di raphael d’abdon


Negli ultimi 10-15 anni il panorama letterario, musicale e culturale africano (ma non solo) è stato travolto dall’arrivo di quella che Zakes Mda ha definito la “spoken word revolution”. Si tratta di un movimento di artisti, per lo più giovanissimi, i quali, adattando gli stili performativi tipici delle loro tradizioni orali ai ritmi musicali delle metropoli africane del XXI secolo, stanno portando in scena la “parola parlata” (spoken word) noi solo nei circuiti underground dei cyphers, della poetry slam e degli open mic (microfono libero), ma anche sui palchi dei principali festival di poesia nazionali ed internazionali.
Questo spazio si prefigge di presentare i profili di alcuni tra i più rappresentativi spoken word artists del Sudafrica e di altri paesi africani, al fine di far conoscere al pubblico italiano le loro opere e la loro poesia. L’obiettivo è quello di contribuire a stimolare l’interesse per la poesia orale “di strada” e per il potente messaggio di “coscientizzazione” (per dirla con Biko) di cui essa si fa odierna portatrice.


Nato a Udine nel 1974, raphael d’abdon (minuscolo, alla bell hooks) nel 2010 ha conseguito il dottorato di ricerca in scienze linguistiche e letterarie con una tesi sulla spoken word nel post-apartheid.
Nel 2007 ha tradotto e curato l’antologia I nostri semi - Peo tsa rona. Poeti sudafricani del post-apartheid, e dal 2008 vive in Sudafrica dove, oltre a coltivare lo studio accademico, organizza eventi di poesia e workshops di scrittura creativa. Collabora inoltre regolarmente con diversi collettivi di artisti, con il blog www.kagablog.com e si diverte ad esibirsi nei circuiti underground di ‘open mic’ (microfono libero).
Nel giugno del 2009 è stato guest poet del Timbila Poetry Project e ad agosto è stato poeta del mese del sito www.consciousness.co.za. Nello stesso periodo è stato ospite dell’ANA (Association of Nigerian Authors) per un reading tenutosi ad Abuja (Nigeria). Ha diviso il palco con diversi spoken word artists tra i quali Dorothea Smartt, Warsan Shire, Myesha Jenkins e June Madingwane.


Links:

Sagarana: www.sagarana.net
Unity Gallery: http://www.unitydesign.co.za/
Consciousness, it’s a lifestyle!: www.consciousness.co.za
Timbila Poetry Project: http://kaganof.com/kagablog/2009/05...
Kagablog: http://kaganof.com/kagablog/categor...
I nostri semi - Peo tsa rona. Poeti sudafricani del post-apartheid. raphael d’abdon (a cura di), Mangrovie, Napoli, 2007: http://www.mangrovie.org/?ac=scheda...

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Il movimento dei poeti-bloggers nel Sudafrica del post-apartheid

