di Luigi Nacci & Lello Voce
Luigi Nacci (Trieste, 1978) è poeta e performer. Nel 1999 ha co-fondato il gruppo de “Gli Ammutinati”. Ha pubblicato in poesia: Il poema marino di Eszter (Battello stampatore, 2005), poema disumano (Cierre Grafica, 2006; Galleria Michelangelo, 2006, con CD), Inter nos/SS (Galleria Mazzoli, 2007; finalista Premio Delfini e Lorenzo Montano), Madrigale OdeSSa (Edizioni d’if, 2008; Premio Mazzacurati-Russo), odeSS (in Decimo quaderno italiano di poesia contemporanea, Marcos y Marcos, 2010). Ha pubblicato inoltre il saggio Trieste allo specchio (Battello stampatore, 2006) e ha curato con G. Nerli Le voci la città. Racconti e poesie per ripensare spazi e accessi (Cadmo, 2008, con CD). Ha organizzato molti eventi letterari e dal 2008 collabora stabilmente alla realizzazione del Festival Absolute Poetry. Redattore della rivista di arti&linguaggi “in pensiero”, ha un piccolo blog: www.nacciluigi.wordpress.com.
Lello Voce, (Napoli, 1957) poeta, scrittore e performer è stato tra i fondatori del Gruppo 93 e della rivista Baldus. Tra i suoi libri e CD di poesia ricordiamo Farfalle da Combattimento(Bompiani,1999), Fast Blood (MFR5/SELF, 2005) e L’esercizio della lingua (Le Lettere, 2009). I suoi romanzi sono stati riuniti ne Il Cristo elettrico (No Reply, 2006).
Ha curato L’educazione dei cinque sensi, antologia del poeta brasiliano Haroldo De Campos.
Nel 2001 ha introdotto in Italia il Poetry Slam ed è stato il primo EmCee a condurre uno slam pluringue (Big Torino 2002 / romapoesia 2002).
Ha collaborato, per la realizzazione delle sue azioni poetiche, con numerosi artisti tra cui Paolo Fresu, Frank Nemola, Luigi Cinque, Antonello Salis, Giacomo Verde, Michael Gross, Maria Pia De Vito, Canio Loguercio, Rocco De Rosa, Luca Sanzò, Ilaria Drago, Robert Rebotti, Claudio Calia.
E’ Direttore Artistico di Absolute [Young] Poetry - Cantieri Internazionali di poesia.
di Cecilia Bello Minciacchi,
Paolo Giovannetti,
Massimilano Manganelli,
Marianna Marrucci
e Fabio Zinelli
di Yolanda Castaño
di Domenico Ingenito & Fatima Sai
di Maria Teresa Carbone & Franca Rovigatti
a cura di Massimo Rizzante e Lello Voce
La Posteggia a Napoli, come probabilmente qualcuno di voi lettori già sa, è quell’orchestrina girovaga (usualmente non più di tre elementi) che si muove da ristorante a ristorante, allietando i commensali con l’esecuzione di brani della tradizione popolare: si va da Scalinatella, a Torna a Surriento, via Malafemmena e Munasterio e’ Santa Chiara. Tutte meravigliose canzoni, sia chiaro, ma eseguite in un contesto che ne deprime radicalmente ogni qualità.
Musica da intrattenimento, insomma, oramai a quasi esclusivo consumo di turistame giapponese, o alemanno, o yankee, a volte eseguita da ‘maestri’ nemmeno troppo rozzi e privi di gusto e abilità musicale, elettronicamente e digitalmente spesso piuttosto evoluti, a volte, ormai,con tanto di Sound System portatile e microfono ad archetto. Un misto,un po’ inquietante, di piano bar e neo-melodico tarantellato.
Peraltro la Posteggia vanta tradizioni antichissime, ben più nobili di quelle attuali. C’è chi addirittura ne ipotizza una discendenza da rapsodi, jaculatores, trovieri.
Di certo i Posteggiatori hanno avuto la loro importanza nella vita sociale della città, hanno una corporazione riconosciuta presso il Sedile del Molo già intorno al 1569 e, alla metà del Sedicesimo, nomi come quello di Sbruffapappa, Masto Ruggiero, o Ciullo o’ Surrentino erano celeberrimi a Napoli, magari più di quanto lo sarebbe stato, di lì a un po’, di quello di Metastasio, anche se ahimè, non dotati dello stesso genio creativo.
