Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Harkaitz Cano è nato a San Sebastian (Paesi Baschi) nel 1975. Ha pubblicato nel 1994 la raccolta di poesia Kea behelainopean bezala (Come il fumo nella nebbia) e nel 2001 Norbait dabil sute-eskaileran (edita recentemente in castigliano: Alguien anda en la escalera de incendios - C’è qualcuno nella scala antincendio). Ha lavorato come sceneggiatore per TV, radio, fumetti, e tradotto in basco diversi autori, tra i quali Hanif Kureishi e Allen Ginsberg. Scrive, oltre alla poesia, letteratura per ragazzi, racconti e romanzi. Ha pubblicato la ucronia Belarraren ahoa (La lama dell’erba), il romanzo Beluna jazz e un libro di cronache frutto del suo rapporto con New York: Piano gainean gosaltzen (Colazioni su un pianoforte). I racconti Neguko zirkua (Circo d’inverno) hanno ricevuto il “Premio de la Crítica” nel 2006. Collabora abitualmente con artisti e musicisti: FasTFatum, Joserra Senperena, Txuma Murugarren, Oskorri, Jabier Muguruza e altri. I suoi romanzi sono stati tradotti in castigliano e in russo e tra poco lo saranno in greco, inglese e tedesco. Il fumetto Piztia otzanak, di cui è coautore insieme al disegnatore Iñaki G. Holgado, sarà pubblicato in Italia quest’anno.
LA SOLITUDINE ERA QUELLO
È duro pescare nel ventunesimo secolo.
La solitudine,
a migliaia di chilometri da casa tua:
niente di lugubre, niente di crepuscolare.
Un supermercato immenso e luminoso,
trenta marche diverse di salmone affumicato;
ma tutte sono la stessa.
Un’anziana polacca ti domanda qualcosa,
sembra persa qui da anni,
alla ricerca di un vasetto di cannella
o del filo di Arianna.
Indifeso, senti solo l’estremità della lancia
di quel pescatore neanderthal:
è quel poco istinto che non abbiamo fatto fuori.
Trenta marche diverse di salmone affumicato,
e sotto l’etichetta di una di loro
c’è la data della tua morte.
Tenti l’urlo ma la gola non risponde.
Il pescatore ancestrale ti abbandona.
Trenta marche diverse di salmone affumicato
di fronte a te,
e tu
che ti credevi così coraggioso.
Ora vai, e scegline una.
*
WHEN WE WERE YOUNG
A volte i jeans
s’impilano ai piedi del letto
e l’acido notturno muta lo zigomo in vuoto,
in teschio il labbro inferiore
della ragazza addormentata.
Un ragazzo si sveglia al suo fianco e osserva l’alba
dalla finestra. Non ricorda il suo nome né quello della ragazza. In lontananza,
le ciminiere petrolchimiche del porto industriale.
Al di là c’è Hendaya, il suo odore di frontiera.
Dopo il ragazzo sembra canticchiare il ritornello di quella canzone,
que yo no tengo la culpa de verte caer
o qualcosa del genere.
Dopo una breve sintonia,
Radio Resiste informa:
“ci drogheremo ancora fino a nuovo avviso,
finché qualcuno inventi una pasticca definitiva, dolce,
e creatrice di encefalogramma piatto,
che ci permetta di suicidarci senza rischio
di finire con un’ulcera duodenale
e perdere la salute nel tentativo”.
*N.d.T. “Che non ho colpa se ti vedo cadere”: Héroes del silencio, Entre dos tierras (Tra due terre)
*
GIORNO SENZA TECHNICOLOR
Un’inquietudine antica, un’attesa prolungata,
gente che guarda come cade la pioggia nei cortili interni,
una mano tesa le cui dita aprendosi
diventano di pezza.
Tutto questo e un odore di candele spente un’altra sera.
Come quando vai a letto con qualcuno
che non avresti dovuto.
Svegliarti tra lenzuola con le iniziali ricamate
senza una goccia di amore
per un matrimonio
— mai il tuo, mai le tue iniziali, in ogni caso.
Svegliarti con alito di gargolla
con la sensazione di aver dormito in piedi tutta la vita
su un filo di ferro,
e abbassare lo sguardo dal trapezio per andare incontro
a qualcosa che sai dal principio
che non vorresti vedere:
una discarica di teste di bambola tagliate alla radice,
e una bambina dalle mani lerce
che strappa loro i capelli.
Dietro le persiane, l’edicolante intitola l’alba.
