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Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. Stearns Eliot.

riscrittura Silvia Molesini da traduzione Roberto Sanesi

Articolo postato mercoledì 23 aprile 2008

Noi via
all’imbrunita sopra blu
anestesia di coricato,
vieni sui vicoli vuoti
in sottovoci di ospizi
di bianche ore ospiti squattrinati
in di resti e trucioli ricche bettole;
vie a ripetersi come noia dialettica
subdole, intente
a portarti quesiti pesi…
Senti, non dire quali,
solo vieni a vedere.

Cincischiano le signore al piano,
hanno opinioni sullo scultore italiano.

Una bruma di stoppa addossata alla finestra
un fiato di zolfo striscia-testina alla finestra
leccarono i cantoni delle otto
tentennarono sui canali di scarico
presero su sé fiocchi caliginosi discendenti
glissarono il balcone, un salto secco
e data tenera bruna vendemmia
si attorcigliarono domestici e muti.

Certo verrà l’ora
del fiato sulfureo sciatore per vicoli
addossato alla finestra;
verrà l’ora, verrà ora
per la costruzione del ghigno per i ghigni di altri;
verrà l’ora di ammazzare e dare vita,
e l’ora di ogni fatto e il momento del gesto
(lui alza e ti getta la questione nella broda);
l’ora tua, mia,
l’ora incerta,
per le molte viste e riviste,
e poi il caffè col biscotto.

Cincischiano le signore al piano,
hanno opinioni sullo scultore italiano.

Certo che verrà l’ora
per domandarsi "permesso? È permesso?"
l’ora di voltarsi e andare giù,
stempiati.
E tutti a farti notare che cadono.
Abbigliata a giorno, la camicia inamidata,
un foulard in filo di scozia, per gancio un particolare bijou,
e tutti a dirla dimagrita.
Mi sarà permesso
rompere tutto?
Quel momento ha l’ora
dove si scelgono e rettificano le cose cangianti.

Che so tutto, già tutto:
so delle venti, delle sei e delle sedici
che scavavo il tempo con piccole cucchiaie;
so i toni appassiti in mortifera progressione
che melodie dell’altro capo macerano.
Cosa perdo?
So di ogni sguardo, di ciascuno
sguardo bloccato a chiedere cose solite
che solitamente mi collezionano sul libro
ed io fissata sul libro che provo a muovermi
da dove iniziare
a gettar via le cicche della mia sbobba quotidiana ?
Come faccio?
E so delle mani, di ognuna
mano inanellata diafana oscena
e sotto un’altra luce reticolato di vene.
Sarà quel sentore sensuale
a farmi perdere il segno?
Mani mosse sul piano, mani inguantate.
Mi sono persa qualcosa?
Che fare?

Cincischiano le signore al piano,
hanno opinioni sullo scultore italiano.

Ammetterò di aver percorso l’imbrunire nei vicoli
e visto le sigarette scomparire
con signori soli che guardano dal davanzale?

Io potevo avere unghie affilate
a graffiare fondali sotto acque immobili.

Cincischiano le signore al piano,
hanno opinioni sullo scultore italiano.

E la quattro, alle otto, sono incanti sonnolenti
stirati tra i medi
dormono, fanés, molières,
distesi con noi sul parquet.
Come, davanti alla pasticceria fine,
potenziare la rottura?
Che lacrimai affamata e lacrimai pia,
che pòrti la testa sfoltita
adagiata sul piatto
non significa ch’io predichi, non conta;
sussulta il quarto d’ora di grandeur
ed il servo divino ha la mia giacca e se la ride
insomma, da brivido.

Ma, e perché no, adesso,
all’indomani delle merende
e dei discorsi di ceramica
noi due, perché non
parlare rilassati,
zippare il mondo a gnocco
rollarlo sugli asfissianti perché,
asserire " Resuscito, ero di là,
adesso vi spiego, vi spiego."
Metti che lo fa accomodare come si deve
e gli dice " non sono mie queste parole.
Dissento."
Ma perché no, adesso,
non si poteva
fatti fine e campo e via bagnata
fatti i libri, le terrine, i vestiti da sera,
questo ed altro?
Non ho parole per rendere l’idea.
Fammi i raggi alle reti neurali:
vedi che si
se lui sedutosi bene o senza giacca
e dalla parte del vetro aggiungesse:
" Io non ho detto questo.
Dissento. "

Cincischiano le signore al piano,
hanno opinioni sullo scultore italiano.

Toglimi i panni dell’eroe pazzo, mica sono io;
io sono leggerina, quella
buona per la piazza, buona per la claque,
la menestrella; il flauto dolce
simpatico e gentile
temperato e preciso;
saggio e tonto un poco;
ecco, un Rigoletto.
Il de sire clown.

Vecia, son vecia.
Me metarò el grembial.

Farò un bel chignon? Addenterò ancora mele acerbe?
Metterò una cotonina a fiori e farò il lungolago.
Ariel vociava lì ai suoi fratelli d’oro.

Un tintinnare privato.

Loro lontano sopra il lago mosso
lisciano al lago le ciocche d’argento
sbattute grosse equoree vele-zebre.

Abbiamo passato troppo tempo in cabina
coi pescatori bruni scappellati, a colori,
poi qualcuno ci ha svegliate, e affoghiamo.

...................................................................................................................

(su Nazione Indiana recentemente pubblicata la lettura che Eliot fa della sua originale)

5 commenti a questo articolo

Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. Stearns Eliot.
2009-10-18 18:00:55|

si davvero... non centra niente


Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. Stearns Eliot.
2008-07-17 13:51:28|

io trovo che abbia capito molto dello spirito cangiante, appunto, di questo capolavoro. Con parole sue, ma così azzeccate.


Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. Stearns Eliot.
2008-06-30 10:09:20|

per questa ragione gli italiani sono i più somari al mondo!


Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. Stearns Eliot.
2008-05-07 09:29:30|di lorenzo

non è una traduzione è - dichiaratamente (cfr. sottotitolo al messaggio) - una "riscrittura", tra l’altro basata su una traduzione e non sull’originale. donc?

lorenzo


Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. Stearns Eliot.
2008-05-06 18:39:44|

ma che cazzo di traduzione è?!?affidatevi a chi sa l’inglese,non ai traduttori online...


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