Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Novella Torre è nata nel 1974 a Firenze, dove tuttora vive e lavora. E’ docente in una scuola superiore. Diverse sue poesie sono state pubblicate su riviste e antologie, tra cui Nodo Sottile 4 (Crocetti). Pubblica il suo primo libro La preda (Lietocolle, Como) nel 2007. Nel 2008 ha vinto, con alcuni inediti, il premio Poesia di Strada di Macerata, e la Biennale di Poesia di Alessandria. Nell’estate 2009 suoi inediti sono apparsi su "Semicerchio" (Le Lettere), ed è stata presente ai festival di poesia di Macerata e Voci lontane, voci sorelle di Firenze. Di recente ha partecipato a Pistoia alla manifestazione Primavera dei Poeti. E’ tra i poeti vincitori per il 2010 di Borntowrite, la kermesse creativa dell’Archivio Italiano Giovani Artisti.
L’attenzione per la messa a fuoco del soggetto che scrive è la “forma” delle poesie di Novella Torre. Il soggetto è marcatamente sessuato (per esempio nel dialogo continuo con l’altro di coppia) e socialmente caratterizzato, per quanto nei termini quanto mai incerti della condizione di insegnante («all’appello domando e poi rispondo», con scomparsa eloquente di un ‘tu’ o di un ‘voi’ destinatario). Stabilita l’identità di chi parla, con franchezza il soggetto è calato nel volume di un poesia/strofe che nell’energia del pattern ritmico vuole definire uno ‘spazio metrico’, alla ricerca di un abitabile poem of my own. Espressivamente, la frase si attacca al ritmo con volute asimmetrie («sapessi come io sono poco / fuori dai denti»), insomma altrettanti omaggi alla ‘tecnica’ del lapsus di Amelia Rosselli: spostamento di un’espressione comune, reimpiantata in un terriccio (nei suoi stati mutabili, in un io) sempre diverso. Poesia femminile come forma (non come opinione).
E. B., F. Z.
Da Il fare e il dire
I.
e ti giuro che non era come fare
o dire che mancavo, era
che tutti sapevano, tutti e solo io
da loro: dal lato sbagliato, come
nei quattro cantoni a cui in fondo
anche se io volevo non si è mai
giocato
sapessi come io sono poco
fuori dai denti, e molto più spesso
su montagne forti di cime e
di vergogne, quanto molto più spesso
stretta in gangheri che saranno
presto ruggine: forse domani
più piedi nel verso nei polmoni
liberi da anni di ripetere, ovviare
in questo modo agli altrui silenzi
di piedi che hanno allontanato
i padri i santi coloro che amavano
me in quanto carne, voce, orecchio
umano unico
da cui separarsi con un grido
bagnandosi le mani, le cavità
dove abiteranno
dove i piedi calpesteranno
quel che rimane dentro polvere tossita
che dilata fino a far parlare
II.
svegliami al rumore dei motori
e pensa al silenzio perfetto
in cui dev’essere immersa la campagna
in certe mattine neanche toccate
dai corvi
affiorano le pietre nel campo
come armi, coltelli che oggi come ieri
penetrano aperture sconosciute alla pelle
liberano l’animale dalla gabbia
e ciò che si vede
serve a chiudere e ad aprire
dentro a un corso d’acqua
annego come un cámelo nell’ago,
come un pruno, un uncino
nella carne
sembrava non dovesse più venire
il tempo del non ancora non adesso
e tra breve gli alberi sulla palude bianca
saranno come mani. Tra i fiori
ti perdo soprassedendo a quanto
non ha più senso di un dito
dell’equilibrio su un gradino,
l’inciampo lo smusso con un taglio
mi rivolto dietro a quella lastra
se non c’è più parola da dire
se non c’è più sangue né succo
né santi, non mi spavento e niente
e nessuno è solo
III.
Immagine ignobile disattenta
che in fondo si accontenta e tace
con il sorriso eterno che trabocca
di fronte al pane che tolgo di tasca
o spicco dalla bocca, che rimane
il livido, il bruciore. Figura imparziale
che accogli la nebbia come la pioggia
e come la galaverna che strizza
gli alveoli e intemera i picchi,
manate che stacchi l’unghia alle dita,
e dai ghiacci le acque,
i pesci dalle nasse, e stavolta il dente
s’affondasse, la spinta – non deludesse
All’appello domando e poi rispondo.
