Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
La storia della letteratura italiana, e non solo del Novecento, è segnata dalla vicenda di decine di cosiddetti ‘minori’ o ‘irregolari’, autori che sfuggono alle facili collocazioni di scuola o tendenza, che praticano vie apparentemente appartate, o inattuali, o troppo radicali. Fatto sta che poi, a ben guardare, sono proprio codesti ‘minori’, a volte, ad essere il sale della nostra letteratura, con la loro forza e il loro coraggio di rischiare, di calcare strade da altri (spesso i ‘maggiori’) ritenute poco redditizie, o troppo pericolose. E’ questo il caso di Antonio Delfini, scrittore e poeta modenese nato nel 1907, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. Autore umorale, ma spesso felicissimo, Delfini ci ha lasciato uno spaccato efficacissimo della provincia italiana, in cui il gusto crepuscolare si fonde con accenti spesso crudelmente surreali in testi rimasti memorabili, come il Ricordo della Basca, Il fanalino della Battimonda o La Rosina perduta, e versi scorbutici, ma intensissimi, soprattutto nelle sue Poesie della fine del mondo.
Proprio ad Antonio Delfini è intitolato uno dei più seri e prestigiosi premi italiani di poesia, che, per iniziativa di uno dei più importanti galleristi italiani, Emilio Mazzoli, anch’egli modenese, è giunto ormai alla sua quarta edizione.
Come mai, chiediamo a Mazzoli, un gallerista come lei ha tanto interesse, direi passione per la poesia?
«Lei ha ragione, anch’io direi più passione che interesse, la poesia è una cosa che ha sempre accompagnato la mia attività: ho fatto il gallerista per lavoro, ma da sempre la poesia è stata uno dei miei interessi principali. Oggi ho 65 anni, ma la mia liason con la poesia dura da quando ne avevo 15, è una specie di ‘persecuzione’, una vera e propria ossessione»
Come è nata l’idea del premio?
«Antonio Delfini secondo me è stato uno dei grandi genius loci d’Italia e certamente uno degli autori più importanti di Modena in tutto il 900. Poi è stato anche un mio amico. Lo sentivo un po’ dimenticato, e così è nata l’idea del Premio che è anche il mio modo di fare un regalo alla poesia, avvicinare dei giovani artisti al mondo delle lettere chiedendo loro di illustrare i libretti dei poeti finalisti del premio. Poi, naturalmente, senza l’input di Nanni Balestrini e Achille Bonito Oliva tutto sarebbe stato più difficile, forse impossibile».
Qual è il bilancio del premio dopo quattro edizioni?
«Il Premio è nato se vuole un po’ in casa, fatto tra amici, ma è cresciuto moltissimo in questi anni. Vedo che sia da parte dei poeti, che degli artisti, partecipare al Delfini è diventato ormai un fatto importante e questo mi fa molto piacere soprattutto perché siamo riusciti ad avvicinare la poesia alle arti figurative e questo era lo scopo primario della sua nascita»
Anche in questa quarta edizione, che consegnerà il suo riconoscimento internazionale all’inglese Tom Raworth, uno dei massimi esponenti della scrittura sperimentale internazionale, ancora poco conosciuto qui da noi, il Premio Delfini presenta un gruppo di autori nuovi complessivamente di buon livello, molto diversi tra loro, per tonalità e scelte di poetica.
Gian Maria Annovi (con i disegni di Massimo Kauffmann) in Self-Eaters (Autofagi) saggia le vie di una scrittura fortemente corporalizzata in cui le silohuette di personaggi disegnati con brevi tratti si divorano da se stesse in versi brevi e piani, raccontati con puntigliosa precisione da una poetica che disegna sullo sfondo la possibilità che non di corpi, ma di lingua in effetti si parli: «si mangia le parole / che altri poi rimangiano / e mastica un linguaggio / che abita sul fondo dello stomaco».
