Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Hora
di Gilda Policastro
E chi si muove da terra Si sta così bene Non si sente dolore, non
si sente niente
Così vivono quegli altri, strisciando Senza illusioni Già pronti al
Ritorno
È bello qui Non si deve andare da nessuna parte Si può
rimanere fermi, e aspettare
Oppure anche solo rimanere fermi Stare così Insomma, senza
Attività
Quale sarebbe poi l’alternativa Andare in ospedale, oppure a
quella cena di amici
No, rimanere è senz’altro meglio Rimanere senza aspettare, senza
andare,
rimanere col dolore, e a poco a poco sperare, sperare che vada via,
ricominciare a respirare, ma senza la pretesa di alzarsi Rimanere
fermi, sdraiati
Ha una sua logica, è ordinato, risponde a uno schema
Lo schema dello stare, del rimanere Senza agitarsi, senza smanie
Quanti ora, a parte quegli altri, sono lì, in questa posizione
a fare questa cosa che non è un’attività, è solo stare
Probabilmente non tanti, ma qualcuno sì, qualcuno è a terra, così,
steso
coi palmi delle mani che aderiscono al pavimento Stare qui
perché nessuno te lo chiede, nessuno se lo aspetta, anzi,
qualcuno vuole che ti alzi, e, se stai male davvero, in ospedale
Ma se non stai male, allora, c’è quella festa
a cui bisogna subito andare Cambiarsi d’abito, mettersi il trucco
giusto,
le scarpe abbinate, il cappotto figo Andare, andare subito,
guardare gli altri con la faccia opportuna,
con le parole intonate, la rilassatezza domenicale Sorridere, sorridere
anche col dolore allo stomaco, che se era un dolore serio
a quest’ora ti trovavi in ospedale, invece sei lì,
e allora puoi rilassarti, goderti il vino, che al tuo stomaco
è come un colpo di frusta sulla schiena di un cavallo Le tartine,
mangia le tartine, hai ancora mal di stomaco, poi passa Ma no,
sento come un tappo, una puntura, non va giù nulla,
nemmeno l’acqua Mangia, guarda che poi i vestiti ti cadono di dosso
e non è normale Devi mangiare, dice così,
vuole che mangi, mangia E tu
rimani sdraiato, disteso
coi palmi a terra, dove non devi mangiare, non devi ridere,
non devi essere alla festa, non devi Puoi rimanere così,
sdraiato E chi si muove da terra
Si sta così bene:
non si sente dolore, non si sente niente
Senza illusioni, già pronti al ritorno È bello qui:
non si deve andare da nessuna parte
Si può rimanere fermi, e aspettare
oppure anche solo rimanere fermi
Stare così Già pronti al ritorno
È bello qui
Non si deve andare
da nessuna parte Si può rimanere fermi,
e aspettare
Si sta così bene
Non si sente dolore,
non si sente niente
***
Poesia, a ogni effetto, umorale, profonda di dissonanze e penetranti
attriti e suoni e umori dai vortici del senso e del corpo, lirica
sul limite del suo critico sgretolamento (lirica, dico, come forma
critica, scoscesa tensione di sliricamenti), è ciò che impone, nella
gamma del suo slittare multiverso, la parola di Gilda Policastro.
È esercizio pieno, e insieme franto, del dire, quello che scava
il corpo delle sintassi, nelle pieghe di (plurimi) discorsi (diaristici,
narrativi) gli uni dentro gli altri conflagranti, ruminazione scabra
del dire interno, e polimorfo e (naturalmente) perverso; e ci si offre,
esibito/celato, giusto nel martirio di quell’atto, che s’infligge.
Pratica di disciplinamento continuo e progressivo, vòlto sempre
a ridisporre i suoi confini, quella che forza e comprime il corpo (e
la sua lingua): e sospinge e lingua e corpo sino alla spira dei suoi
ultimi legami. O nei viluppi, ancor meglio, di un “bondage” intransigente
quanto squisito, consumato, chimisticamente, sui bordi
interni del corpo, ad affinarne la materia (il dolore), come per
ustione fredda, per un gelo sintetico di bloccate sfrenatezze. Fuoco
di ghiaccio.