Articolo postato domenica 8 agosto 2010

Il movimento dei poeti-bloggers nel Sudafrica del post-apartheid


Le civiltà dell’Africa del Sud hanno sempre affidato ai poeti/cantastorie, alle loro performance poetiche orali, non solo il compito di tramandare storie, miti e leggende del passato ma anche quello, altrettanto urgente, di sottoporre a critica i problemi contingenti delle proprie comunità.
Sia durante le invasioni coloniali che nei decenni più recenti del regime dell’apartheid la poesia ha continuato a giocare un ruolo importante nelle varie lotte anti-coloniali dei popoli sudafricani e la Parola che risuonava in ambito teatrale, nei cortei politici, nei funerali, nei comizi è stato uno degli strumenti decisivi sia per catalizzare l’attenzione delle comunità sulle forme di oppressione cui esse erano soggette, sia per costruire collettivamente concrete pratiche di resistenza e liberazione.
“Il poeta ha esplorato diversi linguaggi: dalla protesta alla resistenza, dalla liberazione alla celebrazione. E oggi nuovamente, nell’attuale scenario socio-politico, il poeta passa ancora una volta dalla celebrazione alla protesta, dall’autoaffermazione alla sfida, alla disillusione nei confronti del nuovo ordine costruito sull’avidità, sul clientelismo e sulla corruzione”. Con queste parole Zakes Mda, uno dei più grandi romanzieri sudafricani, saluta la nascita della nuova generazione di cantori della poesia orale (o spoken word artists) formatasi culturalmente nella fase del cosiddetto post-apartheid, focalizzando ancora una volta l’attenzione sul loro potenziale di rottura all’interno dello scenario politico-culturale della nuova nazione.
Appropriandosi delle opportunità che la tecnologia offre loro (oltre che delle tradizionali forme di linguaggio poetico orale), questa comunità di spoken word artists ha oggi iniziato a servirsi di nuovi strumenti comunicativi, tra i quali giocano un ruolo centrale i siti web e i blog. Il movimento dei bloggers è in continua crescita e i vari fora e le communities in rete si stanno affermando come spazi fondamentali nel dibattito che anima le comunità dei giovani artisti urbanizzati. In essi i poeti si interrogano sulla situazione attuale della poesia e dell’arte in generale, così come sui temi che stanno al centro del dibattito politico nazionale ed internazionale. Alcuni di questi blog sono dei veri e propri punti di riferimento per la comunità artistica urbana del “Nuovo Sudafrica” e rappresentano una nuova frontiera culturale che va tenuta in considerazione ed analizzata se si vuole avere un quadro completo della situazione letteraria, artistica e politica del paese. Il presente saggio si prepone di fornire un quadro delle caratteristiche di alcuni blog animati da spoken word artists sudafricani e del ruolo che essi giocano nella costruzione di quella che è stata definita la “cultura del post-apartheid”.

Alcuni blog curati da poeti del post-apartheid e un case-study: “Kagablog” di Aryan Kaganof