Lidia Riviello (con Elisabetta Benassi) nel suo Neon 80 sceglie invece un approccio più riflessivo e risentito, in un bel poemetto che, attraverso la storia delle lampade a fluorescenza, affronta di petto la storia vera e propria, a partire dagli anni 80, in cui «i metalmeccanici si estinsero come / antilopi». La scrittura della poetessa romana si affida a una sintassi complessa, ma mai distratta, che avvolge il lettore in una dimensione che definirei bio-politica, tesa alla scoperta delle contraddizioni del reale: «A quanto corpo abbiamo rinunciato per il look di base / con un’anima bella rinchiusa in una bora nucleare?» Il risultato è un poemetto intenso e ibrido di temi e stili che getta uno sguardo certamente originale sugli anni nei quali il neon «spegneva il sole».
Sara Davidovics (con Pietro Ruffo) in D’Acque, distribuisce i versi sulla pagina, contornandoli di grandi spazi bianchi, in cui spiccano frame di descrizioni e pensieri, particolari monchi, flash: «elettrico / il sangue corre sulla pellicola / più prossima alla cornea / linea in dilatazione». Il risultato sono le maglie larghe di un tessuto crudele di parole e frasi, che, nel farsi elenco, ne denunciano l’impossibile senso, la mai attinta completezza.
Stefano Massari con il suo Serie del ritorno (con Marina Gasparini) sceglie invece versi lunghi che si espandono a pie’ di versicoli brevissimi, in un’alternanza che disegna il dialogo tra chi descrive distante lacerti di azione e una voce prepotente, che indica sibillina, in un andamento a volte sapienziale, fatto dai versi assertivi, che intessono un ritmo quasi mistico e certamente orfico-ermetico: «non avere paura / l’angelo vero è il muro del niente / corpo che cade è tuo figlio (...) non avere paura / tieni tra i denti il seme migliore / corpo che nasce è tuo corpo».
Luigi Nacci (con Marco Colazzo) in Inter Nos / SS mette in campo una scrittura potentemente allegorica, dove pubblico e privato di un mondo ormai in guerra permanente, sommerso da merci e rifiuti, si fondono grazie a ritmi pensati con evidenza per essere eseguiti ad alta voce, disegnati con grande perizia metrica e prosodica, versi in cui lo spostamento metonimico potenzia l’impatto civile evidentissimo, proteggendolo da ogni retorica e costruendo un racconto intenso e colmo di echi: «Dirottiamo aeroplani di carta nei giorni di vento / Tramontana ci porta lontano e maestrale ci impenna / Nella stiva fa freddo si ghiaccia si gelano gli occhi / Non si vedono piste e non sono previsti atterraggi / (...) / Con le bombe facciamo palleggi di testa di piede di mano / Piroette sgambetti e passaggi fin quando non cade per terra / E’ un saltare di dita che pare la festa del primo dell’anno» Quella di Nacci è una scrittura di confine, confine tra stili e forme, ma anche confini fisici, che egli, confermando di aver raggiunto una rilevante maturazione formale, osserva con spietata chiarezza «Le frontiera si staglia di fronte le cose le taglia / In due volti due sguardi due modi di batter le ciglia».
Vincenzo Frungillo, infine (con Paola Pezzi) presenta un estratto da un più lungo poema intitolato Ogni cinque bracciate. Dedicato alle mitiche nuotatrici della DDR che a partire dalle Olimpiadi di Montreal stupirono il mondo con le loro vittorie, al loro corpo chimico, poi ricomparso a muro caduto, reso mostruoso dagli anabolizzanti, il testo di Frungillo si interroga sulla velocità e sulla Storia, esemplando sin il ritmo delle sue ottave sulla scansione del nuoto. Simbolo di un’umanità sempre in bilico tra storia e caos, le nuotatrici DDR e i loro corpi adolescenti vengono raccontati con una lingua piana, ma spesso piuttosto intensa che più che al ritmo sembra guardare ai tempi distesi della narrazione che le rendono singolari eredi della Laura petrarchesca, scintillanti, ma già corrose dalla perdita e dalla fine.
