Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.

pubblicato martedì 19 novembre 2013
Blare Out presenta: Andata e Ritorno Festival Invernale di Musica digitale e Poesia orale Galleria A plus A Centro Espositivo Sloveno (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Siamo a maggio. È primavera, la stagione del risveglio. Un perfetto scrittore progressista del XXI secolo lancia le sue sfide. La prima è che la (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Io Boris l’ho conosciuto di sfuggita, giusto il tempo di un caffè, ad una Lucca Comics & Games di qualche anno fa. Non che non lo conoscessi (...)
 
Home page > e-Zine > Il cibo senza nome

Il cibo senza nome

la sedimentazione del verso in Pasquale Vitagliano

Articolo postato domenica 27 novembre 2011
da Lidia Riviello

Il cibo senza nome di Pasquale Vitagliano

- Lietocolle -collana Aretusa- 2011.
Prefazione di Paolo Ruffiilli

Astri

Può esserci una stanza

senza centro di gravità?

Dove per pura volontà d’altro

i mobili senza volontà ripetono

tutti i movimenti degli astri.

Puoi allora senza saperlo vedere

i divani subire la rotazione del sole,

così da sorgere lì dove c’erano i lumi,

retrocessi al nadir della loro rivoluzione.

Può essere dannata una vita senza pareti.

Il cibo senza nome

Questa casa non ha odore,

non dico il sugo, la frittura,

il calore, che sarebbe kitsch;

dico che non si sentono passi

dietro i tavoli, sulle tovaglie,

sopra i divani, fuori delle stanze.

Non posso dire la differenza, come

gli inglesi, tra casa e casa, perché

camere e cucina non siano solo mattoni,

intonaco e cellofan, ma anche terra,

ventre e fame che si sazia alla fine

della vita sui muri fino ad annerirli

e a farli puzzare delle nostre giornate.

E invece questa casa è una rimessa,

i cartoni, le scatole di cibo senza nome

al posto dei libri sugli scaffali dismessi,

le foto senza alcun luogo, i quadri senza

soggetto, la polvere che ti mangia tutto.

Mi resta il bagno, utile e integro, una cesta.

Odora di gelo

morente all’imbrunire

l’inaspettato

bacio della pace,

che ti veste

dalla testa ai piedi

di quello che occorre

per uscire fuori.

Quando sparisce il freddo,

il dolore si scioglie

nel braciere della mensa;

quando il sonno

non si spezza più,

ma ti scorre nelle vene

inopinato,

allora, puoi uscire fuori.

Sono le risonanze

dei pasti in piedi.

Fuori

Che ci fa questa villa stagionale,

sembra una velina dentro il telegiornale,

a spezzare la visione prospettica di

questo arco romano più metafisico

di una delle melanconiche piazze d’Italia,

sporcata da moderni graffi metallizzati

senza metropolitana. Spazio senza luogo

alcuno se non il quadro di un pittore anonimo;

tempo senza memoria, resta un frammento

crollato sul cemento, vestigia senza origine

sopravvissute senza pasolini non al dopo

ma all’anti-storia caudale senza più un solo uomo.

Quale orrenda forza tracima nel nostro futuro.

Gli ultimi giorni

Credi proprio che gli ultimi istanti

della giornata siano proprio uguali

agli ultimi giorni dell’umanità

perché non li puoi mettere in scena.

Ti lasciano appiccicata addosso

l’etichetta della lavanderia,

che nessuno ha il coraggio di

toglierti dalla piega della giacca.

Hai voglia tu a sperare che domani

la storia potrà essere riscritta.

Tutto quello che hai detto, e fatto

si riverserà dentro senza farsi domande.

Quante volte ti sei convinto che

tutto fosse finito, così per ricominciare.

È bene che ti rassegni a ciò che vedi:

non c’è giornata che termini senza umanità.

Non c’è umanità senza le tue giornate.

Sosta

Sul treno immobile all’illimite sosta

nel luogo dell’ingiusto albergo,

all’ombra trema la mite resa

all’ultima ora dell’inatteso arrivo.

Non ha più spettatore questo naufragio,

perché lo sguardo affoga in pieno centro.

Sull’alba è passato lo spasimo teso

ad arco nelle trame delle vertebre spogliate

senza ritegno dalle giornate perse

ad interrogare l’oracolo verticale degli orari.

Non ferma al rimpianto il viaggio inerte che

guarisce il mistico saluto del passeggero.

Magnesio

Si taglia a pezzi

l’inesausta origine del presente,

nelle vene concentriche di un albero diviso,

alla deriva di fango, scarto genitivo di una fonte nuova.

Il cibo goduto è stato digerito senza lasciare orme,

se non le pieghe inerti che non hanno voglia, né nostalgia,

sedimenti inermi subiscono l’acqua che sventaglia;

se fossero fossili qualcosa ci sarebbe da leggere,

invece alla memoria delle piene non aggiungono che oblio.

Il magnesio non possiede il ritmo dell’acqua;

eppure se lo togli dalle foto dei matrimoni,

è fatto di baleno, più di un’ala o di una palpebra che non

[ regge

la cronaca di fronte, e sbatte il tempo quasi a cacciarlo.

Ecco che lo sguardo finisce per guadare sulle figure

[ provvisorie.

Se la fine ha un nome, lo aveva sin dall’inizio.

Struggente – passami la parola – cos’altro potresti

dire a guardare che tutto è tornato intero, al suo posto,

come al principio

Pasquale Vitagliano, nato nel 1965, vive a Terlizzi, è giornalista e critico letterario per diverse riviste locali e nazionali ed è presente in numerose antologie poetiche.

Per la casa editrice LietoColle ha pubbli­cato la raccolta di poesie Amnesie amniotiche nel 2009 e suoi scritti sono apparsi su Italialibri, Lapoesiaelospirito, Neobar, Reb Stein e Nazione Indiana.

Commenta questo articolo


Un messaggio, un commento?
  • (Per creare dei paragrafi indipendenti, lasciare fra loro delle righe vuote.)

Chi sei? (opzionale)