Absolute Poetry 2.0
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"I viali" di Gabriel Del Sarto

(Atelier, Borgomanero 2003)

Articolo postato giovedì 28 settembre 2006

Dando seguito alla serie di letture di opere prime, iniziata qualche settimana fa con "I sepolti" di Sergio La Chiusa e continuata con "Passando per New York" di Christian Sinicco, vi propongo un intervento sul libro d’esordio di Gabriel Del Sarto di cui metto a disposizione in allegato, qui a destra, anche una breve scelta di testi. L’articolo è da considerarsi una anticipazione del nuovo numero della rivista «Paletot», in uscita tra pochi giorni. Buona lettura.

L’estate declina verso la sua fine. Lo intuiamo chiaramente e con un principio di inquietudine dalla nostra posizione di vicinanza ai rumori, ai movimenti, agli atteggiamenti malinconici degli ultimi villeggianti; ancor più lo sentiamo nei vuoti lasciati, nello spazio e nel tempo, dai desideri spenti e consumati (o, più spesso, non consumati, se non inautentici all’origine) che hanno attraversato le nostre strade, le nostre case, le nostre anime, le nostre vicende. Strade periferiche. Case secondarie. Vicende minime. Il libro d’esordio di Gabriel Del Sarto ci fa immedesimare attraverso il suo sguardo sospeso, allo stesso tempo candido e vigile, in questa prossimità laterale e temporale a qualcosa di decisivo e inafferrabile, una lateralità perennemente “fuori stagione”.

Dati i termini di questa premessa apparirà quasi superfluo dire quanto creda che la poesia di Del Sarto, almeno in questa sua prima prova organica, debba alla sua biografia e, in particolare, ai luoghi della sua educazione al mondo: la piccola frazione di Ronchi, alle porte di Marina di Massa, ultimo lembo della Versilia settentrionale. Niente di particolarmente significativo se non fosse che è addirittura miracoloso come nei Viali l’influsso del luogo giunga a saldare poesia e biografia non nel banale corto circuito di evento e resoconto ma in quello prepotentemente più significativo di percezione e rappresentazione della realtà.

Non solo il cielo e il mare della Versilia, le Apuane alle spalle, ma anzi qualcosa di molto diverso. Ronchi è un’anomalia. Luogo poco di moda, frequentato da villeggianti placidi e decentrati (anziani, famiglie, colonie di bambini e di handicappati, volontari, coppie di tedeschi di età incerta e di aspetto che suggerisce una lenta eternità) a due passi dal cuore della vita estiva. Ronchi è dove la Versilia finisce. Non già la decadenza ormai urbana di Massa ma non più lo splendore del carnevale viareggino. Una sorta di finis terrae dove, con più evidenza che altrove, la carta da parati del mondo - per usare una metafora di Henry Miller - mostra, nella consunzione dei suoi margini, la propria natura posticcia. Questa posizione ne fa un osservatorio privilegiato, non un punto isolato o esterno ma un vero e proprio luogo di confine, dialettico per eccellenza.

I viali di Del Sarto si differenziano così da quelli del nostro immaginario vacanziero e da quelli delle città. Non sono luogo di azione né tanto meno di arrivo: sono un luogo di scarso transito. L’estate stessa vi è più breve. Vi si sente la vicinanza di qualcosa che accade a non grande distanza, ma non vi accade nulla, ovvero - proprio per questa differenza sensibile con l’alterità di un altrove così prossimo - vi si manifesta il nulla. In questo scenario, vuoto di tutto se non di ricordi e fantasmi, la scena diventa significante massimo. Il cielo, il mare e i viali non sono cornici di qualcosa, bensì la cosa stessa; sono l’orizzonte (più che la scena) di tutto il resto. Orizzonte inteso come “panorama di senso”, come luogo finale dello sguardo. Così mare e cielo e viali, nella loro apertura al nulla, costituiscono un vero e proprio ribaltamento della siepe leopardiana, anche se, ad essere più precisi, una siepe c’è anche qui, quella dei pini la cui presenza in questi versi è quasi ossessiva, ma è una siepe che non esclude allo sguardo l’orizzonte; Del Sarto infatti non la fronteggia ma vi si pone “di lato”, nella direzione dei viali.

