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Giovanni FONTANA: Per una linea intermediale

(progettare l’opera plurale)

Articolo postato venerdì 4 gennaio 2008
da Luigi Nacci

L’intervento è stato fatto presso la Fondazione Baruchello il 29 ottobre 2006, nell’ambito del Festival RomaPoesia 2006, in una tavola rotonda dal titolo "Progettare l’opera plurale" (a cura di Nanni Balestrini, Gianfranco Baruchello, Tommaso Ottonieri, Carla Subrizi). Ora è pubblicato in Sperimentare il plurale (a cura di Carla Subrizi, Maura Favero e Caterina Iaquinta), Ediz. Fondazione Baruchello, Roma, settembre 2007.

Ringrazio Giovanni Fontana (oltre che poeta e poliartista, uno dei massimi esperti di poesia sonora in Italia) per la gentile concessione.

***

Giovanni Fontana
Per una linea intermediale

Nel documento che traccia la linea-guida del programma di questa giornata di riflessioni è ben specificato che per affrontare la progettazione dell’ “opera plurale” «Non si tratta di mescolare, giustapporre, montare o assimilare differenti linguaggi. Una premessa è che si debba, oggi più che mai, cercare di salvaguardare la diversità dinanzi al pericolo di una omologazione di tutti i linguaggi». In effetti, si sta assistendo troppo spesso, e ormai da troppo tempo, a pratiche di false relazioni tra le arti, di pseudo-sconfinamento, di interazione apparente. Si assiste, piuttosto, a gratuite sommatorie che prescindono (fortunatamente non sempre) dalle più elementari regole di grammatica e di sintassi.
Ilya Prigogine, Nobel per la chimica nel ’77, parlava del sapere scientifico come “ascolto poetico” e come “processo aperto di produzione e d’invenzione”.
Un’indicazione come questa, se ricondotta al sapere interlinguistico e intermediale , potrebbe tornare molto utile per stimolare alcune riflessioni di metodo. L’ “opera plurale”, caratterizzata dall’intersezione dei linguaggi in una prospettiva polidimensionale, dovrà avere una struttura pulsante che favorisca la costruzione di sistemi che ri-condizionino la dinamica degli elementi di volta in volta considerati, proprio come avviene nella fisica delle particelle.
Non possiamo parlare, infatti, di semplice luogo di confluenza di più discipline artistiche, bensì di dispositivi elastici che abbiano la capacità di relazionarsi tra loro attraverso connessioni profonde e non per semplice sovrapposizione di fasce.
Per comprendere meglio il concetto conviene ricollegarsi all’intuizione di Dick Higgins, quando, trattando il tema dell’ integrazione dei linguaggi, elabora il concetto di intermedium (1), termine riferito esclusivamente all’opera in cui tale integrazione sia completamente attuata, opponendolo a mixed-medium, termine riferito ad un oggetto artistico in cui il fruitore sia in grado di distinguere i vari aspetti linguistici (verbale, visivo, sonoro, ecc.) in condizione di completo appiattimento; nell’opera intermediale, invece, i diversi elementi si fondono in un unicum che non consente letture differenziate, pur salvaguardando l’autonomia e la singolarità dei segni.
Tornando all’idea di “processo aperto” di Prigogine e alla fisica delle particelle, è come se il processo di invenzione e produzione fosse realizzato da particulae, portatrici di senso solo in quanto riferite alla dimensione totale dell’opera, che si vuole come concentrazione assoluta di energie. Tutto è in funzione del tutto. Si potrebbe parlare, perciò, di entità transmateriali innervate da linee-forza che provocano tensioni inattese e vibrazioni del senso. È un po’ quello che accade nelle particelle subatomiche secondo la “teoria delle stringhe” (2), dove si ipotizza che tutta la materia e tutte le forze nascano da un unico costituente di base.