Qualche tempo dopo, intorno al Diciannovesimo (all’altezza del Grand Tour, per capirci, dunque al tempo di un oramai incipiente turismo) proprio a loro si deve l’invenzione della Parlèsia, il gergo segreto utilizzato poi da moltissimi musicisti napoletani, fatto apposta per non essere compreso da clienti e gestori dei locali dove si teneva la Posteggia
Perché vi sto parlando di Posteggia? Ma perché è un po’ di tempo – e certo anche voi ve ne sarete accorti – che in Italia è sempre più diffuso l’antropotipo del Poeta con Posteggia.
Sia chiaro: non mi riferisco ai colleghi, e ce ne sono di eccellenti anche in Italia, che fanno spoken word, o spoken music, se preferite, o anche, per i palati più fini, poetry spoken music. No. Mi tirerei la zappa sui piedi, è quello che faccio anch’io, spesso peggio di molti di loro.
(1 -noterella teorica - guarda a piè dell’articolo )
Mi riferisco piuttosto agli ormai tanti (tantissimi, troppi) poeti ‘tradizionali’, lineari, paladini della poesia scritta o morte, quelli sempre pronti a bollare con un ghigno di sufficienza ogni timida avance a proposito delle radici e delle caratteristiche orali della poesia, quelli per i quali la parola ‘cantautore’ è una sorta di insulto, o marchio d’infamia letteraria.
Ecco, proprio loro, i Silenti Custodi dell’Arte, non paghi di affollare con la loro incongrua presenza festival e rassegne di mezz’Ytaglia, ora han pensato bene di portarsi dietro anche tamburi, flauti e chitarrini e se ne vanno in giro con musicista al seguito…
Voci ben informate mi hanno sussurrato di un celeberrimo poeta milanese, paladino della poesia muta, anzi mutissima, praticamente omertosa, che attualmente girerebbe palchi e pedane accompagnato da chitarrista. Sarà vero?
So per certo, però, che il poeta più pio d’Ytaglia ha messo su addirittura un’associazione o fondazione, o il diavolo solo sa che ‘one’, dedicata ai rapporti tra musica e poesia, a cui partecipano tutti, poeti lineari e cantautori, ma che singolarmente ignora chi spoken word e spoken music li fa da anni (come dire: abbiamo rapporti da buoni vicini, cantautori cari, ma poi ognuno a casa sua e soprattutto noi ‘paroni a casa nostra’. Vi sembro prevenuto se mi viene in mente l’aggettivo: gesuitico?).
Il tutto ovviamente con la complicità di uno dei ‘più poetici cantautori’ nostrani.
[Parentesi aperta: ma che significato avrà questo trasformarsi della poesia, da che era sostantivo, poesia appunto, in aggettivo, ’poetico’, attribuibile praticamente a tutto e anche a di più? A me pare segnale infausto, ma spero di sbagliarmi, ovviamente. Parentesi chiusa.]
Dirò più: vi sfido a trovare un qualsiasi festival, o festivalino, o rassegna, o rassegnetta, o meeting qualsivoglia di poesia, magari frequentato, sopra e sotto il palco, esclusivamente da pasdaran della poesia neo-orfica, post-simbolista, mistica e certamente muta mutissima, praticamente a labbra cucite ed acqua in bocca, in cui non ci sia l’intermezzo musicale, l’accompagnamento in do minore per i versi berciati dagli abbeverati alla Fonte Cavallina (che parola orribile ‘accompagnamento’, nevvero? Sembra che la poesia sia una vecchia demente, un po’ ebefrenica, che va accompagnata, come se avesse bisogno di una badante in chiave di violino, brrrr che orrore!).
Non bastavano i festival fatti da una serie interminabile di interminabili reading di inqualificabili esecutori di versi, magari belli, ma resi irriconoscibili dai loro stesi padri ( e madri). No. Eppure a me sembravano abbastanza.
Per come la penso io, non è vero che una poesia detta dall’autore sia sempre ben detta, o detta meglio che se eseguita da altri, più di Lui bendicenti.
Conosco colleghi che producono pregevoli testi, che ammiro con sincerità, ma che poi li balbettano sul palco, li torturano, sbagliando magari quelle stesse intonazioni e accenti che loro stessi hanno escogitato e creato su carta.
A che serve? Perché maltrattare con la propria voce qualcosa che un lettore attento eseguirà assai meglio a mente, leggendo?