Malgrado la polivoca ricchezza di questo dire in guerra con se
stesso, come in un perenne stato d’assedio (ma impegnato su entrambi
i fronti dell’assedio), malgrado le tumultuosità in cui, trovato
il varco, s’espande sorprendentemente a tratti e defluisce nella
litania d’un altrove senz’ombra di autoredenzione, spazio (anti)
rituale d’antiprodigio (vedi, qui, la rara e splendida cascata salmodiante di Nuove stagioni), ciò che risulta è piuttosto l’insegna aspra d’una complessiva “sottrazione”. Organismo di asportazioni, storni; deprivazione di grassi: prosciugamento inflessibile del dato per
quel che lo eccede, onde esprimerne solamente il nervo.
Una geometria mobile di collassamenti e di scompensi, è quella
in cui dunque ci vediamo scivolare, nell’elastico di queste pagine
così come nel liquido specchio acustico ad opera di Massimiliano
Sacchi (specie in quell’Hora di cui Gilda in verbo prova una resa, e
ne traslittera la tramatura di corrispondenze e controtempi); telaio
flessibile che rilascia nel momento stesso in cui costringe e avvolge.
Attrae e disturba. Così come nei Passi falsi, testi spinti da un pedale
graffiante, sarcastico, in cui la voce (da una posizione indistinguibile
e in fondo con/fusa) si fa beffe di stereotipi del circo privatopubblico
dell’oggi: la vita familiare, le stiracchiature della coppia, le viete consuetudini d’un ambiente narcissicamente o, persino,
culturisticamente, culturale…
Ad ogni passo, ad ogni piega, comunque l’esercizio d’una “sottrazione”
dove a sottrarsi è nulla di meno d’una “resistenza”: come
è detto, poi, nell’attacco medesimo dell’antiprodigioso dittico esordiale,
entro la misura d’un verso tutto anticlimax (“in rovescio per
sottrazione di resistenza”) e tutto scompensi e tutto dissonanza, e
metro fitto di barriere all’avverarsi di alcun Fenomeno. Riverberarsi
di interruzioni, di barriere, ma anche, di invisibili crolli, a comporre
una incerta microfisica; punto in cui le resistenze (elettriche,
in particolare) sembrano abbassarsi, e lasciar partire l’onda letale/
vivificante dello shock.
L’automartirio, squisito, dell’antiprodigio, è appunto la linea
d’un doppio legame intransigente, che continua a non sciogliersi,
l’incombere d’un evento che implode per nuovamente vanificarsi,
come in un ralenty all’indietro (come del crollo d’un edificio
torreggiante) come nell’oscenità d’un reality che si realizza fuori
quadro. L’abbandono nella resistenza; la resistenza nell’abbandono.
(Tecnicamente, qui: l’avvolgersi, reciprocamente denegativo, di
flusso e interruzione). E il mancato scioglimento, la legge dei vincoli
che s’è autoimposta, è la condizione forse della sua corrente.
Tommaso Ottonieri
da: Antiprodigi e passi falsi (Transeuropa, Inaudita, 2011)
14 commenti a questo articolo
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-07-18 01:11:45|di MDMA
trovo la lettura di un testo poco per giudicare, seppure le mie 30ennali competenze di studio,lettura,critica e produzione di poesia, possano consentirmi di giudicare la parte per il tutto. ci trovo un tentativo che passa per il Beckett di Frasca di trovare una "posizione"...tuttavia tentativi così ardui hanno la spiacevole qualità di far sembrare tutto quello che nasce all’ombra di quelli, solo ombra, pe l’appunto, solo maniera.
