Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Dice di sé Silvia Zamperini: «Ho trentatré anni, sono nata a Como e vivo a Milano.
Su «Nazione Indiana» sono state pubblicate alcune poesie e gli alfabeti, su «’tina» un mio racconto. Ho un cane».
La parte incantata e dunque ambigua del prolungamento dell’età psicologica del “poeta giovane”, “giovane” a lungo rispetto al perennemente ritardato momento di un inserimento stabile nella vita produttiva, è la testura delle poesie di Silvia Zamperini. Si tratta di uno studio assai preciso dell’uscita da una lunghissima infanzia e che tiene conto, espressivamente, di quel modo stesso di vedere il mondo. L’incanto è linguistico, un surrealismo giocoso (alla Ripellino) intreccia immagini di un quotidiano sorprendente che sbocciano in puns verbali e in piccole invenzioni linguistiche (per es. l’ispanismo golondrina). Al tempo stesso, la tipologia dell’incantesimo conferisce ad oggetti e sensazioni una grandezza superiore alla scala reale e riduce l’impatto con i traumi del mondo. Ma attenzione, non solo per farsi il minor male possibile ma per avere la possibilità di tenerli ben fissi sotto la lente d’ingrandimento, per combattere, per vivere meglio.
E. B., F. Z.
Un cappero nel tornado
Lo fai entrare dalla finestra
e ti chini davanti a lui
sbricioli il tornado con fare materno
accudisci le meduse che ha portato
e i tentacoli porosi dei polpi.
Un calamaro in testa
come una corona
capperi al posto degli orecchini
regina del vento
e di un palmizio coperto di rugiada.
Il bagno dei nonni
Una porta color dentifricio
lo specchio barocco,
il lavandino coperto di macchie.
Dopobarba scaduti,
che al nonno non cresce più.
Gel e unguenti e pastiglie sbriciolate
forcine dimenticate.
Una vasca verde smeraldo,
con foglie di malva a pancia in su.
Galleggiano sull’eczema di bambina.
“Almeno un’ora devi stare a mollo”,
ubbidisce e scivola sotto le foglie
respira vapore nello stagno
squame rattrappite si staccano.
Al vecchio i baffi
e alla megera un bigodino.
Cado
Un naso che mi scaglia giù,
oltre il bordo del letto.
Scivolo sul pavimento
araldi sulle piastrelle
punte di lancia che mi infilzano.
In un angolo
un nido di capelli dimenticati
e il nastro dorato di un sari sfilacciato.
Ti affacci.
Una foto?
Anche il livido deve vedersi,
quello sull’anca
e le caccole dell’ombelico
molliche di pane tostato
che non pulisci perché soffri il solletico.
Il giorno del malcontento
Il giorno del malcontento
Non è un lunedì.
Inizia con una colazione abbondante
e può finire con coniglio in salmì.
Forse perché non ho dormito?
Per la Nanda che litigava col marito?
Non si spiega, non ha perché.
Non è per il francese che non sa scrivere
Né per la seppia che sputa nero sul vestito.
È un polpo malefico
tentacolare
che suona il clarinetto
senza fanfare.
Infermo
Ti lambicchi
e non muovi un dito.
Seduto in poltrona
ottuso e sgualcito.
Le mani arrotolate in stelle filanti
“sapessi i tormenti!”
davvero sfiancanti.
Ma quando parti?
Domani mattina.
Fatti abbracciare
mia golondrina.
Una pancia ripiena
Ti perdi me.
Ti perdi me e lui, dentro di me.
Ti perdi una pancia ripiena.
Voglio una carriola
una carrucola
una gru.
Una spazzola, sì,
per le setole dell’ombelico
che pettino sola.
Scrosto piedi lerci di fuliggine nera.
Una volta erano i tuoi
li tenevo in un catino a riposare.
Avrà le mie orecchie
e il tuo gomito ossuto.
Occhi color felce
un fiuto da sciacallo.