17 commenti a questo articolo
I poeti del «Delfini»
2007-06-27 02:19:57|di Martino
Secondo me ti stai preparando alla festa del 29 e hai già cominciato a bere... Hai le visioni. :) Christian, io ti ho detto che c’è luogo e luogo, modo e modo, intento e intento e che non puoi rapportare tutto a una sola visione delle cose. Tu mi rispondi con lo stesso argomento di prima, solo più dettagliato.
Un concorso di poesia ha come obbiettivo e merito principale quello di segnalare un libro o un poeta che lo merita; tutto il resto che dici è conseguente se quella è davvero buona poesia. Se non lo ì, non ci sono mezzi per risolvere la questione meccanicamente.
Alcuni premi ed altre iniziative similari possono avere dei valori aggiunti, anche molto importante, come quello della formazione del pubblico o dell’educazione di certe fasce di società o d’età, ma non è il focus. Il focus è che si individui un senso al fare poesia, per sapere che farne, perché farne, perché proporla, perché educare. Già recuperare una diversa e più paritaria relazione con le altre arti e con la società, a me sembrerebbe un bel passo avanti. Altrimenti non esprime la riflessione di una comunità ma solo di un gruppo ristretto di specialisti.
I poeti del «Delfini»
2007-06-27 01:41:21|di Christian Sinicco
Martino, il problema non è la valutazione finale - la selezione, ad esempio, il Delfini la fa con ottimi risultati, anche se solo a chiamata, e chi vince il premio non cambia il mondo. Ha poco senso una poesia che non si dà dei strumenti per incidere nella società, a tutti i livelli, o che si rivolge solo a specialisti, un’arte che non trova una spiegazione tra gli studenti - se non la trova oggi, non la troverà domani, tra cent’anni, quando qualcuno dovrà spiegarla.
Il Montale perché è collassato? Che senso aveva una giuria - quasi sempre la stessa - che selezionava tre poeti, e che faceva scegliere un supervincitor a un comitato formato da chi aveva vinto il premio negli anni precedenti e da alcuni sostenitori dell’allora centro? Tu mi parli di società, di comitati autorevoli, ma a me interessa la formazione della cultura, quella che accende la critica, che ti permette di fare scelte e di riflettere grazie a te stesso. Dov’è questa cultura, cosa fa? Non siamo noi che dobbamo proporla, come molti prima di noi l’hanno fatto?
Qualche tempo fa, organizzai uno slam a Lestizza (Ud) che aveva come compito ricordare Amedeo Giacomini, uno tra i più grandi poeti friulani. Inventai una seconda manche in cui i poeti avrebbero dovuto leggere le loro rielaborazioni/traduzioni dei testi di Giacomini, la maggior parte dei poeti - tra cui molti giovani, pure di lingua friulana - non conosceva Giacomini. Dopo questo lavoro dei poeti sui testi di Giacomini, che tra l’altro è stato apprezzatissimo (le elaborazioni sono state esposte, probabilmente qualcosa se ne farà), ci sono delle persone che oggi apprezzano quel poeta, perché l’hanno vissuto, approfondito, c’hanno lavorato. Allora a me sta bene che ci sia il comitato di 100 immortali che valuti, ma ognuno di questi mi fa un’analisi dei testi dei poeti (visto che sono grandi non avranno bisogno della maestra), anche per capire quanto veramente ha senso per loro tutto questo approfondire.
I poeti del «Delfini»
2007-06-26 19:49:59|di Martino
Christian, il compito della poesia non è solo fornire strumenti culturali a degli studenti, anche se posso apprezzare che quella sia una modalità dei premi e di altre iniziative.
E’ come dire che il cinema si dovrebbe proiettare soltanto la mattina nell’aula magna di qualche scuola.
Non scordiamoci che si tratta di "educare a qualcosa", ma quel qualcosa esiste indipendentemente dal fatto che sia utile come strumento introduttivo a se stesso; altrimenti che senso avrebbe?