L’avvento della democrazia nel 1994 e il diffondersi quasi contemporaneamente delle nuove tecnologie associate ad internet sono due tra i fattori (tra l’altro strettamente correlati) che hanno avuto ed hanno un peso determinante nella costruzione di quella che viene comunemente definita “la cultura del post-apartheid”. Da un lato infatti il nuovo regime democratico subentrato all’apartheid ha garantito agli artisti (ma non solo) quella libertà di espressione che, per ovvie ragioni, veniva loro preclusa durante i decenni della dittatura razzista; dall’altro lato gli stessi artisti, nel nostro caso i poeti, hanno saputo usufruire di queste opportunità per creare spazi di riflessione, dibattito e creatività (tra i quali siti web e blog), all’interno dei quali ragionare individualmente e collettivamente sui dilemmi del proprio presente. Per non rischiare di cadere in visioni essenzialistiche della realtà, bisogna fin da subito chiarire come la società sudafricana era e resta una società prevalentemente agricola, e che le tendenze che verranno analizzate in questo articolo non interessano la maggioranza degli abitanti del paese, ma solo una realtà ben specifica, ovvero quella dei giovani artisti dei grandi insediamenti urbani (Johannesburg, Pretoria/Tshwane e, in misura minore, Città del Capo e Durban). Questo perché, a qualsiasi livello del dibattito, non bisogna dimenticare le enormi differenze socio-economiche e le diversità culturali ancor’oggi esistenti all’interno delle varie aree geografiche del paese. Ricordato ciò, in questa prima parte si procederà alla descrizione di alcuni blog curati da giovani poeti, nello specifico coloro che fanno parte delle comunità dei cosiddetti spoken word artists urbanizzati. Nella parte conclusiva verrà analizzato più nello specifico il caso di uno dei blog più influenti all’interno di questa comunità ovvero Kagablog del poeta, saggista, musicista e filmaker di Johannesburg Aryan Kaganof.
In uno spazio, come quello virtuale, nel quale per definizione è pressoché impossibile tenere sotto controllo i molteplici oggetti di ricerca che nascono e tramontano quotidianamente, credo sia giudizioso focalizzare la propria attenzione su quelle realtà che hanno dimostrato finora di poter sopravvivere alle sfide del tempo in virtù di un valore intrinseco che le rende qualcosa di più di semplici mode del momento. I blog spuntano infatti come funghi, ma pochi sono, almeno nel contesto qui analizzato, quelli che sono riusciti finora a lasciare un segno si sé nel corso degli ultimi 15 anni. Tra questi ce ne sono alcuni che meritano di essere menzionati perché rappresentano senza dubbio dei punti di riferimento consolidati all’interno del panorama culturale urbano del post-apartheid.
Primo tra tutti, il blog del Timbila Poetry Project, gestito da un collettivo di poeti tra cui il focoso editore Vonani wa ka Bila, June Madingwane e Goodenough Mashego. Un collettivo che dal 2000 ad oggi, oltre a collezionare pubblicazioni cartacee importantissime (che includono i contributi di scrittori del calibro di Don Mattera, Lefifi Tladi, Prof Es’kia Mphahlele, Makhosazana Xaba, Myesha Jenkins, Mbongeni Khumalo e Malika Ndlovu) continua a mantenere aperti stimolanti spazi di confronto nel sito sopra riportato.
Seconda segnalazione è per il blog di BKO, la più importante rivista di poesia orale del paese, edita da Phehello Mofokeng e Andrew Miller, due giovani poeti fondatori, assieme all’artista Robyn Field, della Unity Gallery. La Unity Gallery è un hub situato nel cuore di Johannesburg, autofinanziato e nato per offrire spazi e strutture a giovani artisti dei quartieri popolari della regione del Gauteng. Oltre a pubblicare BKO, ad animare l’omonimo blog e ad offrire opportunità a giovani artisti provenienti dal mondo della poesia, musica, pittura, fotografia e scultura, il collettivo della Unity Gallery ha da poco fondato la casa editrice Ge’Ko, la quale si sta già affermando come un punto di riferimento per gli scrittori emergenti del panorama nazionale. Uno tra i poeti pubblicati da Ge’ko, pur non essendo giovanissimo, è Mario d’Offizi, figlio di emigrani italiani e irlandesi e autore della commovente autobiografia Bless Me Father (2), oltre che curatore del blog Mariowana.
Il terzo sito rilevante è quello gestito dal collettivo femminile Young Basadzi Project che, come recita la homepage, “promuove i migliori lavori di giovani donne sudafricane che celebrano il loro splendido patrimonio culturale”. Quello di Basadzi è un caso affascinante perché, dopo lo scioglimento del pioneristico quartetto Feelah Sista, rimane l’unica esperienza significativa di collettivo di spoken word artists esclusivamente femminile, esperienza culminata tra l’altro anche nella pubblicazione dell’antologia Basadzi Voices (3).
Ultimo blog in questa lista selezionata e necessariamente incompleta è quello dello spoken word artist Kojo Baffoe. Autore di due antologie di poesia (Voices In My Head e And They Say: Black Men Don’t Write Love Poetry), Baffoe è un’artista fine, che gode di una grandissima stima sia tra i colleghi che nei circoli letterari nazionali e internazionali, tanto che, in qualità di poeta freestyle, fu invitato a rappresentante il Sudafrica in un tour chiamato Hammer and Tongue Four Continents Poetry Slam svoltosi nel Regno Unito Novembre e Dicembre 2006. Per queste ragioni, e per la credibilità guadagnata “sul campo” come organizzatore di eventi, educatore e produttore sia di altri poeti che di musicisti locali, Baffoe, con il suo blog, si presenta come una delle personalità di riferimento per chi vuole conoscere il panorama culturale urbano di Mzansi.
