Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
L’imminente referendum sulla riforma costituzionale mette in gioco diritti essenziali per la democrazia e la libertà, compreso il diritto di parola, di scrittura, di critica. NEGARE con un NO deciso la riforma costituzionale che si vorrebbe introdurre, è un passo di civiltà indispensabile. In questa direzione ripropongo qui un testo che Giampiero Marano ha scritto per "bina":
Dopo un anno e mezzo di lavori che coinvolsero le principali “anime” della società italiana (liberale, cattolica, socialista), la Costituzione del 1948 fu approvata dal 90% degli oltre cinquecento componenti dell’Assemblea. Con enfasi veniale le cronache relative alla prima seduta dell’Assemblea Costituente parlano di «un’affluenza di pubblico quale si è raramente verificata anche nelle più solenni occasioni» e descrivono un’aula gremita di deputati con pochissimi seggi vuoti.
Il progetto di riforma della Costituzione, già approvato dal Parlamento e ora sottoposto a un referendum popolare confermativo, è nato invece, sia pure al termine di una lunga incubazione bipartisan, dalla full immersion di quattro “saggi”, ritiratisi dal 20 al 23 agosto 2003 in una baita sulle Dolomiti per riscrivere cinquantatre articoli sui complessivi centotrentaquattro attualmente in vigore. Il nuovo testo tende a indebolire le procedure democratiche classiche, fatte di vincoli, equilibri delicati di pesi e contrappesi, regole inevitabilmente complesse, rimpiazzandole con strategie di conduzione aziendale della politica Ne è prova la funzione manageriale assegnata dalla riforma al capo del governo (significativamente chiamato non più “Presidente del Consiglio dei Ministri” ma “Primo ministro”), ciò che secondo alcuni costituzionalisti segnerebbe la transizione dalla repubblica parlamentare a una forma di “premierato assoluto”. Il premier, eletto de facto direttamente dal popolo, non chiederà più la fiducia al Parlamento, potrà nominare e revocare i ministri (mentre la Costituzione del 1948 prevede che essi vengano scelti dal capo dello stato su indicazione del presidente del consiglio), «determinare» (e non più, o non solo, «dirigere») la politica generale del governo, sciogliere in anticipo l’Assemblea (oggi questo potere è esercitato dal presidente della Repubblica). Un’eventuale mozione di sfiducia, che potrà essere avanzata dalla sola Camera dei deputati, obbligherebbe il Primo ministro a dimettersi ma simultaneamente comporterebbe lo scioglimento della Camera stessa o, in alternativa, chiamerebbe la maggioranza a presentare una mozione di “sfiducia costruttiva” nella quale andrà indicato il nuovo premier. Il Parlamento continuerà a comporsi di due Camere: tuttavia, mentre attualmente la funzione legislativa viene esercitata da entrambe (“bicameralismo perfetto”), con la riforma la Camera dei deputati voterà le leggi di competenza esclusiva dello Stato e il “Senato federale della Repubblica” si occuperà di quelle a competenza “concorrente” statale e regionale o soltanto regionale. Verrà ridotto di centosettantasette unità il numero dei parlamentari (da 950 a 773) e si abbasserà l’età minima per essere eletti: da 25 a 21 anni per la Camera, da 40 a 25 per il Senato federale, da 50 a 40 per il presidente della Repubblica. Quest’ultimo non rappresenterà più l’«unità nazionale» ma la «Nazione» e sarà «garante della Costituzione e dell’unità federale della Repubblica». La nuova Costituzione mette in discussione non soltanto la composizione ma il ruolo stesso della Corte Costituzionale, organo di garanzia e di controllo che per espletare i suoi compiti deve disporre della totale indipendenza dall’esecutivo. È questa la ragione per la quale, attualmente, soltanto un terzo dei membri della Consulta viene eletto dal Parlamento: la riforma, invece, stabilisce la nomina politica di sette giudici su quindici. Viene poi introdotta la cosiddetta devolution, cioè il conferimento alle singole regioni della competenza legislativa esclusiva, e non più concorrente con lo Stato, in materia di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione e la pubblica sicurezza. La devolution comporta infine l’attuazione del “federalismo fiscale”. In caso di vittoria del «Sì», pur essendo prevista l’istituzione di un fondo compensativo a beneficio delle regioni economicamente più deboli, gli enti locali potranno gestire autonomamente entrate, spese e risorse: un rimedio «contro i guasti e gli storici sperperi del centralismo statale», come sostiene qualcuno, o il primo passo verso la disgregazione dell’unità nazionale?
Giampiero Marano
2 commenti a questo articolo
> G.Marano, Per la Costituzione, contro la riforma
2006-06-19 00:39:10|di marco
aggiungo qui un link a un articolo molto rigoroso e forte di Franco Romanò: In difesa della Costituzione
Commenta questo articolo
> G.Marano, Per la Costituzione, contro la riforma
2006-06-19 19:38:27|di Gabriele Pepe
Ho il terrore che riusciranno a portare a casa il sì a questa sciagurata riforma.
Nel caso non resterebbe che fuggire all’estero. Io penserei alla Spagna, oppure a Londra, o il Belize.
Attendo consigli per la sopravvivenza
un caloroso saluto a voi tutti
pepe