Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Ringrazio Giovanni Fontana per aver donato ad Absolute Poetry questo saggio inedito.
LN
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Giovanni Fontana
HENRI CHOPIN [1922-2008]
L’alchimia della voce e del segno
Henri Chopin se n’è andato il 3 gennaio, giorno di silenzio per la poesia sonora. Era nato a Parigi nel 1922, ma ancora era in piena attività. Stava lavorando ad una monumentale autobiografia multimediale per le edizioni dell’Archivio Conz, che affiancava registrazioni audio-visuali a testi, fotografie, partiture, nella quale intendeva coinvolgere direttamente quelli che amava chiamare i suoi “complici” nell’opera poetica. Prevedeva addirittura la stampa di circa 4000 pagine.
In una sua lettera del 30 settembre 2007 mi annunciava due o tre DVD in allegato. Con la sua solita ironia, il 26 settembre scriveva che per non impegnare troppo l’editore si poteva cominciare con una edizione in 1500 copie in “trois langues principales: le français, l’anglais et l’italien” per passare poi a tradurre “en arabe, en pakistanais, en japonais et par Garnier en sino-chinois … et quelques passages en tchèque, etc.”. Voilà: questi i lavori in corso, queste le aspirazioni internazionali del grande maestro, che infaticabilmente continuava a manipolare il suo Revox a bobine nella sua casa di Dereham, nel Norfolk, senza mai smettere di tessere le sue pagine “concrete”, fitte di intrecci alfabetici.
“[…] L’alfabeto costituisce il naturale intimo scheletro della parola. […] Pieno di ammirazione per la creatività umana, osservo le stupefacenti immagini di tutte le forme calligrafiche, in cui la mano, pronta a seguire o a cristallizzare ‘volumi’ di oggetti e di pensieri, ha tracciato quei segni alfabetici che hanno costruito l’incontenibile soddisfazione dello scheletro della parola. Mai la parola e le sue anatomie arrestarono la propria evoluzione: è la vita in continuo movimento, è la vita che esige i suoi continui sviluppi: la parola è assetata delle sue ricchezze, senza sosta rimesse sul cantiere della creazione umana. […] Questa curiosità per tale scheletro attivo mi ha, da una parte, condotto verso ricerche di poesia sonora, poiché la ‘decomposizione della parola in unità elementari’ mi ha obbligato a studiare l’elemento verbale in tutte le sue componenti, lì comprese sotto le grandi strutture alfabetiche, anche se talvolta ho dovuto prendermene gioco, per l’intimo piacere di danzare sui linguaggi; per altro verso, mi ha spinto a riconoscere che è più elaborato l’alfabeto latino, nelle sue forme sinteticamente costruite (‘costruttiviste’), che non i disegni e le forme pittografiche e ideografiche. Amo il gioco di costruzione con il nostro alfabeto…fuori delle volute correnti del gesto quotidiano. Così, attraverso i giochi costruiti con i suoni della parola, quelli costruiti con i loro ‘motivi’ elementari senza trascurare il silenzio come parte integrante della composizione poetica o musicale, in cui la consistenza sonora e lo stesso silenzio si intersecano” (1).
Questa dichiarazione di Chopin mette immediatamente a fuoco il taglio della sua ricerca poetica. Egli era affascinato dall’“evoluzione delle dinamiche interne della parola”, un’evoluzione che deve coinvolgere il mondo poetico al di là “delle banalità descrittive”. “[…] Osservavo le ricerche spesso geometriche della poesia concreta che, abbandonando situazioni poetiche descrittive, si sforzava generalmente di mettere in evidenza l’anatomia della parola. Parallelamente alla poesia sonora, a partire dagli anni Cinquanta, cominciava a svilupparsi la poesia per immagini, che materializzava visioni per il diletto degli occhi” (2).
Gli anni tra il 1948 e il 1953 “rappresentano per i linguaggi la chiave di volta della nostra civiltà audiovisuale. Misconoscimenti e ostacoli alle libertà di comunicazione, come accadde in parecchi paesi, andarono a discapito dello slancio della nascente civiltà contemporanea” (3).