La novella ‘dantesca’ del Boccaccio è certamente nota e io credo che il buon Alighieri avesse tutte le ragioni di questo mondo per lamentarsi con il maniscalco che umiliava vocalmente la sua Commedia, eseguendola a come viene viene.
E quello che vale per il maniscalco boccaccesco credo valga per tutti, autore compreso…
Si badi che non parlo di chissà che abilità ‘performative, o di dizione, ma di semplice rispetto del testo, di quell’ anonimo rispetto di cui Rosaria Lo Russo parla qui da noi, nel suo blog.
Non bastasse questo, da un po’ di tempo, ecco arrivare le Posteggie…
Io penso che a un festival che sia dedicato alla poesia debbano partecipare essenzialmente dei poeti. Altrimenti perché non dichiarare da subito che quel determinato evento è dedicato ai rapporti tra poesia e musica e poi comportarsi di conseguenza, invitando soprattutto autori che fanno quello che è lo scopo di quel determinato progetto artistico?
Invece no: in Ytaglia di Festival ce ne sono tanti, per la maggior parte di poesia-poesia in cui state certi che non mancherà il concerto rock (con promozione sul campo del cantante a ‘poetico interprete, ecc..’ si trattasse pure di Lady Gaga, se serve a tirar dentro pubblico), il duo o il trio musicale, pronto a fare da intermezzo tra una lettura e un’altra…
C’è persino un noto festival letterario (un evento di quelli mega, dove ovviamente invitano soprattutto romanzieri e in cui ai poeti riservavano la stia di una stipatissima giornata collettiva e ora nemmeno più quella, che si sa che i poeti portano voti solo a Vendola) che perfino ai prosatori e ai saggisti non manca mai di accoppiare il musicista di turno.
Perché?
A cosa serve dunque tutta codesta musica? A cosa, visto che Lorsignori son sempre ad affermare che rapporto tra musica e poesia non può essercene, visto che la poesia ha già la propria, di musica…? Perché non eseguono quella e chiamano invece in soccorso ottavini, corni, arpe e putipù?
A pensarci su bene sembra quasi che i siparietti musicali debbano dare un attimo di respiro ai poveri spettatori, provati dalla noia nociva e mortale del precedente ascolto di versi maldetti, una boccata d’ossigeno che permetta loro la successiva apnea: hop! nuovo poeta, turare il naso e immergersi sino alla prossima boccata d’ossigeno, o meglio di note.
Musica da intrattenimento, Posteggia, insomma…
Ma per quale diavolo di ragione la gente dovrebbe uscire da casa propria e recarsi a vedere qualcosa che gli organizzatori, i protagonisti stessi ritengono sia un noiosissimo spettacolo, tanto noioso che gli spettatori vanno intrattenuti, vezzeggiati, premiati per la loro pazienza con un po’ di musica, con qualcosa che sappia emozionarli, divertirli, catturarli davvero…?
Eh già, perché, volenti o nolenti, quei poeti lineari lì, i balbuzienti insomma, quando salgono le scalette che portano sul palco, quello stanno facendo:uno spettacolo di poesia, all’interno di un festival di poesia. Non avranno il dovere di farlo bene? Che senso ha farlo male, tanto male da dover poi consolare il pubblico con un po’ di posteggia musicale, absit iniuria verbis nei confronti degli ottimi musicisti?
E voi ottimi musicisti, perché qualche volta non ci mandate a quel paese, quando vi invitiamo ai nostri reading spesso con il compito di guadagnare quegli applausi che da soli i nostri balbettii mai meriterebbero?
E voi, ottimi poeti ‘lineari’, paladini di un’arte muta per scelta ed elezione non fareste meglio a dire: no, per me la poesia è una roba che va letta a mente, in silenzio, le sue caratteristiche formali, la sua essenza, lo richiedono (come in realtà fate) e poi comportarvi di conseguenza (come non fate affatto), rifiutando garbatamente ogni invito a darne pubblica esecuzione in proprio (e magari anche in altrui, tanto per esser coerenti con l’assunto)?
Se non siamo artisti, poeti che fanno spettacolo di poesia, mentre diciamo i nostri versi su un palco, noi, balbuzienti lì, cosa siamo?
Piazzisti di ottave, informatori poetici, comparsanti in endecasillabi?