Di fronte a questa imponente presenza del nulla, non stupisce l’emersione di un’attenzione che tende a trasfigurare i gesti minimi. E a funzionare è anche qui la presenza ineludibile dell’orizzonte. L’emergenza incessante della domanda di senso ha nella topografia originaria la sua radice, almeno per quanto riguarda la rappresentazione spazio-temporale che vi è connaturata. E non parlo a caso di rappresentazione spazio-temporale, anche se è categoria poeticamente inusuale. La peculiarità della poesia di Del Sarto risiede infatti in un suo particolare “sguardo lungo”, uno sguardo che coglie i particolari ma non vi si appunta, che include ogni cosa anche minima ma non si lega a correlativi oggettivi esaltati dall’attenzione o dalla volontà. È uno sguardo inclusivo e panoramico, senza pari nei poeti suoi contemporanei e di cui mi sembra di cogliere un ascendente nella poesia di Sereni più che nei riferimenti che sono stati fatti a Raboni e a Cucchi (poeti in cui è preponderante uno “sguardo corto”)

Questa profondità impronta non solo lo spazio ma anche il tempo. Nei Viali l’immaginazione ha una valenza quasi premonitrice ma non magica perché è legata a premonizioni di qualcosa che è da sempre e che ripetendosi, anche cambiando, si preserva: immagina nel futuro nient’altro che il presente e recupera nel passato nient’altro che il presente, con un movimento che segnala la profondità e la natura unitaria di un tempo che unisce staticità e ciclicità, ripetizioni e variazioni, acquisizioni e perdite, apparizioni e sparizioni. I futuri e i riferimenti al futuro, più che segnare la transitorietà dell’adesso additando un poi, segnano una fusione di passato e presente e futuro, nell’incessante dialettica del divenire. Anche il tempo è osservato con una ampiezza, più che panoramica, a 360°.

In questo che potremmo definire un “paesaggio dell’anima ripreso col grandangolo” si muove un io che ha nell’ordinarietà e in una placida ma ostinata interrogazione delle sue illusorie trasparenze le caratteristiche principali. L’obbiettivo dell’interrogazione, si capisce, è sempre oltre ma mai inseguito (o, peggio, predisposto) da Del Sarto per mezzo di astrazioni, bensì sempre in una stretta vicinanza alla sacra ritualità del quotidiano, ovvero concedendo lo sguardo malinconico della lontananza a ciò che gli è più vicino. Lo sguardo e la mente attendono alla decifrazione dell’enigma che lega sublime e quotidiano, contingenza e orizzonte metafisico. Escono esaltati, da tale rappresentazione l’unità di ogni cosa con ogni cosa, anche col proprio contrario, e la ricorrente epifania del dubbio e dell’immaginazione in una minimalità germinante, che ribalta quella di certa poesia programmaticamente minimalista nella quale non accade altro che una tautologia della volontà del poeta. Per il modo (già sottolineato da Guido Mazzoni) con cui istituisce la biografia come luogo della rivelazione di una verità universale, la si può considerare una poesia lirica e, per come l’interrogazione poetica di Del Sarto è capace di tramutarsi in contemplazione per tramite del suo tentativo di inclusività non assimilatoria, la direi religiosa secondo un’accezione naturalmente filosofica, estesa, in un certo senso orientale; e i numerosi riferimenti evangelici sono probabilmente da considerare assimilati attraverso la mediazione “poetica” di Padre David Maria Turoldo, su cui Del Sarto si è laureato, più che per una meditazione biblica in senso stretto. Anche il testo sacro rientra così nel cerchio aperto di una conoscenza sempre sul punto di farsi ma mai consuntivata, insieme ai minimi aspetti della quotidianità, alla tradizione “alta” della poesia lirica italiana e alla sua lingua, ai gerghi infantili o della pubblicità, alla lingua parlata, ai grandi eventi storici o naturali che segnano l’alternarsi delle generazioni (e le loro progressive e diverse eredità), ai piccoli miti della giovinezza, alle verità, alle nobiltà, alle meschinità, ai sogni di ogni giorno. Ogni cosa segno tra segni di pari dignità, perché di pari potenzialità significante per la conoscenza della natura e del destino umani.

Più di tutti, mi sembra, è stato per ora Giuliano Ladolfi a veder bene nella poesia di Del Sarto, quando vi scorge una dinamica contemporaneamente centrifuga e centripeta (con slittamenti continui tra vita e poesia, abitudinarietà e sacralità, quotidianità e trascendenza, descrizione e illuminazione, passato e futuro...), ma anche sempre ricondotta a una circolarità dialogica tra gli elementi. Perché è questa una qualità determinante della poesia di Del Sarto: il delicato equilibrio in cui ogni elemento riconduce all’altro, nella luce di quella incerta verità che è l’interrogare incessantemente ogni singola cosa per capire il tutto, tenendosi a sicura distanza dalla velleitarietà di una sistemazione finale degli elementi nella rappresentazione. Unità e molteplicità sono così avvinti e I viali si propongono come un affresco riuscito della nobile precarietà di una coscienza sensibile e vigile, sempre in procinto di essere sopraffatta dalla irriducibilità del reale a una comprensione finita, proprio a causa della rinuncia a sopraffarla con i propri assiomi o le proprie presunte certezze; eppure, infine, né sopraffatta né sopraffattrice. A questa matura discrezione nei confronti del mondo offre il proprio servizio uno stile - come ha scritto Raffaele Donnarumma in una nota di qualche anno fa - «né immemore né prono né ribelle nei confronti della tradizione, bensì conciliato» e, aggiungerei, vivificato da una corroborante assenza di atteggiamenti pregiudiziali o esclusivi, pur mantenendosi fedele a un livello comunicativo e piano, fluidificato e teatralizzato da tratti di viva oralità.