Chopin non si sottrae mai all’elogio delle rivoluzioni tecnologiche. Esse lo “spingono a diventare, sul piano del visuale, un architetto della parola latina (che ho voluto scegliere perché a partire da essa è possibile costruire edifici mai visti)” (4).
Ma nello stesso tempo Henri Chopin era un funambolo del magnetofono pluripista, un moltiplicatore di voci, un proliferatore esponenziale di suoni corporei, un mago dell’amplificazione, un jongleur del ritmo. Partendo dalle “particulae” sonore pressoché inavvertibili che pervadono i sentieri del nostro organismo, talora microfonando direttamente organi fonatori e non, riusciva a congegnare aggressivi concerti di poesia dove il suono assumeva consistenza materica; sapeva ingigantire magistralmente l’universo microacustico, rendendolo palpabile e trasferendogli addirittura valori cromatici, come se il tutto fosse filtrato attraverso un enorme caleidoscopio delle sonorità. “Con le ricerche elettroniche - scriveva Henri Chopin - la voce è diventata finalmente concreta” (5). D’altra parte, ben al di là delle emissioni semplicemente parlate, essa è “portatrice di un corpo che non cessa mai di essere attivo, quel corpo che è la sua macchina specifica” (6). Chopin affermava che senza l’elettricità la poesia sonora non sarebbe mai potuta esistere. Ma contemporaneamente, ricollegandosi alla tradizione performativa e/o parateatrale, che appartenne anche alla poesia fonetica, il campo d’azione privilegiato della poesia sonora non resta circoscritto al nastro magnetico, finché la voce, anche in ragione della sua stessa valenza corporea, non si confronti con altri codici espressivi. Ed ecco, allora, che Chopin si propone in concerto e nervosamente articola il suo corpo minuto per dirigere i tecnici che operano al mixer, arricchendo, così, la scena sonora di ulteriori valenze spettacolari.
La voce si fa segnale del gesto interiore, dove gli impasti sonori si pongono come significative presenze al di là di ogni convenzione linguistica. Chopin è polemicamente contro la parola e pone il suo lavoro ben al di là della lingua. Egli fa parlare la voce.
L’interesse di Henri Chopin per la poesia subisce una svolta decisiva nel 1955, quando una venditrice ambulante gli offre un piccolo magnetofono portatile. È una grande scoperta: l’apparecchio che conserva la voce può aprire nuove prospettive alla poesia. Già nelle prime registrazioni Chopin trova la sua voce interessante, ma non i suoi testi. Opta, pertanto, per la pura vocalità. Del resto aveva già fatto le sue precise scelte in campo letterario. Nel ‘52, infatti, alla vigilia della sua partenza per la guerra d’Indocina, aveva preso un sacco, vi aveva ficcato dentro tutte le poesie scritte fino ad allora, lo aveva portato ai bordi della Senna e gli aveva fuoco. Egli considerava questo gesto il suo primo vero atto poetico.
D’altra parte i segni dell’estrema radicalizzazione, alimentata anche dal rapporto con la tecnologia, sono contenuti sia nella poetica, sia nella sua stessa biografia.
Egli raccontava che a 14 anni, quando viveva nella periferia di Parigi, praticamente campagna allora, era affascinato dai clamori delle feste contadine e proletarie. I suoni d’ambiente, alla base della sua formazione sonora, sostengono eventi sereni e drammatici e innervano tutta la sua poesia Cooptato per il lavoro obbligatorio nel 1942, nel 1943 è deportato dai tedeschi a Olomuk in Cecoslovacchia; successivamente inviato nella Prussia Orientale e sul Baltico, si ritrova, dall’ottobre del ’44 all’agosto del ’45, nella “marcia della morte” verso la Russia: una marcia di sangue, di fame e di ghiaccio. Al suo ritorno a casa apprende che i suoi fratelli Francis e Pierre sono scomparsi, che il suo fratellastro Jean è in prigione e trova sua madre scioccata dagli eventi, muta e in preda di un incessante tremore.