O che? (e mi risparmio e vi risparmio la prevedibile mia filippica a proposito del ‘corpo mistico dell’autore’, della ‘simbolicità profetica della sua voce’ e amenità consimili).
Ma, se siamo artisti, se stiamo facendo spettacolo, allora dobbiamo esserlo, farlo il meglio possibile, credo, anche eseguendo i nostri testi su quel palco.
Il palco è un territorio minato, uno slum duro, dove non ci sono salvacondotti speciali per nessuno, poeti nemmeno, fossero pure in pericolo di estinzione, come i panda.
Marc Kelly Smith, il poeta che ha inventato il Poetry Slam, ha detto una cosa piuttosto sensata: un poeta che fa spoken word, o spoken music deve saper fare bene tutto ciò che fa un poeta lineare per scrivere una poesia che funzioni su carta e in più deve anche essere capace di ‘dirla’ bene su un palco. Mi pare incontrovertibile, a lume di senso comune, almeno….
Ne ho visti un bel po’, ormai, di questi reading con posteggia, ad alcuni ho anche improvvidamente partecipato (chi è senza peccato, scagli!), ne ho provate di queste marmellate, dove, a seconda del ‘colore’ dei versi proposti, senti jazz, o classica, o barocca, o musica da camera, magari samba, o tango: brani scritti per tutt’altra ragione, appiccicati a versi mai pensati per dialogare con la musica, e meno che mai con quella, note incongrue, messe tra un balbettio e un altro, colonna sonora improvvisata (e salvifica) di un teatrino tirato su lì per lì, di un film il cui soundtrack è stato realizzato con quel poco che c’era restato di vinili, giù in magazzino…
Come dimenticare le facce degli spettatori che diventano distese, liete, non appena infine attacca la musica, quelle dei musicisti, spesso tristi, demotivate, in surplace, costretti come sono a far da posteggia a un matrimonio in cui gli sposi sono altri…
Ovviamente tutto questo contribuisce a fare la notte in cui tutte le vacche sono nere, in cui chi davvero lavora con impegno e serietà a sviluppare spoken word e spoken music degni di questo nome viene coperto da un mare di suoni melensi, casuali, cacofonici, aleatori.
L’esatto opposto di quel mèlos di cui discorre con profondità e sagacia Stefano La Via, anch’egli qui da noi.
Il risultato apicale di questa marmellata piuttosto repellente e appiccicosa è l’orribile apicellesco CD per le scuole, prodotto dal Malgoverno in carica, in cui dei supposti cantanti fanno scempio musicale di versi più o meno (alcuni molto meno) celeberrimi, trasformandoli in canzonette dalla pochezza imbarazzante, divorando ogni briciolo di forma poetica a botte di schitarrate e ululati neo-melodici; alcuni di essi versi anch’essi tanto brutti da meritarlo, va detto questo pure, ma altri invece, no, degni di ben altre ugole e attenzioni contrappuntistiche e abilità esecutive.
Ma questo è il fondo. Prima c’è il territorio grigio, lo spazio delle sabbie mobili, quello delle poesie recitate, o balbettate, con intermezzo musicale, quello dei Poeti con Posteggia.
Tra l’uno e l’altro, però, sospetto che qualche nesso ci sia…
1 -noterella teorica
I miei indulgenti lettori sapranno perdonarmi l’ardire di una noterella squisitamente teorica a piè di un intervento che si vuole sarcastico e polemico?
Se lo faccio è per chiarezza, nel senso che nell’utilizzo di termini come spoken word, o spoken music in Ytaglia (e non solo, ahimè) vige una certa confusione.
Acciocché il lettore possa dunque con chiarezza intendere ciò che intendo, propongo due veloci definizioni, schematiche come sono le definizioni, ma spero chiare.
Se non altro si comprenderà ciò che io intendo quando parlo di spoken word o spoken music, se invece saranno addirittura da taluno apprezzate, chissà che non si faccia un po’ di chiaro nelle nebbie.
Potremmo ad esempio metterci d’accordo su una definizione dello spoken word che reciti: è quel particolare tipo di poesia contemporanea nella quale le caratteristiche dell’esecuzione vocale che ne dà il suo autore sono parte integrante delle qualità formali di tale poesia e, per molti versi, anche del testo stesso di quella poesia.