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-07-08 18:23:26|di lorenzo carlucci
ho cominciato a sentire di questo scrittore un paio d’anni fa quando vinse il premio delfini. ex aequo con marilena e qualcun altro, per giudizio di tommaso ottonieri, andrea cortellessa, e quacun altro. ne ho fatto un post su questo stesso sito, nella sua vita precedente. ho letto in una libreria le sue poesie sull’ultimo quaderno di poesia italiana di buffoni. ho letto di sfuggita qualche sua bagarre su fazioneindiana o altri siti. ho visto qualche sua foto su qualche settimanale femminile. ho incontrato il suo viso e poi la silouhette di ottonieri in un cinema della città che per caso con entrambi condivido (non fatemene una colpa, per carità). ho letto più di recente delle erezioni subitanee che ha provocato in massimiliano parente. mi colpì molto in una intervista su qualche settimanale femminile il suo rifiuto di rispondere alla domanda: "quanti anni hai?". policastro giustificava così: "speravo che alla mia età avrei già realizzato di più". mi colpì molto questo involontario candore. questo paradossale candore: la spiegazione del perché non voglio rispondere a questa domanda è tanto più compromettente, scopre di me cose tante più cose e tanto più imbarazzanti di quanto non avrebbe fatto una semplice risposta alla domanda "quanti anni hai?". da questi fuggevoli e forse superficiali dati d’esperienza, ho cominciato a credere che in questo scrittore abitino una ambizione e un desiderio di essere riconosciuto come scrittore talmente grandi, talmente consistenti, e forse con qualche tratto di abnormità, da farmi guardare al suo lavoro artistico con un certo interesse. che non ha i tratti della curiosità e del distacco. per quanto trovi le sue poesie ancora molto fredde, perché viziate da una terribile insicurezza. per quanto anche io riscontri nei suoi testi letterari una certa mancanza di talento, una intelligenza piegata in furbizia. per quanto trovi le sue esternazioni ancora molto fragili, perché appaiono strumentali e illustrative. per quanto la collochi mentalmente in un ambiente culturale che mi infastidisce profondamente - per motivi in fin dei conti puramente individuali e per tanto contingenti quanto ineluttabili. eppure: il talento non è tutto, e la furbizia non è un peccato capitale. e se lo fosse, non importerebbe comunque. esiste un punto critico in cui la cattiva eris può diventare buona eris. un punto critico in cui il bulimico che svuota il proprio corpo diventa un boccone per un animale più grande. esiste un punto critico nel quale il perseguire la propria realizzazione in un’arte diventa trascendenza del proprio io empirico. e dunque conduce a quella condizione che altri raggiungono per altre vie (per buona indole, per grazia, per virtuosi esercizi). una condizione necessaria per la creazione, il pensiero, l’azione vitali. scrive agostino, nel de vera religione: "se trascendi te stesso, ricorda che stai trascendendo un’anima razionale". ma devi trascendere te stesso. e allora non importa se l’io empirico che trascendi è un io viziato da bassi o da meschini desideri, allora non importa se l’io che trascendi si è contorto per anni nel desiderio d’avere una conferma da chi conferme non può dare. anzi, se la sua pulsione a trascendere si fa manifesta, quelle passioni - buone o cattive - ci restituiranno un altro frammento della smisurata anatomia dell’animo umano. mi scuso se quello che dico non è un giudizio critico. è un esercizio di fisiognomica digitale. la fisionomia del testo qui sopra mi sembra congruente. tutto è troppo detto, e ripetuto, la compulsione può parere più recitata che subita, eppure è talmente tanto lo sforzo che si genera una misteriosa riluttante forma di compassione per chi scrive per dire: "ho tutto, ho tutto, metto avanti il mio tutto affinché possiate riconoscermi e salvarmi dallo iato di nulla che abita tra me e il tutto del mio empirico". compassione per una atroce insicurezza, una atroce volontà. la compassione nasce quando si percepisce una disproporzione tra l’individuo umano e una realtà rispetto alla quale l’individuo è totalmente passivo. questa realtà può essere la stessa volontà dell’individuo. ed è questo forse un "automartirio" come quello di cui parla ottonieri. in somma, trovo che questo carattere di abnormità che ho riscontrato negli sporadici incontri con i prodotti di questo scrittore (abnormità della volontà, abnormità del desiderio di affermazione, abnormità del desiderio di riconoscimento) possa collocare policastro più vicino alle condizioni esistenziali che credo necessarie per l’arte di quanto non siano altri scrittori che pascolano nel medesimo pascolo assai pascolato. è un tratto del carattere che alla lunga può pagare, e per qualche misterioso motivo, può a volte condurre a risultati artistici validi, se non notevoli. ho trovato, negli anni, una simile abnormità in massimo sannelli, in laura pugno.
saluti,
lorenzo
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-07-01 17:43:55|di Chiara Catapano
Qui c’è qualcosa che non va.
Cos’è tutta questa acredine? cos’è che rode?
Che la Policastro scriva bene, non mi pare si possa mettere in alcun modo in discussione. Che piaccia o non piaccia è altra questione.
Ma chiedersi dov’è il talento mi pare davvero riveli quanto poco si capisca di poesia.