Mi aggiro tra una cosa e l’altra e se
ho speso troppo tempo
nessuno mi giustifica il ritardo.
Assegno qualcosa, in qualche tempo
tra il dire e il fare. Poi di nuovo dire,
ed ascoltare.
E al suono fuggo, o mi alzo per fuggire.
(l’insegnante)
Nascondo in una fodera in un guscio
quanto ho accatastato nello spazio
che mi difende che mi aspetta entrare
che cosa ne fa parte è un gioco
fermo al mio passare e intorno tutto
si muove mentre noi nascosti si
sussurra lenti e ci si chiede aiuto
grata fedeltà se non eterna
(la casa)
Dentro mi hai messo una radice
si è appesa alle ossa del mio collo,
alla clavicola, mi stringe il petto
ha allungato rami nelle braccia.
In autunno mi cospargerai di semi
passati al fuoco verde delle viscere.
Spingo le ginocchia in terra,
la spremo con le dita
riporto i semi all’acqua, mi scendi
dalle foglie, mi passi come il vento
sulle fronde chine dei capelli
Dove s’annida l’angelo
Da che cosa ho riconosciuto l’angelo
in piedi vicino alla mia porta, proprio
sulla mia, come se fosse – non so,
l’ho conosciuto dal trillare delle melodie
dei passeri, dei piccioni pedestri,
dall’agglomerarsi dei meli con le vitalbe
succhiasangue; forse dal suono
di cemento dello spaccasassi
come un flauto, l’ho riconosciuto perché
i campanelli suonavano,
le macchine passavano,
i cancelli scintillavano al sole - e pareva
il lavoro della separazione spento,
chiusa la voragine dei morti,
ferme la delusione e l’impazienza.
Ma avvicinandomi alla porta, all’ala
candidamente stesa, stava appesa
la bianca tenda parasole,
baluardo per noi
che insieme
ci dirigevamo
verso casa
Un nodo a bocca di lupo si allenta se non gli rimani vicino, se non tieni stretta la corda in mano. Ci sfuggono di mano le parole se non le appuntiamo, i fogli scritti se non li raccogliamo. Il cappio passa dentro e tira fuori, e dal cappio si cava poco raccolto, ma la ricerca vale: e ogni anno dentro alla bocca del lupo cade qualche verso nuovo. Li inghiotte come le domande che non mi faccio piu’, i dolori passati, i ricordi improvvisi.
E per uscire fuori una poesia deve dire e fare. Dire persone senza esitare e fare cose, lasciare andare, e rammentare. Dire quello che resta, fare quello che basta. Fare senza tutto dire, perche’ “si dice anche per non dire”.
Nel legame con i versi scopro indizi che stringo al passato, al presente. Come il nodo segna il legame, un’immagine tace, e una parola porta l’annuncio di quanto di me si salva. Lo salvo da una bocca senza ritorno, dall’insensatezza.
***
Cos’è Frecce verso l’altro: qui
Frecce verso l’altro, n. 1 - ANDREA CIRILLO: qui
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5 commenti a questo articolo
Frecce verso l’altro, n. 5: NOVELLA TORRE
2010-10-25 19:20:46|di novella torre
ringrazio alessio, caterina e renata dei loro commenti. La raccolta "il fare e il dire" prosegue una ricerca professionale e no su quello che sia o meno il caso di lasciare uscire, di "impastare".
come dice caterina, c’è uno spazio tra due poli; come vada riempito, è da vedersi, alessio, se il gioco necessario per farlo è illusorio. ancora me lo domando.
e ora un giochino davvero: si accettano ipotesi su chi sia secondo voi l’"immagine ignobile disattenta". in questo clima politico e sociale c’è da spremersi le meningi.
