Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Il cibo senza nome di Pasquale Vitagliano
Lietocolle -collana Aretusa- 2011.
Prefazione di Paolo Ruffiilli
Astri
Può esserci una stanza
senza centro di gravità?
Dove per pura volontà d’altro
i mobili senza volontà ripetono
tutti i movimenti degli astri.
Puoi allora senza saperlo vedere
i divani subire la rotazione del sole,
così da sorgere lì dove c’erano i lumi,
retrocessi al nadir della loro rivoluzione.
Può essere dannata una vita senza pareti.
Il cibo senza nome
Questa casa non ha odore,
non dico il sugo, la frittura,
il calore, che sarebbe kitsch;
dico che non si sentono passi
dietro i tavoli, sulle tovaglie,
sopra i divani, fuori delle stanze.
Non posso dire la differenza, come
gli inglesi, tra casa e casa, perché
camere e cucina non siano solo mattoni,
intonaco e cellofan, ma anche terra,
ventre e fame che si sazia alla fine
della vita sui muri fino ad annerirli
e a farli puzzare delle nostre giornate.
E invece questa casa è una rimessa,
i cartoni, le scatole di cibo senza nome
al posto dei libri sugli scaffali dismessi,
le foto senza alcun luogo, i quadri senza
soggetto, la polvere che ti mangia tutto.
Mi resta il bagno, utile e integro, una cesta.
Odora di gelo
morente all’imbrunire
l’inaspettato
bacio della pace,
che ti veste
dalla testa ai piedi
di quello che occorre
per uscire fuori.
Quando sparisce il freddo,
il dolore si scioglie
nel braciere della mensa;
quando il sonno
non si spezza più,
ma ti scorre nelle vene
inopinato,
allora, puoi uscire fuori.
Sono le risonanze
dei pasti in piedi.
Fuori
Che ci fa questa villa stagionale,
sembra una velina dentro il telegiornale,
a spezzare la visione prospettica di
questo arco romano più metafisico
di una delle melanconiche piazze d’Italia,
sporcata da moderni graffi metallizzati
senza metropolitana. Spazio senza luogo
alcuno se non il quadro di un pittore anonimo;
tempo senza memoria, resta un frammento
crollato sul cemento, vestigia senza origine
sopravvissute senza pasolini non al dopo
ma all’anti-storia caudale senza più un solo uomo.
Quale orrenda forza tracima nel nostro futuro.
Gli ultimi giorni
Credi proprio che gli ultimi istanti
della giornata siano proprio uguali
agli ultimi giorni dell’umanità
perché non li puoi mettere in scena.
Ti lasciano appiccicata addosso
l’etichetta della lavanderia,
che nessuno ha il coraggio di
toglierti dalla piega della giacca.
Hai voglia tu a sperare che domani
la storia potrà essere riscritta.
Tutto quello che hai detto, e fatto
si riverserà dentro senza farsi domande.
Quante volte ti sei convinto che
tutto fosse finito, così per ricominciare.
È bene che ti rassegni a ciò che vedi:
non c’è giornata che termini senza umanità.
Non c’è umanità senza le tue giornate.
Sosta
Sul treno immobile all’illimite sosta
nel luogo dell’ingiusto albergo,
all’ombra trema la mite resa
all’ultima ora dell’inatteso arrivo.
Non ha più spettatore questo naufragio,
perché lo sguardo affoga in pieno centro.
Sull’alba è passato lo spasimo teso
ad arco nelle trame delle vertebre spogliate
senza ritegno dalle giornate perse
ad interrogare l’oracolo verticale degli orari.
Non ferma al rimpianto il viaggio inerte che
guarisce il mistico saluto del passeggero.
Magnesio
Si taglia a pezzi
l’inesausta origine del presente,
nelle vene concentriche di un albero diviso,
alla deriva di fango, scarto genitivo di una fonte nuova.
Il cibo goduto è stato digerito senza lasciare orme,
se non le pieghe inerti che non hanno voglia, né nostalgia,
sedimenti inermi subiscono l’acqua che sventaglia;
se fossero fossili qualcosa ci sarebbe da leggere,
invece alla memoria delle piene non aggiungono che oblio.
Il magnesio non possiede il ritmo dell’acqua;
eppure se lo togli dalle foto dei matrimoni,
è fatto di baleno, più di un’ala o di una palpebra che non
[ regge
la cronaca di fronte, e sbatte il tempo quasi a cacciarlo.
Ecco che lo sguardo finisce per guadare sulle figure
[ provvisorie.
Se la fine ha un nome, lo aveva sin dall’inizio.
Struggente – passami la parola – cos’altro potresti
dire a guardare che tutto è tornato intero, al suo posto,
come al principio
Pasquale Vitagliano, nato nel 1965, vive a Terlizzi, è giornalista e critico letterario per diverse riviste locali e nazionali ed è presente in numerose antologie poetiche.
Per la casa editrice LietoColle ha pubblicato la raccolta di poesie Amnesie amniotiche nel 2009 e suoi scritti sono apparsi su Italialibri, Lapoesiaelospirito, Neobar, Reb Stein e Nazione Indiana.
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