Terminata questa rapida carrellata di alcuni dei blog più significativi all’interno del panorama poetico/letterario nazionale, passerò ora ad analizzare più nel dettaglio il caso relativo ad un blog che, proprio nei giorni in cui sto scrivendo questo articolo, è al centro di un caso di cronaca piuttosto spinoso.
Uno dei luoghi di produzione di cultura (ma soprattutto controcultura) più intriganti, frequentati e per certi versi… controverso nello scenario urbano sudafricano contemporaneo è certamente il blog di Aryan Kaganof. Artista eclettico residente a Johannesburg (senza dubbio il centro nevralgico culturale del cosiddetto “Nuovo Sudafrica”) Kaganof da Marzo 2008 ricopre il ruolo di Visiting Professor al New Media Art Department dell’Università di Malmö in Svezia.
“Messo in rete” per la prima volta nel Novembre 2005, e fin da allora gestito dal suo curatore senza alcuna forma di sponsorizzazione né pubblica né privata, Kagablog nasce dalla volontà di Kaganof di creare un forum nel quale scrittori, poeti, artisti, accademici ed esploratori digitali con interessi in differenti campi della cultura potessero proporre i propri lavori. L’obiettivo di fondo fu perciò fin dal principio quello di creare uno spazio culturale che – a differenza di quanto accade nei mass media e nel panorama editoriale ufficiale – non fosse mosso da logiche di mercato, e i cui confini non fossero determinati dalla ricerca del profitto. Spazio liberato dalle gabbie della logica profit-oriented Kagablog è così divenuto in questi anni un catalizzatore delle nuove tendenze artistiche/estetiche/politiche del paese, sia per ciò che riguarda il suo contenuto, sempre teso alla ricerca di nuovi linguaggi, sia in quanto community nella quale potersi esprimere senza tenere necessariamente in considerazione le aspettative del lettore.
La formula sulla quale si basa Kagablog è molto semplice: una volta individuati artisti dei quali si ammira, rispetta o ama il lavoro, li si invita a partecipare al blog come contributors. Una volta messa in marcia la collaborazione non esiste nessuna forma di censura editoriale: ciò getta le basi per uno spazio comune nel quale lavorare secondo criteri di libertà creativa diametralmente opposti rispetto a quelli vigenti nei mass media, che al contrario agiscono con l’unico obiettivo di raggiungere bilanci in attivo a fine anno.
In un paese in cui la diffusione di banda larga è limitata esclusivamente ad alcune aree circoscritte, ed internet una risorsa disponibile quasi solo per la nuova borghesia urbanizzata, Kagablog è riuscito comunque a mantenere finora un alto numero di visitatori e contibutors. È stato stimato (www.kaganof.com) che tra Novembre 2007 e Febbraio 2008 il blog abbia avuto più di 250.000 visitatori al mese, cifre che hanno cominciato a calare nei mesi successivi per la sola ragione che Kaganof, come riportato sopra, da marzo 2008 risiede in Svezia e pertanto, secondo sue parole, al momento non riesce a dedicare al blog “l’attenzione che questo richiede” (4).
Di questi visitatori almeno la metà risiede nell’area dell’Africa del Sud, mentre una fetta consistente dei rimanenti fruitori proviene dagli Stati Uniti, dall’Olanda e da altri paesi europei.
Basta scorrere l’indice della homepage per accorgesi di come Kagablog abbracci uno spettro molto ampio di discipline: musica, arte, fotografia, poesia e spoken word, fiction, cinema, ecc. Non esistendo pubblicazioni con una tale struttura multi-interdisciplinare risulta facile intuire come la distribuzione non-cartacea caratteristica della rete da un lato contribuisca a colmare un vuoto culturale, dal’altro allarghi considerevolmente la potenziale base dei fruitori. Oltre a ciò va sottolineato come uno dei fattori fondamentali di un blog pluriversale come Kagablog è che anche chi ci si avvicina mosso da interessi disciplinari specifici, finisce inevitabilmente con l’aprire la propria esperienza intellettuale ad altri campi dell’arte e del sapere. Visto solo tale ottica il blog si identifica quindi come un luogo d’indagine e ricerca privilegiato per chi vuole emanciparsi dall’eccessiva parcellizzazione del sapere e porre al centro della propria attività di artista, ricercatore, ecc. il superamento delle rigide ed artificiose barriere disciplinari e metodologiche che solitamente tengono separati i vari campi della conoscenza.
La scelta di strutturare il blog in siffatta maniera nasce ancora una volta dall’esigenza da parte di Kaganof di creare uno spazio comunicativo alternativo ai mass media. Il fatto che tutti i principali mezzi di comunicazione di massa in Sudafrica siano gestiti secondo logiche di puro profitto pone infatti l’artista di fronte ad un enorme problema che riguarda niente meno che la stessa libertà d’espressione. Nel contesto mediatico ed editoriale mainstream del post-apartheid infatti (e questo è e sarà uno dei problemi precipui della nuova democrazia sudafricana) il concetto di “libertà di parola” coincide con quello di “libertà di promuovere ciò che viene distribuito nei circuiti ufficiali della stampa e della televisione”(5). Il blog nasce come una risposta a questa situazione di ghettizzazione del sapere all’interno di un circuito non-inclusivo, congiuntamente all’obiettivo di rendere disponibile alla comunità l’insieme variegato di proposte, tendenze ed innovazioni artistiche risultanti dall’incontro di contributors con background culturali eterogenei.