La novità del nuovo giorno è che è deprimente
come le occhiaie di un ammaestratore di scimmie.
*
VIAGGIATORE STANCABILE E DRASTICO CON CUI L’AUTORE NON S’IDENTIFICA
Ci si stanca di spazzare la luna.
Di scrivere a gente la cui vita
mai più tornerà a sovrapporsi alla nostra.
Di vedersi passeggiare dai binari e dai balconi.
Indosserò il mio sorriso migliore e mi farò un giro,
chiamerò le vecchie amiche, riempirò l’agenda di appuntamenti
e cene. Dirò a tutti tutto a posto, alla grande.
Che sono persino felice, a tratti.
Sarà il mio sguardo il più traslucido
e la mia andatura, la più lieve.
Mi iscriverò a tutte le scuole
per imparare tutte le lingue.
Pagherò le rate anticipatamente.
Chiederò in prestito denaro, vestiti e libri. Presterò
quello che mi sarà chiesto.
Sorprenderò con conversazioni originali e allegre
i miei scontrosi vicini. Smetterò di essere scontroso.
Consolerò tutti i depressi del quartiere
con parole di conforto; perché la vita, tutto sommato,
merita di essere vissuta.
Dopo pulirò casa, metterò in fila tutte le mie scarpe
in ordine cronologico, farò un elenco di cose
da fare. Comprerò coltelli che non userò mai
e che finirò per abbandonare nei cassetti.
Dal tavolino agguanterò la rivoltella.
Come fosse una caramella alla menta, la mia tempia
succhierà il proiettile.
E senza ulteriori drammi,
mi renderanno immortale
tutte le cose che lascerò incompiute.
*
IL LETTO AL CENTRO
Per Karmelo C. Iribarren
Se ti ficcano in un ospedale
quarto piano quarto reparto,
prega perche non ti tocchi una stanza
di tre letti.
E si tocca una stanza di tre letti
prega affinché il tuo non sia
quello al centro.
Dal letto della finestra si vede un pezzo di cielo:
le nuvole e i cavi elettrici che si agitano.
Dal letto della porta si vede un pezzo di corridoio:
il mondo e le ruote delle barelle che girano.
Ma nel letto di mezzo…
Oh, nel letto di mezzo
né corridoio né cielo, amore.
Solo due moribondi,
replica e specchio
dove riconoscerti e raderti
se sei dell’umore giusto la mattina.
*
RICONCILIAZIONE CON FINESTRE
Fa parte anche del mio film, non credere.
Fare colazione tutti i giorni da solo su un piano scheggiato,
chiedermi perché mai
parliamo di certe cose,
sentire un dolore troppo preciso e sorseggiare caffè e amarezza.
Oggi è impossibile riconciliarsi con le finestre,
sporche, antipatiche finestre che non si lasciano mai.
Non si lasciano mai pulire.
Perché oggi piove, e no,
oggi non era in programma.
Oggi era in programma un pieno sole davanti al quale
sentirsi troppo ridicoli singhiozzando.
Alzo la cornetta del telefono e senza fare un numero, chiedo
se c’è qualcuno dall’altra parte, cambio.
Sposto di lato e sui letti le camicie buttate in giro.
Mi giro e giro i ritratti alle pareti.
Mi accontento
dei due o tre finali che mi si offrono,
come si rassegna chi indica con il dito
uno dei tre bussolotti offerti dal baro,
sapendo già
che mai azzeccherà dove. Là.
Là film, mi dico sdraiato sul letto.
Ma fa parte anche del mio film.
Un giorno lo dovrò affrontare, iniziare,
fare il primo passo per lasciare quest’angolo, affacciarmi sul mondo
e riconciliarmi con i suoi resti;
dire a caso, Quello Di Mezzo e chiudere gli occhi
quando il bussolotto viene alzato.
Forse domani.
Oggi ho solo voglia che qualcuno apra la mano
e mi permetta di camminare venti secoli
su questo tiepido deserto.
*
LA FINESTRA DISCRETA*
che mi riscatta dal rogo
con la sua trama di paravento proletario
- di carta di riso, quasi -
e con una donna che si muove il minimo dentro di sé.
Finestre come lanterne di festa, fragili,
di amori adolescenti che farai a pezzi se li tocchi.
Cerco in finestre ardenti
un suggerimento salvifico; la vista del parziale allevia,
un amore a Tokyo, improvvisazione ricercata
nel neon svirgolato delle periferie.