Nei ricordi di guerra, che Chopin richiama spesso anche nelle sue lettere, si susseguono spettacoli orribili. Tuttavia, in una conferenza tenuta all’Ecole de Beaux-Arts di Besançon nel 1995, voluta da Michel Giroud (7), ricorda come nei momenti di tregua si riuscisse a trovare la forza di cantare. Del resto, dice Chopin, il canto e un passo di danza era tutto ciò che si poteva avere. E, ripercorrendo i giorni dell’entusiasmo per le nuove tecnologie racconta come “al di là delle più tristi rovine politiche, fu allora che disciplinammo questa materia concreta e sonora e che facemmo dei nostri organi le basi per le dismisure sonore misurate, ma non codificabili, volendo evitare la notazione" (8).
“Quando ero ragazzo – dice Chopin nella richiamata intervista – ho rifiutato di fare il Conservatorio perché pensavo che sarebbe stato ridicolo essere in un Conservatorio con il mio nome”. Nonostante ciò, pur non sapendo leggere una sola nota musicale, Chopin intraprende una sua personalissima strada che lo introduce, unico tra i poeti sonori della prima generazione, addirittura nel mondo della musica.
Nel 1952 attraverso la visione del film “Traité de bave et d’éternité” (9) scopre Isidore Isou e nel ‘53 incontra Altagor, nemico giurato di Isou. Nel 1957 intrattiene rapporti con i lettristi, ma è con François Dufrêne, voce del “traité” di Isou che si trova in sintonia. Del lettrismo pensa che “i suoi propositi ipergrafici sono decorativi, la sua rivendicazione culturale è inutile alle evoluzioni della parola” (10). Verso la fine degli anni Cinquanta si affaccia alla ribalta degli ultralettristi, gruppo formato da una costola del movimento di Isou, ispirato alla poetica del grido di Artaud e animato da Dufrêne. Per gli ultralettristi la voce rappresenta l’energia interna necessaria ad alimentare la rete delle relazioni con il mondo. L’energia vocale rappresenta la vita stessa. Tra gioco ed ironia, rito e psicodramma, beffa e impegno civile, la voce segna passo per passo la loro esistenza e il loro ruolo di artisti. Il gruppo si concentrerà sulla materia fonica prelinguistica; impastando la vasta gamma di suoni-rumori degli apparati fonatori, essi rinunceranno alla scrittura, optando per la composizione diretta al magnetofono, come nei Crirythmes di Dufrêne, nei Megapneumes di Wolman, nelle opere di Brau, e in quelle dello stesso Henri Chopin, spirito indipendente che acquisisce immediatamente una specifica coscienza tecnologica, producendo “audio-poemi” per i quali la manipolazione del nastro si pone come fattore primario.
Chopin utilizza echi, riverberi e variatori di velocità per il trattamento della materia fonica. La stagione della poesia sonora era avviata. Gli strumenti di registrazione, che furono episodicamente utilizzati da Marinetti per le sue declamazioni, segneranno profondamente gli sviluppi della nuova sperimentazione poetica. Quella “letteratura del disco fonografico” preconizzata da Moholy-Nagy era finalmente diventata realtà (11).
Si tratta di importanti anni di sperimentazione nei quali viene assimilata l’esperienza delle avanguardie storiche e vengono lanciate le basi per la ricerca della nuova era dell’elettronica.
Nel 1959 Chopin fonda la rivista “Cinquième Saison”, che nel ‘64 diventa “OU”, pubblicazione che contiene testi, immagini e materiali sonori in vinile. La rivista accoglierà i più significativi autori in quel settore, da Dufrêne a Bernard Heidsieck, da Sten Hanson a Bob Cobbing, da Brion Gysin a William Burroughs, da Ladislav Novak al nostro Mimmo Rotella.