Ovviamente, nel caso in cui ad eseguire il testo poetico non sia l’autore stesso si apre un ventaglio diverso e vastissimo di problematiche formali e teoriche che credo stia trovando agio di svilupparsi negli interventi del blog di Rosaria Lo Russo e in molti dei commenti che li corredano (ad esempio quelli di Nevio Gambula)
Detto questo la spoken music (la poetry spoken music se preferite) sarebbe quel particolare tipo di poesia contemporanea nella quale un testo è accoppiato ad una musica originale e in cui le caratteristiche formali dei suoni, della melodia e dei ritmi musicali e il rapporto da essi stabilito con la vocalità del poeta (a livello sia melodico che ritmico)sono parte integrante della qualità formali di detta poesia e, per molti versi, anche del testo stesso di quella poesia.
O se preferite di tale mèlos.
Riporto qui di seguito, per risparmiarvi la fatica di un ulteriore click quanto sostenuto da la Via:
“Mélos significa infatti unione, in un sol corpo, di parola (lógos) musica (armonía) e ritmo (rhythmós). Definizione apparentemente cristallina (in Platone, Repubblica, III: 398 d), che però, nel corso dei secoli, si è prestata alle più varie interpretazioni, potendo in linea di principio riferirsi sia alla poesia concepita per essere cantata (o ‘poesia per musica’), sia a una ‘poesia pura’ che chiede solo di essere letta e ‘ascoltata’ così com’è. Nel primo caso, come ad esempio in una canso trobadorica o in un’aria d’opera, in un Lied romantico o in una moderna canzone d’autore, il testo verbale (lógos) tende a fondersi con quello musicale (armonía) nella pur varia scansione metrica e organizzazione ritmica (rhythmós) di un comune flusso temporale, così da dar vita a una ‘terza dimensione’ linguistico-espressiva: non solo poetica, non solo musicale, ma, appunto, ‘poetico-musicale’”
Chi volesse saperne di più a proposito di ciò che imho va detto a proposito di tali questioncelle teoriche può trovare altri miei conversari qui, nel saggetto recentemente stampato presso Il Verri
9 commenti a questo articolo
I Poeti con la Posteggia
2010-07-09 12:47:54|di Lello Voce
Ps: sempre @ Nevio
ovviamente in campo artistico proprio la non-legittimità può essere ragione dell’interesse e della qualità di quella determinata ’interpretazione’.
I Poeti con la Posteggia
2010-07-09 12:14:01|
@ Nevio:
grazie per il link a Franco.
per il resto rimando a quanto detto in calce all’intervento di Rosaria. E qui, nel suggerire che se l’interprete è altro dall’autore, cambia radicalmente il quadro ermeneutico.
Qui io mi riferivo semplicemente all’autore che legge se stesso. In questo caso - ovviamente - ’anonimo’ è metaforico, paradossalmente proprio di ’autoriale’.
per dirla con Eco, in ogni caso, le interpretazioni possibili sono numerosissime, ma non infinite. Alcune, certamente, non sono legittime.
un saluto
lv
I Poeti con la Posteggia
2010-07-09 09:25:48|di NeGa
Il testo di Fortini è stato integralmente pubblicato proprio qui, su Absolute ...
Buffo, perché proprio in questo testo Fortini afferma che "la nostra preoccupazione non può essere quella filologica, di restaurare un immaginario originale, una interpretazione autentica; ciò è compito della critica, non della dizione", quasi a voler rispondere al precedente discorrere di "anonimato" et ultra ... Non a caso giunge a scrivere che "l’autonomia della dizione dal testo assicuri pari legittimità alla dizione d’autore, a quella d’attore, a quella di dicitore, a quella di chiunque" ...
ng
I Poeti con la Posteggia
2010-07-08 14:12:30|di Lello Voce
@Luigi
creda nessuna intenzione polemica nemmeno da parte mia.Mi spiace di aver deluso la sua attesa di lettore, ma tenevo sinceramente a non creare un polemica con questo o quello, ma parlare di un fenomeno, per farlo però mi occorrevano almeno degli esempi allusi. Tutto qua
Nel saggio sul Verri sono accennate più chiaramente tutte le mie idee sulla vocalità (o oralità) della poesia oggi.
Ma non voglio abusare della sua pazienza
un saluto cordiale
@Marianna: sì quel saggio di Franco andrebbe letto e riletto (soprattutto riletto, oggi)
un abbraccio
lv
I Poeti con la Posteggia
2010-07-08 10:20:22|di Luigi B.