Guardo la finestra e, a notte molto inoltrata,
è ancora accesa, chi abita lì?
La finestra discreta, una tra le tante, cornice di possibili,
sagoma delle fiere con un buco per la tua testa.
La finestra è la misura dei nostri sogni.
Ringrazio ciò che non vedo ed è ossigeno;
una tela svanita che respiro e mi basta.
Fuori dalla cornice si fonde la certezza in notte:
magari percepisse la trama della carta di riso,
magari il suo alito dietro i vetri,
brezza di kimono gracile che si agita
mostrando solo l’irrilevante velato.
Inizio ad amarla essenzialmente tra le tende.
Mi spengo piano, sollecito,
ed è l’unico modo di, umilmente,
salvarmi.
*N.d.T. “La ventana discreta” gioco di parole sulla traduzione spagnola del film Rear Window di Alfred Hitchcock, La ventana indiscreta, in Italia tradotto come La finestra sul cortile.
*
GERMANIA, ANNO ZERO
Tornando da scuola Edmund portava nella cartella
pezzi di carbone staccati dai carri.
La sua famiglia li accoglieva come oro colato.
Poi le cose andarono storte, il padre morì,
la coscienza del bambino smise di misurarsi
con la scala della furbizia.
Il bambino, prima di saltare nel vuoto,
osservò la sua casa da un’altra casa,
la sua rovina da un’altra rovina;
il suo scheletro da un altro scheletro.
Vide le finestre, sbarrate da assi in croce.
Nessun altro tesoro per un fanciullo lì
dietro i battenti tarlati.
E la nave va. E il bambino, salta.
Riavvolgiamo l’ultima sequenza una e ancora un’altra volta,
resuscitando il bambino e sfidando la gravità,
accertandoci dei trucchi di montaggio:
ci assicuriamo così che Rossellini
lasciasse in vita l’attore bambino, almeno.
Apriamo la finestra per arieggiare.
*
AEROPORTO
Arrivals/Piagate
Refuso (o no) in un aeroporto di provincia*
Il suo nome – Loiu - non è di donna né s’improvvisa.
Il cimitero è la prima cosa che vedo dal finestrino.
Un finestrino di aereo nel quale combacia perfettamente
una lapide, secondo il calcolo.
Abitudine di scale metalliche e cemento dolente.
Attorno al nastro trasportatore
viaggiatori dagli occhi bendati giocano al gioco della sedia.
Qualcuno finirà per perdere la sua.
Una delle fortunate riposa seduta ormai sulla sua valigia,
asciugandosi la fronte alleviata, con un fazzoletto bianco
(“mi arrendo, mi arrendo, ci arrendiamo”).
Gli altri restiamo in attesa, tesi
(“non arriva, non arriva, la mia non arriva”).
E sbuca, alla fine.
Metal detector. Tento le prove di un nuovo incontro.
Qualche abbraccio a marcia indietro, cullato dalle due parti.
Ronzii e altoparlanti. Dev’esserci vicina una sala operatoria.
Una valigia, zavorra che trascino o mi trascina.
Dopo il viaggio sono lo stesso, ma non lo sono lo stesso.
“Qualcosa da dichiarare?”
“¡Que se mueran los feos!”**
Credevo non chiedessero più
queste cose alla dogana.
Ma visto che lo chiede, sì c’è qualcosa, dottore.
“Sento dentro di me la traiettoria di un dolore che gira.
La traiettoria è di andata e ritorno, e il dolore
è di ritorno, soltanto.
“E’ grave l’infrazione, agente?”
Ho anche dischi di bourbon e bottiglie calibro Bessie Smith,
ma decido di rischiare e taccio vilmente.
Tremore a fiotti. Sudorazione fredda. Spossatezza, ansia.
Il mio pesante bagaglio: utile alibi per pulsazioni aritmiche.
La ragazza dai boccoli biondi si pettina frettolosamente.
Io pettino il terminale Arrivi con lo sguardo,
leggo voli delayed come se m’interessassero,
ingombro e invidio i viaggiatori come dio comanda
che sanno dove andare.
Cerco un’uscita, anche non la mia.
*N.d.T. Gioco di parole Arrivals/Llegadas, in spagnolo. Con la “a” al posto della “e” diventa “Llagadas”, appunto “Piagate”.