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-07-01 10:02:13|di umberto marin
dove sarebbe la poesia di una prosa anche minore?ci sono miliardi di passi di prosa che sono poesia(mi sovviene le ore,così a caso).questa è prosa,monotona e seriale.
questo ente umano che rimane fermo è un sistema adiabatico?non sente la pressione delle energie esterne?di ogni genere?e poi l’ordine(che tipologia non è specificato poi) che impone,quale dazione impone alla unità biologica?
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-06-28 18:38:01|di Lo zio
Da Caravaggio a Picasso.
Dal cesto di frutta alla macedonia.
Da Dante a Gilda.
Dalla lingua costruita alla costruzione linguistica.
Massima erudizione, a quale scopo?
Mi piacerebbe vedere il Talento, dopo la macedonia, cimentarsi con le parole come Caravaggio con la frutta.
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-06-24 15:31:16|di Chiara Catapano
Un unico spunto alla "sigla" che insiste a non firmarsi:
ma se proprio la Policastro non ti piace, ma che stai qua a fare? va’, e leggi altro. E’ così semplice.
Alla Policastro, catturano subito e come in un vortice quei versi. Sono aderenza alla realtà interiore più che mai contemporanea, in una lingua che, lo si capisce bene, è "ricercatamente semplice".
Il libro sarà davvero un piacere leggerlo.
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-06-16 20:21:13|di db
secondo me l’autrice poteva stringere: ne guadagnerebbe hora.
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-06-13 12:47:30|di alessandro broggi
Gilda Policastro è da più parti e non a caso apprezzata come una delle voci più lucide e fini della nuova critica italiana, nonché autrice - di romanzi e di poesia - dotata di strumenti solidi, di talento e di una poetica forte, come dimostra chiaramente (per chi non ne conosce l’opera, anche solo) il testo presentato in questo post. Si può essere naturalmente più o meno in sintonia con la visione del mondo, della letteratura o della lingua che emerge dai suoi lavori, e su questo - ad esempio, come anche sulle strategie del testo, ecc. - può essere interessante il confronto, e a ciò dovrebbe essere deputato un blog di discussione letteraria. Chi, al contrario, approfitta dello spazio concesso dal mezzo per attacchi personali e/o pretestuosi e vuoti argomenti ad hominem, oltre a non offrire alcuno spunto di interesse per i lettori di blog (e a risultare quanto meno irrispettoso del lavoro altrui), incorre evidentemente in un doppio spreco, in una doppia occasione mancata: rispetto alla generosità del mezzo, e rispetto alla possibilità/fertilità di un confronto – anche serrato se occorre, ma sereno, serio, intelligente - con l’opera di un’autrice di statura, che peraltro notoriamente ama la dialettica e gli aperti scambi di idee.
Un caro saluto a tutti, scusate la tirata..
Alessandro
Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-06-10 14:46:20|di renatamorresi
subito la mente è andata a Kafka, quando dice che l’essere umano è l’unico animale che può starsene sdraiato supino, e i suoi occhi, la sua testa, il suo collo sono fatti per guardare in alto e prendersi il cielo in faccia - ma no, non è quel Kafka lì, è l’altro, quello di Der Fahrgast, Il passeggero: lui è in piedi, è vero, ma talmente immobile, impietrito che "neanche approssimativamente sarei in grado di indicare quali esigenze potrei far valere con ragione in una qualsiasi direzione".
eppure l’immobilità qui non è (solo) alienazione, diventa anche ribellione: sottrazione come resistenza, dice il prefatore; uno stare che non è resa, ma decrescita, aggiungerei (se pur non riconciliata, ché qui sia il cibo che il non-cibo sono mortiferi).
da dove sono in questo momento non posso ascoltare il file audio, ma riconosco la pagina piena, la cadenza ipnotica, la ripetizione psicotica de La famiglia felice, con degli effetti di straniamento che non sono mai (e qui mi pare si sbagli il commentatore precedente) gratuiti, ma stanno in un discorso di critica culturale abbastanza evidente.
interessante anche la chiusa da Violetta Valery post-umana ("cessarono gli smasmi di dolore!" faceva lei morendo).
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Gilda Policastro: Antiprodigi e passi falsi
2011-07-18 01:17:46|di MDMA
PS
vorrei dire che Lorenzo che mi precede ha ragione fino a metà, poi è troppo generoso.Davvero troppo.
Quanto a GL il suo primo intervento è antipatico ma è servito a mostrare quanto il secondo, dopo l’entrata in scena dell’autrice, sia, purtroppo per lei, vero.