A me sembra interessante vedere cosa significa la poesia fuori da se stessa, perché questo è invece un modo di valutarsi fuori dalla propria autoreferenzialità. E allora cosa sceglie un campione di persone colte, creative, curiose di diversi linguaggi, fuori da soliti giochi, ecc. beh, sì, mi sembra proprio un gran valore aggiunto. Perché la misura di noi non può stare dentro di noi.
I poeti del «Delfini»
2007-06-26 18:24:45|di Christian Sinicco
Bene Martino, dopo che hai dato in bocca la poesia a giornalisti, editori, germanisti, che hai capito? Qual è la funzione sociale, fornire degli strumenti culturali a chi probabilmente ce li ha già?
I poeti del «Delfini»
2007-06-26 14:34:47|di Martino
A me la scelta ibrida "tipo Ceppo", con giuria tecnica che sceglie i finalisti e giuria popolare che sceglie i vincitori, sembra una buona soluzione. L’importante è che la giuria sia composta da elementi indipendenti l’uno dall’altro, possibilmente "a mani libere" e senza troppi pregiudizi nei confronti dei nomi. Buona a mio parere anche l’idea (di Luigi, mi sembra) di variare giuria, o parte della giuria, tutti gli anni.
Eccellente, e secondo me uno dei più interessanti premi in circolazione, è il Premio Baghetta (sì, Baghetta, non Bagutta!), organizzato da un Circolo Arci di Milano e di cui riporto qui sotto il regolamento 2006. Tra l’altro il premio è stato vinto da un esordiente, Valentino Ronchi, con un libro (Canzoni di bella vita, un gran bel libro su cui credo che Carlucci abbia intenzione di inserire presto un post su Absolute) praticamente autopubblicato, superando altri cinque seminifinalisti non proprio Caio Qualunque e Tizio De Sempronis: Patrizia Cavalli (terza classificata), Valerio Magrelli, Claudio Damiani, Giuliana Rigamonti e Roberto Amato (secondo classificato).
IL COLLEGIO (ideale) composto da soci del Circolo ha selezionato 6 libri di poesia tra quelli usciti in Italia nel 2006. Da ciascuno di essi ha ricavato un file contenente il 15% delle pagine complessive secondo un criterio di massima "fedeltà".
IL COMIZIO (virtuale): il 27 dicembre, San Giovanni Evangelista, le 6 sintesi verranno recapitate via e-mail a personalità eminenti della cultura italiana (ma non poeti), che avranno agio fino al 17 gennaio, Sant’Antonio Abate, di scegliere una coppia di autori da segnalare sempre via e-mail a arci.turro@gmail.com, corredata auspicabilmente da una qualsiasi annotazione (la scelta sarà per tutti in chiaro, ossia resa di pubblico dominio). La coppia che ne uscirà vincente sarà sottoposta, assieme a un terzo autore scelto plebiscitariamente in rete, al giudizio definitivo de
IL CONVIVIO (reale): un’accolita di 40 persone della più varia estrazione sociale e della più viva propensione poetica, scelta tra i soci Arci di Milano – previa domanda di ammissione – dal Collegio stesso. Ciascuna riunione conviviale, da tenersi nella sala da pranzo del Circolo, sarà dedicata all’esame di uno dei tre testi, con il seguente calendario: giovedì 1 febbraio ore 20 / giovedì 1 marzo ore 20 / giovedì 29 marzo ore 20. Un tavolo da 4 posti sarà riservato al poeta in lizza e ai suoi familiari/amici. Il menu s’ispirerà alla cucina regionale degli autori. Ciascuno dei sodali provvederà a votare il prescelto sempre via e-mail in chiaro entro l’8 aprile, domenica di Pasqua. L’esito finale sarà reso immediatamente pubblico. Premio e cerimonia saranno decisi allora dal Collegio, e tosto segnalati.
