del senso –

fino all’ora in cui sei ferma, magari
un po’ posata. Sul mondo che non poggia
siamo quindi ad affondare. Viceversa
ad affrontarci,
io mondo che pioggia,
ma in direzione opposta, contraria ed
altrettanto, in modo che
d’intanto. Tu dalla gavetta,
al fil di voce chiacchierato
e venuto al mondo. Il mondo già parlato.

**

Prima di un giorno dopo arriva
la luce avanzata dal
giorno prima e i dubbi che avevi
già da prima si mischiano ai mutamenti
di clima

questo quotidiano da
dopodomani archivia un altro ieri,

e alle dodici il sole divide il giorno
tra crescita e declino;

quello che sarà si fa già dedurre
da quel che lentamente da adesso
non è più, e c’è in noi qualcosa di uguale
a quel che ci oltrepassa

se la primavera un giorno svanirà,
resterò qui con te a ricordare

quel che prima c’era.

Se daremo la colpa alle poste
se nessuno scrive più
cartoline romantiche,
se le antiche
rovine di un tempo
ci guardano smarrire
ragione e sentimento

che fine ha fatto l’umiltà di fare quelle
cose
primavere ?

Non so se ce la fanno,
non molti altri invano.
il bello è che si resta,
senza averlo scelto, e l’accompagnamento
col tempo si fa spazio, tra monti
e cambio sveglia
nel senso
che ci diamo
il senso
che diciamo,
e siamo
intesi a suono.



INVANO.

La sera si disfa nello sfacelo delle stesse
stelle che stacca, là dov’era sino a poco fa.
Non è vero che non funziona niente.
Caso mai ogni tanto qualcosa va
.

*

Di notte è l’attesa
a farsi pazienza,
quella più santa
seppure tutto induca,
prima di tutto,
nel poco che prima sia tutto
di troppo, al meno male
ridotto ed indotto:

se i fogli sono lisci
ci sarà pure un motivo,
la vita non si scrive
e non è nemmeno bianca.

Per la dequalificazione,
dal tasso basso
delle occupazioni, nell’esigenza
di costare meno
sei
legame,

nella gavetta che
non trovi ma
di filamenti tratti,
contratti a tempo vuoto
tra zuccheri nel sangue

in pratica
rimbalzi,
ma
a mente
non passi.

Nemmeno
reclami.

Nulla
è stato fisso
da sempre
ad adesso,
nulla che non fosse
posto per l’ingresso,
se il mondo raramente
persiste nel suo aspetto.

c’è qualcuno eccezionale
che non ha regolamento, il dottore
per esempio,
che
lavora da quel sempre,
in quell’appartamento.

**

scende la vista, ma a noi cade l’occhio,
sui giovani veloci,
oppure
disponibili a cetomediatizzazioni
congiunte, anche di Domenica
e nei festivi,
allo stesso salario di loro padre,
ma all’Alfa Romeo nell’ottantatre.

Le partite si compravano
già fatte, le patate
erano già fritte,

ecco
a volte anch’io
rischio
l’interregionale.

Se poi ti dico Basquiat
vai per esclusione, non è un calciatore
della Francia,
non recita,

è un privato.


INVECE.

Quel che abbiamo fatto lo abbiamo
prima detto ed in mezzo matto
.

*

Ci vuole balcone
per dare nell’occhio,
per non andarci invece
della porta
una tenda in gomma,
ci vuole un mutuo per parlare
di chi abita una casa,
o dell’affitto dei suoi cari,
ci vuole in tutto
un bacio, quel tempo
mai tornato
nel tempo di
parlarne.

Fino ad essere pareti
saperle costruite
da chi si è detto tetto,
sui pensieri più cappotti,
le impressioni sdruccioline
un encomio scanzonato
in calce alle
incertezze:

è capodanno capovolto,
se stiamo solo intanto
sottovento a quando.

**

[…]
***

Le passo il responsabile,
d’estinzione in d’ostinazione,
sino all’ ostentazione
nel rammarico d’ammanco del daccapo
signora - mi attenda in linea grazie.

Che non sono più tornato,
nel non fatto di dirle
signora buone feste.

Nella forma di un posto dove stare con
l’intento di non arrivare collaboro
al progetto,
Nella forma di un posto dove
non so stare, non sarà una gran carriera.

Da piccino farai il cantante
l’inventore e il commissario,
poi ti troverai d’accordo
e alle volte sussidiario –
e se sarai sempre più
grande
non è detto che avrai amato,
le variabili del tempo si
ritrovano all’invece, di nascosto
tra la strofa e
di come ritornello
quel che d’altro gli avrà
dato – in effetti infine un capo,

pensabile
dentro e tanto quanto fuori a quel
sistema dato in cui non eri mai centrato.