Se è vero che "i nomi servono quando ciò con cui si polemizza è un atteggiamento personale, una scelta singola, ecc. Non era questo il caso. Qui importava più il cosa che il chi. Si parla per generalità." allora quello che segue credo sia un espediente narrativo per attizzare il lettore (?):
"Mi riferisco piuttosto agli ormai tanti (tantissimi, troppi) poeti ‘tradizionali’, lineari, paladini della poesia scritta o morte, quelli sempre pronti a bollare con un ghigno di sufficienza ogni timida avance a proposito delle radici e delle caratteristiche orali della poesia, quelli per i quali la parola ‘cantautore’ è una sorta di insulto, o marchio d’infamia letteraria.
Ecco, proprio loro, i Silenti Custodi dell’Arte, non paghi di affollare con la loro incongrua presenza festival e rassegne di mezz’Ytaglia, ora han pensato bene di portarsi dietro anche tamburi, flauti e chitarrini e se ne vanno in giro con musicista al seguito…
Voci ben informate mi hanno sussurrato di un celeberrimo poeta milanese, paladino della poesia muta, anzi mutissima, praticamente omertosa, che attualmente girerebbe palchi e pedane accompagnato da chitarrista. Sarà vero?
So per certo, però, che il poeta più pio d’Ytaglia ha messo su addirittura un’associazione o fondazione, o il diavolo solo sa che ‘one’, dedicata ai rapporti tra musica e poesia, a cui partecipano tutti, poeti lineari e cantautori, ma che singolarmente ignora chi spoken word e spoken music li fa da anni (come dire: abbiamo rapporti da buoni vicini, cantautori cari, ma poi ognuno a casa sua e soprattutto noi ‘paroni a casa nostra’. Vi sembro prevenuto se mi viene in mente l’aggettivo: gesuitico?).
Il tutto ovviamente con la complicità di uno dei ‘più poetici cantautori’ nostrani."
Io ero lì che aspettavo di leggere chi aveva detto cosa e dopo 5 minuti fatto l’opposto, e invece...
Nemmeno mi riferivo (o auspicavo) consigli per l’ascolto. Diciamo che - a mio modesto parere - avrei preferito che il suo interessante articolo si sviluppasse più sulla notarella teorica che su altro. Per lo meno, sarebbe stato più utile (credo, ma è personale) sapere cosa è e come funziona uno spoken words. Così da offrire al "fruitore" gli strumenti (le informazioni) necessari a formulare una scelta che vada al di là del gusto personale. Io non ho affermato che la colpa è del pubblico, ma che la questione sta nelpubblico, disposto a sorbirsi tutto (o quasi) per "ignoranza" dell’argomento". La responsabilità rimane a chi la TV la fa - e la poesia.
Riguardo l’affermazione lapalissiana, me la faccia passare :)- spesso si dimentica che i problemi possono anche essere meno complessi di quello che sembrano (ma non è questo il caso).
Riguardo all’oscuro pezzo di commento, mi riferivo semplicemente al fatto che molto spesso i poeti cadono in fraseggiamenti cervellotici e ricercati dimenticando che le parole hanno un suono, e cercando il colpo di scena ottengono uno sbadiglio.
Ci tengo comunque a sottolineare che il mio continua ad essere un parere personale e soprattutto non una critica a ciò che ha scritto, ma il consiglio di un lettore per ciò che scriverà in futuro. Non era mia intenzione polemizzare alcunché, soprattutto uscendo fuori dell’argomento dell’articolo che mi pare essere interessate.
I Poeti con la Posteggia
2010-07-07 22:40:58|di marianna marrucci
Franco Fortini nel lontano 1981:
"Voce alta e voce bassa, lettura vocale e lettura mentale, tempo di tutti e tempo di solitudine: se una questione qui si pone, è quella di interpretare che cosa, ai nostri giorni, stia dietro la falsa coscienza collettiva che si riconosce tanto nelle forme di lettura-spettacolo quanto in quelle della lettura-privatezza. Che cosa significa, di che cosa è sintomo, la tendenza alla teatralizzazione di testi poetici che la tradizione avrebbe situati nell’ambito di una lettura privata o di una dizione per pochi e la parallela rinascita di un orfismo della parola, di una pratica estatica dei testi poetici?"