Questa la formazione del COMIZIO:
I. Adinolfi (kierkeguardiana), G. Agamben, (filosofo), M. Alaimo (cuoco), G. Alberio (geometra), M. I. Angelini (badessa), F. Anglano (creativo), R. Archinto (editrice), E. Banchelli (germanista), M. Baraghini (editore), G. Barilla (imprenditore), V. Baroni (agitatore underground), M. Belpoliti (saggista), C. Benedetti (germanista), M. Bettetini (storica della filosofia), C. Bianchi (ricercatrice di mercato), M. Bignardi (traduttrice), M. Bini (andrologo), G. Biondillo (giallista), D. Bisutti (critica letteraria), I. Blank (artista), Blowup (editore), L. Boella, (filosofa), F. Bomprezzi (giornalista), F. Bonelli (ingegnere), A. Bonomi (filosofo del linguaggio), A. Bordignon (giornalista), D. Borso (storico), S. Bortoli (traduttrice), S. Brutti (filosofa), D. Brolli (scrittore), R. Bui (scrittore), F. Caggio (pedagogo), G. Caldana (pr), G. Camilleri (manager UNDP), G. Capovilla (distillatore), P. Capriolo (scrittrice), C. Cappelletto (benjaminiana), F. Castelli (libraio), N. Celotti (francesista), R. Chiaberge (giornalista), P. Ciaravolo (scandinavista), G. Cingoli (regista), G. Ciniselli (regista), L. Cittadini (filantropo), F. Cocchini (direttore editoriale), M. Coccioli (badger), G. Colombo (fotografo), M. Colombo (sindacalista), R. Cominotti, F. Conant (italianista), S. Corò (architetto), G. Corti (saggista), L. Costa (attrice), A. Cozzaglio (performer), E. Crotti (manager Unicef), G. Da Empoli (saggista), M. Dalai (editor), E. D’Antonio (giornalista), C. De Marchi (scrittore), R. De Monticelli (filosofa), E. Deaglio (giornalista), D. Del Boca (regista), A. Del Ponte (scultrice), A. De Pace (storica del Rinascimento), N. Di Caprio (artista), G. Di Costanzo (amico), M. Donà (filosofo), P. Dorigatti (pittore), R. Dossi (editore), F. Dubosc (psicanalista), F. Duranti (scrittrice), H. Ebner (produttore musicale), P. Echaurren (artista), U. Eco (semiologo), L. Einaudi (musicista), E. Esposito (politologo), M. Fabris (manager), M. Ferraris (filosofo), M. 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I poeti del «Delfini»
2007-06-26 14:21:18|di Christian Sinicco
Solo un inciso sulle scuole: c’è una ragione culturale, far lavorare sulla poesia contemporanea i giovani (ovunque, non solo per il Delfini!), trovare degli insegnanti che si prendono la briga di far leggere, analizzare i testi, insomma proporli agli allievi - non ho parlato dunque di giuria popolare. Il fatto è che oltre le ragioni dell’assegnazione di un premio più o meno a solidali dei giurati, non si valutano le vere ragioni del fare cultura. La domanda è sempre quella, ma che gliene può fregare a gente che bene o male è arrivata della vittoria o meno di un premio da parte del proprio assistito? Forse cambia le sorti di una persona, per i soldini che riceve, ma non raggiunge - cosa molto più importante - 100 ragazzi che, essendo in gioco, possono finalmente riappropriarsi della libertà di scelta, che signori miei, è il problema culturale di questa italia a livello di società. Ora, non per fare parallellismi, però i comportamenti elitari delle lobbycine poetiche non fanno altro che rispecchiare quelle delle lobby politiche. Quindi mi domando, essi che valori pensano di esprimere?