Se la casa continuasse
non vivrei in un bilocale
ma se casa mia non fosse
non potrei tornare a casa,

Non è liscio ciò che è,
né ruvido ma volto.
E per quanto non lo faccia capo, da
sempre mette il muso, è ha
sempre lo stesso viso.

[…]


Per nodo di dire (nodo a otto):

Per nodo di dire l’elettrauto all’incrocio, ogni mattina, non sapendo il mio nome, mi chiama “bello”, per via della cravatta talvolta mi chiama “capo”.Quando scrivo sfavorisco la centralità del nodo che porto al collo. Cerco non tanto il legamento, bensì il capovolgimento, la reversibilità dei sensi, il ritrovo ribaltabile del filo del discorso. Per nodo di dire subisco la vocazione ad una scrittura d’evocazione. La pratico come disfunzione di-ssenso che relazioni la lettura al varco di-verso. Credo certamente ad una combinatoria linguistica, ove i limiti significanti giocano al nodo dei significati. Come ogni rappresentazione della realtà della vita, la poesia è imperfetta. Per nodo di dire, per quanto mutevole sia il mio esserci nello starci a fare, nell’imprecisione in cui abita l’invece del nominato, l’idea &egra ve; quella di snodare le improbabilità polisemiche del segno, nel trasloco temporale di possibile, imprevisto, esperito e frainteso. Nei miei nodi di fare c’è la misura del degrado, la provvisorietà dell’indicazione e l’instabilità formale del mondo verbale. Non raramente per nodo di dire scelgo deliberatamente la forma dubitativa, scrivendo e riscrivendo leggendo sperimento comprensività e ambiguità del linguaggio. In questa ricerca ciò che appare chiaro si esalta sino a perdere senso, quel che si presenta oscuro prova a rivelare se stesso mimando un accertamento. Per nodo di dire, avanzo un approccio consapevole del fallimento della rappresentazione verbale. Confido nella misteriosità poetica appartenente alla testualità, per lo più mi libero da metrica e retorica e chiamo s-d-rammaticato il processo di negoziazione del senso dedicabile alla parola.
A nodo mio soffro di mal di pensiero, per me conta il lasciato in sospeso, il detto male, il non detto e il suggerito. L’alluso sonoro e il concetto mobile scovano i tranelli della scrittura, fanno perdere l’equilibrio alla ragione sufficiente del senso, si dispongono alle precarietà, alle possibilità e alle indefinibilità degli stati di cose reali. Così come i significati definitivi non rispecchiano le particolarità di un’esperienza, la mia poesia non rassicura, non si annoda ad una conclusione, se non nel caso in cui essa sia apparentemente inaccettabile. La mia parola non avviene tra esseri intatti né tra forme stabili, esprime opposte verità, versifica a strappi, affronta la direzioni e le mutazioni del senso. La speranza è che le parole, nel suono e nel governo delle loro possibilità, inducano sempre un altro senso ancora, così da poter profittare di una poesia come di un incontro esclusivo e poco ordinario che metta in contatto il capo cognitivo col capo immaginativo, nel nodo torto dello splendido diritto della musicalità espressiva.
Per nodo di dire, la torsione ad incrocio, ogni mattina, non sapendo del come dell’allaccio, si rigira e rigirandosi si adatta ad ogni conseguenza. Per via della simmetria consegue forma continua, non tanto il legamento, bensì il capovolgimento, la reversibilità dei sensi – i capi della corda – il ritrovo nella forma ad otto adottata per l’occasione.
Si fa fiocco allo stesso nodo, su una scarpa qualsiasi, resta a piedi e lascia impronte. Così si suole. Dire.


***

Cos’è Frecce verso l’altro: qui

Frecce verso l’altro, n. 1 - ANDREA CIRILLO: qui

Frecce verso l’altro, n. 2 - CARLO CUPPINI: qui

Frecce verso l’altro, n. 3 - ISABELLA DI BIASE: qui

1 commenti a questo articolo

Frecce verso l’altro, n. 4: ALESSIO LUISE
2010-09-15 18:02:22|di carlo cuppini

concerti sconcertanti, le tue catastrofi verbali, e comunque ballabili fino al fondo del pensiero, e del bicchiere, bevendone con levità, sovrappensiero.
peccato non esserci conosciuti a suo tempo. chissà, forse in un poi.


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