Ma Chopin, intrepido e raffinato precursore dei tempi, non si limita a coltivare la sfera creativa della poesia sonora. Figura chiave dell’avanguardia francese, e in seguito apprezzato a livello internazionale, è anche artista visivo, grafico, tipografo, performer, regista, editore e promotore artistico indipendente. Molte sono state le sue apparizioni anche in Italia. Come performer aveva preso parte a numerosi festival e come poeta concreto aveva partecipato a diverse esposizioni. Aveva anche fatto parte della redazione internazionale della “Taverna di Auerbach”.
Chopin resta oggi un importante punto di riferimento per più generazioni di artisti sia sul fronte della poesia del suono, sia su quello della poesia dell’immagine.
Sono da ricordare le sue “sculture magnetiche” (esposte nell’estate 2006 nella Villa Cernigliaro di Sordevolo, a cura di Carlotta Cernigliaro e Francesco Conz) e i suoi “dattilopoemi”, tessiture “concrete” di lettere battute a macchina dove spesso il dato visivo sollecita letture ai limiti dell’impossibilità, ponendosi come una sorta di partitura-visiva che offre all’occhio tessiture fonetico-bruitiste; insomma: il visivo si perde nel sonoro, specialmente perché, nell’opera di Chopin, sia l’uno che l’altro vengono organizzati sulla base della loro fisicità.
A proposito di un libro-disco (12) pubblicato a Parigi nell’87, Paul Zumthor scriveva che “la voce emana dall’intero corpo, ne oltrepassa i limiti, lo tramuta in spazio acustico, ne rende significanti gli echi. Il dattilopoema sottomette la lettera ad un’alchimia simile. Audiopoema e dattilopoema lanciano un interrogativo di cui essi non fanno che proiettare ancora più avanti la possibile, improbabile risposta. Ciò: perché non vogliono dire nulla, e proprio per questo sono portatori di senso” (13).
Proprio con Paul Zumthor, Chopin realizzò “Les Riches Heures de l’Alphabet”. Si trattava di un magnifico libro sull’alfabeto, con cinquanta dattilopoemi di Chopin con testi per ciascuna lettera dell’alfabeto di Zumthor e dello stesso Chopin e con un percorso storico-poetico dei segni: “La scrittura è simultaneamente strategia formale e alchimia – cioè trasmutazione; ma una trasmutazione mai compiuta…” (14).
Il 3 gennaio nella casa di Derehan è piombato il silenzio, ma la voce di Henri Chopin ha continuato a correre per il mondo.
1) H. CHOPIN, Un alfabeto inesauribile, in “La Taverna di Auerbach” n° 1, 1987.
2) H. CHOPIN, Un alfabeto…, cit.
3) H. CHOPIN, Un alfabeto…, cit.
4) H. CHOPIN, Un alfabeto…, cit.
5) H. CHOPIN, La voce, in “La Taverna di Auerbach” n° 9/10, 1990.
6) H. CHOPIN, ibidem.
7) Conferenza tenuta il 02/02/95, proposta e presentata da «Erratum Musical» (Giroud, Montessuis, Etienne, Handa), ora in www. erratum.org
8) H. CHOPIN, La voce, in “La Taverna di Auerbach”, n° 9/10, 1990.
9) Presentato a Bruxelles il 06 dicembre 2007 in Isotopeisou, “Mille-feuilles”, serata dedicata a Isidore Isou, Halles de Schaerbeek, con interventi di Jean-Philippe Convert, Giovanni Fontana, Emmanuel Rabu.
10) H. CHOPIN, Un alfabeto…, cit.
11) L. MOHOLY-NAGY, Vision in Motion, New York 1947. Cit. in N. ZURBRUGG, Arte sonora, arte radiofonica e performance post-radio in Australia, “La Taverna di Auerbach”, n° 9-10, 1990.
12) H. CHOPIN, Petit livre des riches heures et sonores, Galerie J&J Donguy, Paris, 1897.
13) P. ZUMTHOR, I grafemi e i vocemi di Henri Chopin, in “La Taverna di Auerbach”, n° 1, 1987.
14) H. CHOPIN e P. ZUMTHOR, Les Riches Heures de l’Alphabet, Ed. Traversière, Paris, 1993.
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