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Giovanni Tuzet: 365-terzo

di Luigi Nacci

Articolo postato venerdì 18 marzo 2011

Giovanni Tuzet è nato a Ferrara nel 1972. Ha pubblicato le raccolte 365-primo (Liberty House, Ferrara 1999), 365-secondo (Liberty House, 2000) e 365-terzo (Raffaelli, Rimini 2010), più varie sillogi e plaquettes fra cui Trazioni (C. Chomant Éditeur, Rouen 2010).
È autore della raccolta di saggi A regola d’arte (Este Edition, Ferrara 2007) e ha curato il n. 50 di “Atelier” (2008) dedicato a poesia e conoscenza. Insegna Filosofia del diritto presso l’Università Bocconi di Milano.


da 365-terzo (Raffaelli, Rimini 2010)


dalla prima parte: ordine e pulizia


arrivo
e l’erba trovo delle notti
che cresce nei parcheggi ramosi,
canne di case fitte
ombre di bar e ora nessuno

fra le gole dei lampioni
cerco
per le golene
il cervo che anela alle fonti,
da che l’acquedotto forato
lasciò che il bene scendesse coi fulmini
e la compagna, che si svia nella selva
degli asfalti e non trova le grandi porte
e si spaura

incontro buche
l’acqua salire gasata
bolle buttandosi
e il fiele non riconosci dal miele
e presto la ruggine germoglierà
sull’umane piattaforme
in questa anomia
in quest’urgere:

primo)
non sono corretti gli innesti
a grattacielo sulle piante

2)
i tagli e i tetti devon essere obliqui,
altrimenti la pioggia entra
e la vita marcisce

3)
i sassi come auto, i canneti
le erbe dei lampioni
e i carnet d’alveari
non sono censiti

un allocco nell’albero in fronte al tribunale
conto
i falchi in cima al grattacielo
poi un tasso scivola i parcheggi selvosi,
ai lati intermittenti icone
balbettano
animali elementari:
a) la rana dalla lingua accesa
b) i cani che squittiscono
c) il levriere
d) la gallinella d’acqua ocra
e) la lepre dalle lunghe orecchie
f) la volpe dagli occhi obliqui
g) il ginepro

essi eretti
raggruppati sui palazzi enormi

ed è come scartare una cannuccia

oh la bianca notte al silicone
dove lampeggia digitale lampeggia
l’invito prono
della bimba nera:

godi la roba la bocca
le hai messe le dita sull’uscita di spuma

e presto la ruggine germoglierà
sull’umane piattaforme

*

se la face ay pale
avvicinati al fuoco di cabossa
una festa che ha qualcosa di rumeno
con il fango i pelosi copricapi
i corpi rubizzi, i tromboni caricati

di là dalla costa i crudi scugnizzi
comandano birra, audi e sigarette

qui a una manciata di risa
verranno accesi i fuochi propiziatori
per il raccolto, puntando
la direzione delle scintille
del vento e del buio

come un fuoco dimenticabile
cui nessuno in fondo crede, ma spera


***


dalla seconda parte: il bene


Stringerle una mano rinsecchita. Mentre ha gli occhi che si chiudono, grandi, sul capo scavato. Crescono sul capo scavato e ruvido, sui capelli caduti, gli spini bianchi, grigi, duri che ci sforziamo a pettinare fra le dita.
Ogni tanto trema e gli occhi sembrano neri, senza pupilla. Erano azzurri. Dallo stomaco le aspirano liquido nero. Non credevo che tanto potesse ridursi il bene. Che potesse asciugarsi e sparire così.
Le ossa si sforzano ancora a tenere insieme la pelle accartocciata, che cade. Che siano ancora bianche, non posso crederlo.
Qualcuno insegnava a non temere la morte: è come la sabbia di una clessidra che scorre con la vita, scende un po’ alla volta, ogni giorno. Ma per lei non è così: piomba in fretta giù nell’orrido aperto all’improvviso.
Sono sbigottito. Lei parla ancora, ha ricordi, desideri, magari sorride un po’. Ci sarà quell’attimo in cui avrà fine e allora dove andrà tutto quello che ancora la testa scavata difende? Giù con la clessidra, con le borse di plastica piene di liquido, le flebo, la vicina di letto già beffata dall’embolo, l’ospedale intero, il grappolo nero anche lui?

*

Un giorno le porto delle arance di Sicilia, ne ho presa una cassetta per lei, che un profumo di terra e di sole risvegli la stanza. Mi guarda un po’ così, come se fosse malinconica; io non so cosa dire, cosa aggiungere al pensiero che non potrà finirle.


***


dalla terza parte: sillogismi combustibili


sillogismo dell’unico

dice mio padre di essere un cane
vecchio: ogni giorno un dolore nuovo,
qui o là – e non ha diversi figli
ma solo me, che penso e scrivo cose

irripetibili. a questa prima
evidenza si somma un accidente:
ho un occhio che mi scappa, quando inghiotto
o sono nervoso. ad ogni modo:

se cado io, resta solo lui;
se cade lui, resto solo io.
conclusione: ancora non so dire
quanto costata è la morte di lei

*

sillogismo dei molti

mi piace spettinato fare giochi
col cuore sulla spiaggia di prestigio,
puntare e fare fuoco su di loro,
le più tenere e se perdi crudeli

ma anche adoro restare nell’ombra
e sfiorare non visto la navata
nuda e le tessere paleocristiane.
così pensai a farmi tatuare

sul petto la scena di Giona, quella
in cui esce di pancia alla balena,
e mostrarlo alle ragazze eccitate:
“non uno, ma molti me sono in me”


*****

(altri due testi di Tuzet su Absoluteville: QUI)

4 commenti a questo articolo

Giovanni Tuzet: 365-terzo
2013-04-01 05:05:47|di Bocca della verità

Se questo Tuzet è in qualche modo imparentato con Flavio Tuzet (il piccolo Berlusconi di Cento, come l’ha definito Il Fatto Quotidiano), allora ecco come si fa a diventare ricercatori alla Bocconi a meno di quarant’anni. Se invece non lo è, allora sarà stato solo culo.


Giovanni Tuzet: 365-terzo
2012-10-07 23:46:31|di Marco Righetti

A un’ora della notte si possono trovare questi varchi e restare affascinati e interdetti: come se qualcosa di bello si fosse appena creato e, frantumatosi, attendesse di ricomporsi. Ma tant’è, la poesia organizza il reale, crea movimenti. mi riferisco anzitutto allo stralcio da Il bene.
E questo è il bene della poesia


Giovanni Tuzet: 365-terzo
2012-10-07 16:58:12|di daniela raimondi

A volte ci si imbatte, quasi per caso, in qualcosa di bello e fulgido. Qualcosa che tocca, emoziona e ci fa bene.
Splendidi davvero questi testi ricchi e profondi, ma dal tono giustamente sommesso, scarno, essenziale.Direi perfetto.


Giovanni Tuzet: 365-terzo
2011-03-25 16:47:54|di Valerio

Un libro in cui Giovanni applica le sue teorie relative a una corretta applicazione della poetica futurista. Ragionante e visionario. Con molti elenchi. In linea con l’amore per la scienza di una linea neobarocca della nuova poesia italiana. Da leggere


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