Secondo questa teoria le particelle subatomiche non sono puntiformi, ma sono costituite da filamenti unidimensionali (stringhe) infinitamente sottili che oscillano freneticamente. Queste vibrazioni continue, che hanno ampiezze e frequenze caratteristiche, si manifestano come “particelle”. Ma la cosa più sorprendente è che la loro massa e la loro carica siano determinate dalle differenti oscillazioni. Da ciò deriva che le proprietà fisiche non sono che la conseguenza diretta di quelle oscillazioni; sono, per così dire, la musica delle stringhe. Per le forze vale lo stesso principio, cosicché ogni particella mediatrice di forza è associata ad una vibrazione specifica.
Insomma, sia le forze, sia le particelle elementari sono fatte della stessa ‘materia’ (3).
Nell’ “opera plurale”, le dinamiche interne ed esterne, le interazioni rivolte verso il proprio baricentro come verso la periferia, comportano l’esigenza di una sincronica vibrazione degli elementi, in un’incessante esplorazione, che, reiterata e spinta fino ad individuare le ampiezze e le frequenze delle particulae della materia linguistica, finisce per coincidere con una vera e propria trasgressione nell’uso dei linguaggi medesimi. Quello di trasgressione (o trans-gressione), infatti, è un concetto che implica pulsioni indagatrici. Esplorare, significa spesso dover superare frontiere precluse, passaggi interdetti. Oltrepassare questi confini “invalicabili” è compiere un gesto di sfida, sia dal punto di vista artistico che culturale.
Il gesto “plurale”, pertanto, non potrà mai essere riferito alla mera interdisciplinarità o ad un banale concetto di multimedialità; esso deve comportare momenti di vera e propria destabilizzazione dei rapporti istituzionalizzati, siano essi di tipo linguistico, spaziale, temporale, mediatico, per il fatto che alle sue fondamenta deve sempre essere viva la necessità della continua riformulazione di codici e di categorie. Insomma, l’obiettivo è quello di individuare nuove potenzialità nelle pratiche artistiche scardinando convenzioni ed eludendone i condizionamenti, ma, nello stesso tempo, formulando progetti in cui il concetto di “pluralità” (ma anche di “totalità”, per segnare un link con la storia) non sia solo riferito all’insieme degli elementi coinvolti, ma anche a quello delle possibili relazioni tra di essi. L’ “opera plurale” non potrà essere realizzata se non attraverso la molteplicità delle interrrelazioni. Italo Calvino, nella sua “lezione” sulla molteplicità (4) ricorda che la passione conoscitiva di Gadda lo spingeva a vedere il mondo come “un sistema di sistemi”, come un groviglio inestricabile da rappresentare senza attenuarne la complessità. L’ “opera plurale” deve porsi proprio come “sistema di sistemi”. E su questi orizzonti può affacciarsi soltanto una nuova figura di “poliartista”: poietes che crea, che fa, che plasma, che agisce ed organizza sui più diversi fronti della creatività, con tutti i materiali che ritenga opportuno utilizzare, in ogni spazio e in ogni situazione, su qualsiasi supporto e su qualsiasi canale, utilizzando qualsiasi tecnologia, appropriandosi della parola (oltre i confini della letteratura), dell’immagine (oltre i limiti delle arti visive), dell’universo sonoro (oltre la musica), della dimensione teatrale (oltre il teatro), dell’universo ritmico, riconducendo all’àmbito creativo perfino la sua voce e il suo gesto, quindi il suo stesso corpo.
Il “poliartista”, grazie alle sue nuove competenze, contribuirebbe, così, ad ampliare e snervare i confini delle arti, a favore della contaminazione dei sistemi e della compenetrazione degli universi separati, ma sottolineandone sempre le singolarità in chiave essenzialmente intermediale.


1) Cfr. D. HIGGINS, Horizons. The Poetics and Theory of the Intermedia, Southern Illinois University Press, Carbondale, 1984. Il capitolo "Intermedia" riprende il saggio pubblicato in Something Else Newsletter, vol.1, n° 1, New York, 1966.
2) Principio che risolve il conflitto tra la teoria della relatività generale e la meccanica quantistica.
3) B. GREENE, L’universo elegante, Torino, Einaudi, 2000.
4) I. CALVINO, Lezioni americane, Torino, Einaudi, 1988.


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