Martino Baldi

11 commenti a questo articolo

> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-30 21:00:49|

dimenticato firma...Christian


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-30 21:00:15|

Grazie Gabriel!

...non ho capito cosa sia ancora il grande stile della nostra storia letteraria, forse l’asse corazzini-soffici, o il triumvirato dante leopardi pavese, ma va bene lo stesso:-)


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-30 14:17:00|

Credo che Raffaele Donnarumma intendesse riferirsi al mio rapporto con la tradizione (il grande stile lo chiama qualcuno) principale della nostra storia letteraria.
Per Christian: non c’è un processo univoco nella mia scrittura, soprattutto in quella dei Viali, raccolta che raccoglie poesie di 8 anni (95-02). Di certo c’è una forte componenbte visivi, nel senso che il mio stile percettivo dominante è quello. Quindi mi faccio un’immagine mentale, che può essere di diverse dimensioni, ma più spesso a campo largo. Poi se mi piace, se mi evoca parole, se mi suscita emozioni (e uso accorgimenti tipo ascoltare musica rock e pop che amo) restringo la visuale, cerco un particolare. In alcune poesie dei Viali tendo a usare una tecnica che chiamo "a rami": a un’immagine o parola o sintagma o frase attacco un’altra immagine o parola ecc. come fosse un ramo poi a volte un altro e così via, oppure riparto da un ramo diverso e ricomincio.
Ma questo processo non era consapevole, me ne sono accorto parlando con Guido Mazzoni una sera e poi riflettendoci.
Adesso lo stile si è modificato, almeno in parte, e uso più consapevolmente alcuni meccanismi. Ma non troppo.
Ciao e grazie.
Gabriel


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-30 11:15:27|

giustifica qualcosa se quel "qualcuno" ha fatto una selezione coerente e significativa nel "tutto" della produzione letteraria dell’umanità passata...

lorenzo


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-29 23:23:16|di Martino

Christian.... (te lo dici da solo?) :-)


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-29 21:26:30|di Christian

allora è meglio forse non usare quel termine, perché non giustica nulla se ognuno c’ha la sua tradizione (e non).


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-29 17:49:40|di redmaltese

... In certe ore
sul viale le amiche in bicicicletta, le famiglie.
Le memorie, ne abbisognano, entrano
in questo giorno di giusto riposo
e sole, con un loro invisibile peso. Le riunioni di famiglia ogni tanto su al paese triste, nelle solite occasioni comandate
- le settimane nella bottega
felice della nonna, i profumi di focacce e bomboloni.
La colazione del nonno, lenta
latte con caffè d’orzo tostato. Pane olio e tanto aceto quando a pranzo non avevo appetito. L’altro nonno morto partigiano a ventiquattro anni.
Cose simili. E dolci corse e braccia e alberi e oceani
dal tempo trascinati via, ma che nulla,
lì dove stanno,
possono rischiare nè sparire - corpo del mio corpo. E segni e la debolezza
di allora con quanta risoluzione
vivi,
mentre noi trascorriamo
e crediamo di evolvere, noi, questa
supponenza, invece incatenati, vinti dalle terribili nostre gote figliari.

Matteo conosce le sue prime paure
le ombre, ed io non so perchè, ma lo stringo.
Tramandare è dolore e non lo sapevo.

( contributo sulle memorie, tratto da Nuovissima Poesia Italiana O.Mondatori,
a cura di M. Cucchi e A. Riccardi)

Un saluto
Red-


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-29 15:21:19|di Martino Baldi

Per l’androide Christian S-61.

Aggiungerei semplicemente che ognuno è la tradizione della tradizione che si sceglie e di quella che non si sceglie. Donnarumma forse pensava solo alla prima.


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-29 15:14:29|di Christian

Scusa! oramai mi sono identificato col mezzo, e non ho più nomi - ero fuso anch’io ieri!


> "I viali" di Gabriel Del Sarto
2006-09-28 23:22:48|di Martino Baldi

Buonasera. Di chi sono queste domande non firmate?

Gabriel non era informato di questa pubblicazione. L’ho fatto solo adesso. Spero che riesca a intervenire.

Per quanto riguarda l’osservazione sulla tradizione, ci penso e conto di rispondere domani. Per oggi sono fuso.

Saluti. Martino


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