Al momento ci sono circa 90 contributors che regolarmente intervengono negli spazi di Kagablog. Sebbene la stragrande maggioranza di essi risieda in Sudafrica non mancano contributors di altri paesi, in particolare europei (Francia, Olanda, Germania). Va da sé che, com’è ovvio in base a quanto detto finora, il blog rimane aperto a chiunque voglia parteciparvi, indipendentemente dalla provenienza geografica.
Il rischio generato da tale “contaminazione” – se così vogliamo chiamarla per usare una terminologia propria della postcolonialità – è che blog e/o riviste indipendenti come Kagablog o Chimurenga (6) possano in certi momenti rischiare una deriva “eurocentrica”, correndo il pericolo, a lungo termine, di finire con il posizionarsi al di fuori del contesto culturale sudafricano.
Queste critiche, mosse a più riprese da chi giudica con sospetto esperienze come Kagablog, sottendono una visione viziata da provincialismo, parrocchiale, del contesto sudafricano urbano contemporaneo. Come tutti gli altri blog e siti web Kagablog vive infatti nel mondo transnazionale, s-confinato della World Wide Web, e non in quello politicamente e storicamente territorializzato dello stato sudafricano. Ciò fa di Kagablog una realtà al medesimo tempo globale e locale. Il fatto che la stragrande maggioranza dei contributors viva nel contesto geografico sudafricano fa si che il blog abbia notevole rilevanza per coloro che si interessano esclusivamente del panorama artistico e culturale della regione. Ciononostante non pare azzardato affermare che in un epoca nel quale, grazie proprio alla rete, l’incontro e l’intersezione di/tra linguaggi tra essi anche molto lontani mette a disposizione del navigatore un patrimonio di idee e testimonianze pressoché infinito, sia limitativo fossilizzarsi in maniera esclusiva su temi e argomenti di rilevanza puramente localistica.
Più che un tentativo di “europeizzare” il dibattito, quel che al contrario traspare da Kagablog è la volontà costante di proporre e promuovere lavori di ottima qualità e soprattutto provocatori e critici nei confronti del decadente panorama socio-politico sudafricano e mondiale. Questi, più che criteri di appartenenza territoriale, sono i parametri di giudizio utilizzati da Kaganof per definire e ridefinire costantemente l’estetica generale del proprio blog.
Un’attitudine critica nei confronti dello status quo che non ha tardato ad attirare le attenzioni dei gelosi custodi della “cultura ufficiale”, degli inquisitori della “proto-censura di stato” che chi scrive ha già avuto modo di denunciare in precedenza (7). È notizia di questi giorni infatti, documentata nello stesso Kagablog (8), che il sito sia stato ufficialmente messo al bando dalla SABC, ovvero la compagnia televisiva nazionale sudafricana (controllata, esattamente come accade in Italia per la RAI, dal potere politico). Pur rimanendo ignoti i reali motivi che hanno spinto a mettere in atto la censura, tale notizia non stupisce, dal momento che già in altre occasioni la longa manus dell’ANC, il partito al potere in Sudafrica, si era spinta fino a censurare apertamente soggetti considerati “pericolosi” e “sovversivi”, uno tra tutti il sociologo Ashwin Desai, autore di un opera seminale sul post-apartheid come We are The Poors. Community Struggles in Post-Apartheid South Africa, (tradotto in Italia nel 2003 da DeriveApprodi con il titolo Noi siamo i poveri. Lotte comunitarie nel nuovo apartheid (9)).
Per tornare ai contenuti di Kagablog, credo si possa in tutta tranquillità affermare che, in maniera forse più incisiva di altri blog animati da poeti sudafricani, esso riflette il nuovo atteggiamento nei confronti dei media e soprattutto degli alternative media che si sta lentamente ma progressivamente affermando tra le avanguardie artistiche e politiche del paese. Un movimento che concepisce l’arte, la poesia o qualsiasi discorso critico non più in termini di confini nazionali e/o regionali, ma con occhi, orecchie e cuore sensibili alla percezione di stimoli di più ampio respiro. In altre parole, l’obiettivo non viene più focalizzato esclusivamente sulle regionalità coloniali del pensiero, ma nemmeno su quelle, neutralizzate dalla storia, di natura postcoloniale. Posto in questi termini Kagablog si configura come uno spazio del pensiero collettivo che si posiziona (e in ciò a mio avviso risiede la sua portata rivoluzionaria) sia fuori dal pensiero coloniale che da quello – ad esso oggi filosoficamente attiguo – post(neo)coloniale, entrambi, operanti all’interno di cornici teoriche che, seppure in forme differenti, non prevedono alternative al predominio del mercato e al modello di organizzazione sociale capitalista.
E il futuro cosa tiene in serbo per i bloggers? Oggi il livello di penetrazione di internet in Sudafrica si aggira attorno al 7% della popolazione totale, ma questa percentuale continua a crescere in maniera progressiva e costante. Questo lascia intendere che nel giro di pochi anni la situazione sarà radicalmente differente e molte più persone saranno in grado di fruire di documenti online. Anche se tra stampa e accademici conservatori esistono sacche di resistenza nei confronti dei blog, reputati spazi di pubblicazione non degni di rispetto, non vi è dubbio che in futuro la produzione di cultura passerà sempre di più attraverso la rete. Riguardo a questo passaggio storico Kaganof ha le idee ben chiare:

Le uniche cose che vengono prese sul serio in Sudafrica sono l’alcol, il calcio, il rugby e il cricket. Non posso permettere che il mio lavoro sia costretto entro le mediocri opinioni del mercato. L’unica cosa importante è che io reputo il blog un mezzo serio, che tu lo reputi un mezzo serio e che i contributors e i lettori lo considerano un mezzo serio. (10)

La diffusione del blog come mezzo di fruizione non determinerà inoltre, come molti detrattori all’interno dell’establishment sostengono, che i blog soppianteranno le pubblicazioni cartacee tradizionali. Al contrario, potrebbero salvarle dal declino che stanno attraversando. A tal riguardo Kaganof sostiene:

La crisi del mercato editoriale non ha niente a che vedere con i blog. La causa va piuttosto ricercata nell’eccessivo numero di libri che vengono pubblicati. Toppi libri vengono scaraventati sul mercato, con la speranza che qualche titolo s riveli un successo commerciale. Ci troviamo di fronte ad una grande fiera, e per le gente, per i lettori è stressante stare al passo. Questa è la ragione per cui la gente si chiude in sé stessa, cercando rifugio nei classici, in ciò che già conosce, nella fiction di genere. Perché è semplicemente impossibile leggere tutti i libri che inondano gli scaffali delle librerie.(11)

