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Giacomo Trinci: INTER NOS

di Lidia Riviello

Articolo postato domenica 26 settembre 2010


Giacomo Trinci , nato a Pistoia 12 ottobre del 1960, è insegnante, poeta, critico, traduttore.
Ha pubblicato le raccolte di versi Cella, ed. Pananti (1994); con altri autori ha pubblicato la raccolta di racconti Camere con vista, ed. Festina Lente (1994); Voci dal sottosuolo ed. l’Obliquo (1996), Premio Selezione Viareggio; Telemachia ed. Marsilio (1999), vincitore del Premio San Pellegrino, tra i 5 finalisti al Premio Viareggio, tra i vincitori del Premio Montale anno 2000.
Con la professoressa Francesca Corrao ha tradotto la raccolta di poemi di Adonis Nella pietra e nel vento ed. Mesogea (1999); Resto di me ed. Aragno (2001), Premio Selezione Viareggio; Autobiografia di un burattino ed. Gli Ori (2004); Senz’altro pensiero ed. Aragno (2006), Premio Il Ceppo; La cadenza e il canto ed. Via del vento (2007).
Ha collaborato con la prof. Francesca Corrao alla versione poetica del volume della poesia araba uscita insieme al quotidiano “Repubblica”. E’ stato redattore della rivista di letteratura “Pioggia Obliqua”, ha condotto la versione radiofonica presso “Nova Radio”, ha collaborato al periodico di letteratura “Stilos” e alla rivista letteraria del Gabinetto Viesseux, collabora ad “Alias” de "Il Manifesto". Ha scritto e portato in teatro una versione in versi di Pinocchio e una versione in versi di Don Chisciotte.
È tradotto in spagnolo e arabo.



da INTER NOS


il viso si concentra sulla sera
come a qualcosa che è già condiviso
da sempre, aspettato, così non spera
nella sorpresa, nel colpo improvviso,

nella luce che schietta nel mattino
entra furtiva, scuote, sbalza il gioco
austero della vita, e il fuoco fino
del giorno accende fino ad altro fuoco.

*

– se ripenso a quante volte la vita
ho staccato dal resto e consegnata
all’inumano regno cenobita
del sonno, ed ho staccato dalla rata

dei giorni dopo i giorni la stanchezza,
più non temo la morte che mi affanna;
sarà solo più forte la gravezza,
ma dello stesso tono quel che azzanna –.

*


hai l’anima che ti meriti, sì,
è quindi inutile retorizzare
di un’altra più pura che attende lì
la sua bella parte, e intanto abiurare
viltà, paure, tremiti, per chi
già in posa ci condanna di strafare
in mille acrobazie d’ansia e di sì
non più veri. è tutto vero il disfare
nel giorno dopo giorno l’inquilina
del corpo sussiegosa, e di quei modi
virtuosi abbassare la cresta,
finché la rosa sola senza spina
rimanga intera ed umile riannodi
il dio perduto all’uomo che gli resta.


*


(voce fuori)

non solo l’io lirico è a pezzi,
anche l’io prosico e l’io prostico,
tutti l’io catastorici, nefasti,
l’io fisico mnestico, ancestrale.
Non c’è più niente. È vuoto. Non rimane
che tornare al “dibattuto”, all’io topico,
solito io, più dibattante e stolido.
All’io rassicurante opinionale
dei giornali, io mio, quieto feriale.


*


scherzo

l’abitudine annusa le giornate,
a caccia degli odori inusitati
si veste di cautela viene a rate,
aggiusta, accomoda i fili sfilati,

dei toni stonati fa un’unica stecca,
disonora lussurie scapestrate,
in serie rivestendo ogni sua pecca,
le smanie di maniere lardellate.


*


aumentano i fruscii, niente rumori,
disarticolati, sghembi, scrocchi,
prove di apocalissi, di furori
cosmici, di fatti solo i rintocchi...

tutto un sentito dire che ne sciacqua:
la fine del mondo in un bicchier d’acqua.


*


non vedi la mia testa mozza
la mano a pezzi, il viso insanguinato,
le dita rotte, la vita dirotta,
il pianto mozzo, il ventre rigonfiato,

e tu finta saggezza del cronista
al riparo da cosa che non guasti?
che registri impassibile alla trista
ed irrisolta pace che non basti?...


*


com’è petulante il futuro
retorico il suo muro.

tutti a parlarne addosso
in previsione d’esserne adottati
fanno i ruffiani
stropicciandogli l’osso
d’un presente demente
tutti a suonar strumenti assai scordati
in vista di quel vento e sonni vani.

reduci dal futuro
smettiamo d’uggiolare
sperduti al fondo scuro
di quel noioso mare.


*


tutto continua uguale, dopo, non
c’è stacco davvero

tutto uno svolgimento
uno dietro l’altro, senza sbalzi,

continua sempre a perdere i capelli
e a crescere la barba, come prima,

un’unica vegetazione
vita e morte compresa,

il salnitro sui muri,
i fiori sul campo, bianchi,

da quel giorno
primo giorno,

vita dopo vita
che piano si ravvolge,
inavvertita.


*


i sommersi e i salvati

ma conviene tenerselo per sé.
anzi, più giù, nel cesso dei perché.
dove si butta il resto, irredimibile.
dove il pianto è bambino ed impossibile.
il dolore non merita riguardo.
è’ passato, misura il suo ritardo.

nei sommersi s’accumula la storia,
dai salvati si spiscia la memoria.


2 commenti a questo articolo

Giacomo Trinci: INTER NOS
2010-10-01 22:07:59|di matteo fantuzzi

confermo francesca.


Giacomo Trinci: INTER NOS
2010-09-27 07:11:49|di Francesca Matteoni

L’autobiografia di un burattino è qualcosa di meraviglioso, che meriterebbe diffusione nazionale (anche se l’edizione degli Ori è molto bella). E Giacomo Trinci merita sotto ogni punto di vista, poetico e umano.


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