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantarono
ai massacri dei re,
essi che ballarono
alle guerre borghesi,
essi che pregarono
alle lotte operaie…
(pasolini)
I poeti del «Delfini»
2007-06-26 12:39:51|di luigi nacci
caro anonimo,
una giuria formata per 2/3 da poeti e critici, e solo 1/3 da pubblico, come ho scritto sotto, ti pare nazional-popolare?
eppoi non concordo nemmeno sul "pilotabile": in qualsiasi modo si voti, si può sempre pilotare l’esito finale, per cui mettiamoci il cuore in pace.
ultima cosa: da come parli, devi aver presenziato alla cerimonia, sabato. se è così, che impressione hai avuto nell’insieme? intendo proprio dal punto di vista della struttura della serata: presentazione, lettura di ciascun poeta, interventi critici sul palco, lettura dell’attrice, etc. (in particolare mi interesserebbe sapere se hai colto qualche parere/umore tra il pubblico).
I poeti del «Delfini»
2007-06-26 12:20:00|
...sì, oltre ai cento bambini magari aggiungiamo anche una commissione di casalinghe e pensionati, e un gruppetto di disoccupati, poi ovviamente non dimentichiamo Baudo come presentatore! Ma state scherzando???!!! Il Delfini non nasce per essere un premio nazional-popolare, non gliene frega nulla agli organizzatori di sapere cosa ne pensa la massaia di modena e soprattutto, il premio non è assegnato sulla base dell’esecuzione vocale dei testi (o avrebbe vinto nacci, credo) ma sulla lettura delle intere plaquette da parte della giuria. Ma pensateci: credete forse che Balestrini-poeta avrebbe mai potuto vincere un premio sulla base di una giuria popolare? Avete idea di cosa vende Mazzoli nella sua galleria? Questa è gente che sa benissimo che la ricerca poetica e/o artistica che sia, la "gente" inizia ad apprezzarla, nei casi migliori, vent’anni dopo...nacci ha comunque ragione, le storture vanno accettate, ma per le ragioni che scrive lucidamente martino, in fondo il sistema a chiamata è meno ipocrita di quello aperto che risulta poi totalmente pilotabile, tanto che a Pistoia in finale c’erano Insana, Trinci e Bertoni mica Loris Pincopallino e Ciro Sempronio!
I poeti del «Delfini»
2007-06-26 09:52:26|di Luigi Nacci
E’ l’annoso dilemma sanremese: giuria tecnica o popolare? O entrambe? Io credo alle ibridazioni.
Ad esempio, come ha rilevato Christian, i libretti stampati al Delfini sono delle vere chicche. Questo è indice di serietà (viva l’arte tipografica!). Così come non si può mettere in discussione l’attuale qualità dei giurati. Cambierei invece il sistema di selezione: meglio un bando aperto a tutti. Si scelgono 6 o 7 finalisti. Arrivati alla serata decisiva, la giuria potrebbe essere formata da tre parti: 1) comitato promotore (Balestrini, Mazzoli, Bonito Oliva; 2) critici (6 o 7 che cambiano ad ogni edizione); 3) giuria popolare (formata da 50 o 100 persone scelte a caso nelle scuole, l’Università, etc.). La giuria popolare, secondo me, ci dovrebbe essere sempre essere. Come nello slam: meglio perdere perché le proprie poesie non hanno comunicato nulla alla casalinga di Reggio, piuttosto perché - dico per dire - si sta antipatici al prof. Tizio o Caio!
E comunque sia: quando si partecipa a un premio si devono accettare anche le naturali storture del meccanismo. Mi ricordo le arrabbiature di Saba a tal proposito...
(ah, una piccola proposta di modifica al Delfini, anche se non potrò più usufruirne: un premio simbolico in danaro a tutti i finalisti, giusto per venire incontro alle fisiologica precarietà lavorativa dei poeti...:-))
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I poeti del «Delfini»
2007-06-29 01:04:36|di Christian Sinicco
Martino, ma sta roba del poeta che se lo merita non può essere il solo obiettivo. Un premio - come una qualsiasi altra manifestazione - è pure qualcosa che deve coinvolgere la gente, un paese, una città..., altrimenti che senso ha? Vuoi che serva sempre per quattro stronzi che danno numeri - scusa se cito Manzoni.