Cose che mi restano di te
Un pesce a testa in giù
un tappo rovesciato
lo scacco matto di un cavallo
due uova al tegamino
il nocciolo di un limone
lo spicchio di un mandarino
un vaso vuoto e una lampadina.
Ecco.
Cos’ho trovato
Sembrava ci fosse un plettro
sotto il materasso.
Era la radiografia di un molare.
Mi ha fatto ridere
quel dente bianco
un corno allungato
come neve sulla punta del Monte-più-su.
Perché mettere un molare
nelle tasche dei pantaloni?
Per vederti in kimono
con gli occhi bistrati di blu.
Quel poco che ho non è per te
Non è per tua moglie
con labbra gonfie di lische di pesce
né per tua figlia,
una rana impaurita.
Non è per i pappagalli che ti fanno il verso
né per i capponi che hanno la pelle d’oca.
Non è per chi si professa amico e ti sorride
e nemmeno per i tuoi traditori
che farfugliano parole sghembe.
Un poco,
quel poco di niente che ho,
comunque non ti appartiene.
odori speziati
Tarassaco,
sento puzza di marcio
e non sono io.
È un pranzo abbandonato da giorni sulla tua scrivania
dimenticato da stomaco e intestino
lasciato appassire senza sturare.
Sento puzza di marcio
e non sono io.
È una turca mai lavata,
cacca di piccione sul balcone.
Sento puzza di marcio e sei tu,
che aliti malignità sugli altri
e sbricioli forfora su giacche e cappotti.
Sei tu,
un tucano dalle piume bianche e nere,
un pappagallo afono,
un serpente senza sonagli.
amico ciuchino
Ti presenti a cavalcioni di un ciuchino color champagne.
Posso salirci anche io?
Basta intrecciare i piedi
e aggrapparsi con le dita alla criniera
calda
che sa di lago
ed è setosa.
Sono scalza,
stringo i polmoni di un altro essere umano
che sbuffa e pare divertito
mi sostiene mansueto.
Testarda sì,
come questo nuovo amico.
Saliamo ripide scalinate assieme,
e attraversiamo sentieri scoscesi.
Il respiro del ciuchino
sotto il peso di un bambino.
Lo porto in grembo,
è dentro me
sospeso in una bolla senza maremoti.
chewing-gum, o del masticare
Vorrebbe chiamare aiuto
e bussare al vicino lituano
ma è paralizzata
sta per soffocare.
Dopo una doccia tiepida
il rituale,
una cicca in bocca
per masticare amore.
Esplode l’interno liquido
finisce dritto in gola
si è sciolto come un cucchiaio di miele
mescolandosi alle tonsille.
Verrà ritrovata cadavere
senza mutande
la biglia assassina ormai secca
accanto all’orecchia.
NODO PARLATO O NODO DEL BARCAIOLO
Questa la definizione da tuttoscout.org:
“è il più semplice dei nodi di ancoraggio, è molto solido ed è facile e rapido da sciogliere. Serve per legare una fune a un palo e come nodo iniziale per le legature.”
Il nodo parlato si attacca a qualcosa, e questo è fondamentale. Che sia un remo, un ramo, un ormeggio, una forca, poco importa. E se di nome fa parlato, è perché ha qualcosa da dire.
L’ho scelto perché è l’inizio di qualcosa, un po’ come le mie poesie. Sono parole taciute, frasi mai uscite di bocca. Molte sono semplicemente fotografie di momenti vissuti o raccontati, sogni riportati sul taccuino, colori di luoghi in cui sono stata. Sono le mie personali didascalie, fumetti immaginati che non ho saputo disegnare ma solo scrivere.
Sono storie lunghissime condensate in dettagli, combinazioni di sillabe, sono le parole segrete del mio dizionario emozionale.
Il nodo parlato è facile da sciogliere, mi piace pensare che le mie poesie siano insetti che i più crudeli potrebbero sbriciolare sotto una scarpa.
***
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