un saluto a voi e ai colleghi di borntowrite, n
Frecce verso l’altro, n. 5: NOVELLA TORRE
2010-10-15 16:43:15|di Alessio Alessandrini
"Prosegue imperterrita e agguerrita la lotta per la sopravvivenza della preda perfetta e prescelta che, fin dagli albori, rappresenta la felice vena poetica di Novella Torre. Con tutte le sue forze Novella persegue l’intento di sfuggire all’imminente agguato (dell’afasia? della desistenza? del disimpegno?), di trovare la via di scampo al duplice inganno, vuoi della ferocia della immagine ignobile e disattenta / che in fondo si accontenta, vuoi dalla facile tentazione del letargo, del distacco, dell’abbandono (della parola? dell’impegno? della resistenza? della scrittura?). Tra il fare e il dire e gli ipotetici e plurimi scorni che tanto comporta giocare una battaglia iniqua, si muove la visione ontologica e metapoetica di Novella, tornata a calpestare i, forse mai abbandonati, sentieri della caccia al verso e all’inclinazione umana, ormai troppo spesso appesantiti, affaticati, tossiti, per un sovraccarico di polvere e confusione. Non importa se il gioco giocato è illusorio, se lo si sta svolgendo dal lato sbagliato dei quattro cantoni, non importa se i gangheri saranno, già domani stesso, arruginiti, quel che conta è che resti almeno un’ombra della ferita, un livido, un piede inciampo che testimoni il mai domo tentativo di continuare a parlare oltre i silenzi e le fatiche, fosse anche degli stessi silenzi, delle stesse fatiche. E’ dunque la poesia quella preda così frale e vulnerabile? Certamente lo è! Vi si ritrovano in questi componimenti, in fieri, molti tratti di continuità con i versi de La Preda (Lietocolle 2007): la casa, gli angeli, i coltelli (per fare qualche evidente esempio), ma su tutti spicca la continua ricerca e senza soste di realizzare una lirica alta e raffinata che costringa il lettore a soffermarsi, a riflettere, a costo di spolparsi le dita; una poesia che non disdegna di sdoganare gli angeli, di ricercare il santo e mai scontato (oggi, più che in passato, cosa fondamentale) colloquio con i lari: i padri, i santi coloro cha amavano /me in quanto carne..."
Frecce verso l’altro, n. 5: NOVELLA TORRE
2010-10-14 15:38:28|di Caterina Bigazzi
Leggo sempre con piacere e attenzione la poesia di Novella, spesso ricca di richiami, di idee, di meccanismi stimolanti per la mente e per la sensibilità. Il titolo, qui, mi ha rammentato l’adagio "tra dire il fare... c’è di mezzo il mare". Ecco, quel mare che c’è di mezzo in questo caso può essere la poesia stessa, che tocca entrambe le sponde, chiamata a riempire lo spazio tra due poli, tra il parlato e l’agito, tenendosi in equilibrio tra la ricerca di parole che suonino un linguaggio ritmico e preciso, e l’evidenza dell’azione quotidiana, del suo manifestarsi in minimi gesti o ricordi importanti... Ne nasce tutto un piccolo grande mare, anzi mondo, pieno, traboccante di significato.
Frecce verso l’altro, n. 5: NOVELLA TORRE
2010-10-11 12:04:57|di renatamorresi
belli, mi piacciono molto questi testi in bilico tra astrazione e realismo intimo, tra correlativo oggettivo e ritmo del cantato - secondo me l’autrice dà il meglio di sé quando impasta la materia, piuttosto che nell’esplorazione dei meandri interiori: c’è potenza lessicale senza oscurità o inviluppamento sintattico o morbosità, mi piace, ed è una strada che merita attenzione.
un caro saluto,
r
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Frecce verso l’altro, n. 5: NOVELLA TORRE
2010-11-19 21:46:20|di GIAMPAOLO
LA TUA RICERCA LESSICALE,L’IMPASTARE CON SICUREZZA IL QUOTIDIANO (CHE TI TOCCA "VIVERE" GIORNO PER GIORNO,OLTRE "IL FARE E IL DIRE")HA IL PRIVILEGIO (OGGI RARO)DI RISCATTARE ASSOLUTAMENTE LA BANALITA’DEL "DIRE" IN VERSI IL PROPRIO VISSUTO PERSONALE,SENZA SENTIMENTALISMI O PIAGNISTEI ESISTENZIALI!QUESTO,PERO’,NON SIGNIFICA CHE NOVELLA NON SIA RICCA DI SENTIMENTI,DI MIRABILE AFFABULAZIONE DELL’ESISTENTE CHE ASPIRA (NEANCHE TANTO OSCURAMENTE)AD UNA TRASCENDENZA,AD UNA TEMPORALITA’CHE SCAVALCA IL CONTINGENTE,IL SINGOLO EPISODIO QUOTIDIANO.L’APE SUCCHIA AVIDAMENTE IL NETTARE DEI FIORI SPARSI,DEI FIORI QUALUNQUE; MA NE FUORIESCE MIELE PURISSIMO,ALIMENTO UNICO.LA POESIA DI NOVELLA E’ GIA’ REALTA’