(La poesia ad alta voce, 6 dicembre 1981, inaugurazione dell’anno accademico 1981-82, Università di Siena)
mm
I Poeti con la Posteggia
2010-07-07 15:07:19|di Lello Voce
@Luigi
imho i nomi servono quando ciò con cui si polemizza è un atteggiamento personale, una scelta singola, ecc.
Non era questo il caso. Qui importava più il cosa che il chi. Si parla per generalità. Anche se a sciogliere certe allegorie saranno certo in tanti..
Qui i tirati in ballo siamo tutti (me compreso). Mi pare adamantino, né è compito di questo pezzo fornire ’consigli per l’ascolto’. Piuttosto analizzare tendenze, provare a leggere fenomeni.
Peraltro dire che la colpa è del ’pubblico della poesia’ è la solita giustificazione che accampa chi produce e dirige la nostra trash TV... E’ quello che vuole il pubblico. Non ne sarei così sicuro. Le risparmio le ragioni, sono certo le intuisce.
Che un reading sia noioso quando sono noiosi i testi e i poeti che vi sono coinvolti mi pare, imho, perdoni, facile truismo.
Ciò che segue mi rimane invece oscuro e confesso la mia incapacità senza problema, restando in attesa di eventuale chiarimento
"A ciò si aggiunge il fatto che, mentre un tempo l’oralità della poesia era molto più legata alla praticata della stesura della stessa, oggi tale oralità pare essere diventato solo un presupposto teoretico a cui si fa spesso molto poco caso: tanta metafisica, ma chi cavolo riesce a seguire (e sorbire) un polpettone senza ritmo pieno di concetti ermeticamente confezionati?"
grazie dell’attenzione
lv
I Poeti con la Posteggia
2010-07-07 10:01:07|di Luigi B.
Penso che un articolo ’sarcastico e polemico’ sia veramente tale quando l’obiettivo al quale dirige la sua invettiva è chiaro. Questo sembra un j’accuse senza malfattore e la cosa, ad essere sincero, mi ha abbastanza "disturbato" (molto tra virgolette!), vista anche la lunghezza dell’articolo. Se si facessero i nomi ed i cognomi ogni volta che si scrivono invettive come questa, non solo l’articolo risulterebbe più chiaro e la sua lunghezza giustificata, ma si darebbe la possibilità al lettore di farsi una idea più chiara di quali spoken words o spoken music frequentare e l’opportunità ai "tirati in ballo" di rispondere o, più preferibilmente, vergognarsi un po’molto e piantarla una buona volta di predicare bene e razzolare un po’ come gli viene.
Detto ciò, come in tutte le attività umane, c’è anche la poesia con posteggia, quella impostata o impostora: insomma, ce n’è per tutti i gusti. La questione sta piuttosto in chi la "fruisce", disposto a sorbirsi tutto (o quasi) per "ignoranza" dell’argomento.
Ad ogni modo, con o senza posteggia, i reading di poesia sono noiosi quando sono noiosi i versi letti e le voci che leggono. A ciò si aggiunge il fatto che, mentre un tempo l’oralità della poesia era molto più legata alla praticata della stesura della stessa, oggi tale oralità pare essere diventato solo un presupposto teoretico a cui si fa spesso molto poco caso: tanta metafisica, ma chi cavolo riesce a seguire (e sorbire) un polpettone senza ritmo pieno di concetti ermeticamente confezionati?
Tutto questo, ovviamente, è un parere molto personale.
Luigi B.
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I Poeti con la Posteggia
2010-07-09 16:11:42|di fabio luise (aka fabiandirosa)
Per noialtri lettori performer (in erba) questo articolo è ulteriore riprova che il percorso intrapreso - per quanto lentissimo, frammentato e autodidatta - non sia vano.
C’è un passaggio che colpiva riguardo alla degenerazione delle conseguenze della posteggia: appiccicare brani di jazz classica o barocca, scritti per tutt’altra ragione, a versi mai pensati per dialogare con la musica..
Esperienza per esperienza nello spoken music ci potrebbe anche stare un accoppiamento chessò tra una lambada e un testo poetico in prosa, così come un’interpretazione di versi del Pasolini accoppiati all’heavy metal(!)
Quello che voglio dire è che se sta nascendo, o rinascendo, una forma altra di spettacolo, diventa lecito ogni contrasto di melodia e ritmo tra musica e testo. Quindi l’opinione che mi rimane sulla Posteggia - a voler essere schematici - è che essa è priva di disputa col pubblico.