** N.d.T. Titolo di una canzone del gruppo spagnolo Los Sirex, “Que se mueran los feos” (Crepino i brutti)
(tutti i testi sono tratti da RECONCILACIÓN CON VENTANAS - RICONCILIAZIONE CON FINESTRE - libro inedito del 2008 scritto in castigliano)
**
Una foglia di tabacco messa a seccare. A volte finisce per acquisire un aroma più intenso della foglia stessa. A volte marcisce. Tra queste due opzioni, la poesia.
Anche il dolore fa odore o puzza. Il dolore aiuta a ricordare. C’è qualcosa di gradevole nel dolore e non soltanto nel suo risvolto masochista: il dolore è la nota assonante tra due silenzi di sollievo. Senza l’uno non esiste l’altro. Senza una cosa non esiste l’altra. Non c’è piacere senza dolore. Il dolore è un apprendistato ed è anche quello che chiedo al poeta: dimmi dove ti fa male che dente ti fu estratto che fantasma t’insegue. Bisogna combattere il dolore, con ibuprofene o con ironia. Con la chimica o con la poesia. Sono dipendente da tutto.
Roger Wolfe diceva che Dio è un cane che ci guarda. Lo scrittore – arrogante e pieno di sé - agogna di essere quel cane. E di raccontare tutto in prima persona: “io sono quel cane indifeso che zoppica tra le foglie di tabacco…”. Io sono un altro. E sono anche te.
Vorrei descrivere l’odore delle mie radici che marciscono. E che tu dicessi: “Sì, lo ricordo”.
Harkaitz Cano
***
Traduzioni dal castigliano: Ana Ciurans
Adattamento poetico in italiano: Fabio Donalisio
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post precedenti:
I - János Pilinszky (Ungheria)
II - Viktor Kubati (Albania)
III - Slavko Mihalić (Croazia)
IV - Mircea Dinescu (Romania)
V - Rade Šerbedžija (Croazia)
VI - Alfred Lichtenstein (Germania)
VII - Marcello Potocco (Slovenia)
VIII - Stanka Hrastelj (Slovenia)
IX - Pablo García Casado (Spagna)
X - Gonzalo Escarpa (Spagna)
XI - Juan Carlos Abril (Spagna)
XII - Ana Brnardić (Croazia)
XIII - Natalia Menéndez (Spagna)
XIV - Alberto Santamaría (Spagna)
XV - Arben Dedja (Albania)
XVI - Yolanda Castaño (Spagna)
XVII - Laureline Kuntz (Francia)
XVIII - Matjaž Pikalo (Slovenia)
XIX - Sookee (Germania)
XX - Leire Bilbao (Paesi Baschi)
XXI - Christian Teissl (Austria)
XXII - Jure Jakob (Slovenia)
XXIII - Hedoi Etxarte (Paesi Baschi)
3 commenti a questo articolo
HARKAITZ CANO: La finestra è la misura dei nostri sogni
2009-04-09 17:28:10|di ana ciurans
ciao Valerio,
provo a spiegarti. ho tradotto i versi verso l’italiano. a lavoro compiuto un poeta italiano ha sensibilizzato (in gergo traduttese "localizzato") l’uso di alcuni termini, scegliendo cioè quelli più musicali, ritmici e adeguati all’autore. se ti va ti posso spiegare ancora ma non voglio annoiarti.
ana ciurans
HARKAITZ CANO: La finestra è la misura dei nostri sogni
2009-04-09 16:14:12|di Valerio Cuccaroni
è sconsolante, per certi versi, constatare come anche in altri paesi il mondo rimandi le stesse immagini di morte e desolazione.
ma allo stesso tempo è una conferma che se lo sguardo del poeta è vigile, la sua parola, da qualunque parte del mondo provenga, continua a interrogarci. e questa rubrica di luigi ci permette di uscire dai nostri angusti confini, dalle nostre battagliucce italiote. per questo l’opera che sta portando avanti merita sempre nuove lodi.
nello specifico la vocazione narrativa dell’autore non mi sembra piattamente prosastica, ma convive con rigeneranti sguarci visionari («A volte i jeans / s’impilano ai piedi del letto / e l’acido notturno muta lo zigomo in vuoto, / in teschio il labbro inferiore / della ragazza addormentata»). un poeta capace di accompagnarci nel suo mondo con apparente affabilità, per poi lasciarci soli, come se niente fosse, di fronte a crude immagini traumatiche.
cosa significa "adattamento poetico in italiano"?
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HARKAITZ CANO: La finestra è la misura dei nostri sogni
2009-04-13 09:05:41|di Alessandro Ansuini
davvero dei testi splendidi, mi ci ritrovo moltissimo.