La verità di fondo che soggiace le parole sopra riportate è che il blog come strumento d’informazione (e contro-informazione) non invade il territorio delle pubblicazioni cartacee, per il semplice motivo che è una realtà da esso totalmente distinta. Al contrario, sempre secondo Kaganof:

[s]e esiste qualche relazione tra le due realtà credo che il blog possa stimolare all’acquisto dei libri. Questo perché il blog mette a disposizione dei fruitori una gran varietà di voci critiche e innovative che scrivono mossi da passione, a differenza di quanto accade con gli “opinionisti” istituzionali i quali al contrario scrivono dalle posizioni logore del potere e autorità costituita. Le pubblicazioni online stimolano la gente ad acquistare libri. Lo stesso fenomeno accade nell’industria musicale. In un certo senso la “fine” dei libri stampati è già stata decretata con la soppressione delle piccole librerie specialistiche e l’usurpazione delle vendite dei libri come mero oggetti di consumo da parte delle catene di supermercati che svendono le opere al pubblico. “Paghi uno, compri due,”, proprio come con le scatolette di fagioli (12).


*


Articolo pubblicato in "Aut Aut", Altre Afriche, n. 339, luglio-settembre 2009, pp. 195-208.


**

Note

1. Mda, Z., Prefazione a: I nostri semi – Peo tsa rona. Poeti sudafricani del post-apartheid, d’Abdon, R. (ed.), Mangrovie, Napoli, 2007, p. 12.
2. d’Offizi, M., Bless Me Father, Ge’ko, Johannesburg, 2007.
3. Basadzi Voices, Mokhosi, R. (Ed.), University of Kwa Zulu-Natal Press, Scottsville, 2006.
4. Alcune parti del presente articolo sono tratte da un intervista di Gary Cummiskey ad Aryan Kaganof in corso di pubblicazione. Editore indipendente della Dye Hard Press, Cummiskey e a sua volta animatore del’omonimo blog di poesia e letteratura dyehard-press.blogspot.com. Ringrazio Cummiskey e Kaganof per il materiale messomi a disposizione.
5. Sull’argomento si veda anche la mia recensione al romanzo Coconut della sudafricana Kopano Matlwa in: "Il Tolomeo", fascicolo 1, XI, 2008 e Molebatsi, N., Mzansi’s poets through mass media lenses in "Rhodes Journalism Review", n. 27, September 2007, pp. 72-73.
6. Tradizionalmente,”chimurenga” o “bongozozo” è una parola in lingua Shona propria del contesto zimbabwano che significa “lotta” o piuttosto “lotta popolare”. Negli ultimi tempi il significato del vocabolo si è andato estendendo fino a descrivere le lotte per i diritti umani, la dignità politica e la giustizia sociale e perfino uno stile musicale, la Chimurenga music, genere di musica popolare reso famoso dall’artista Thomas Mapfumo. In Sudafrica Chimurenga è il nome di una rivista cartacea“cult” con base a Città del Capo, fondata ed edita dal camerunense Ntone Edjabe, che si basa sugli stessi principi di inter-intradiscipliarietà caratteristici di Kagablog. Della stessa rivista esiste una versione online consultabile al sito: qui.
7. Si veda l’introduzione a d’Abdon (2007), op..cit., pp. 28-36.
8. Si veda http://kaganof.com/kagablog/2008/05...; e: http://kaganof.com/kagablog/2008/06... . Consultati l’08/06/2008.
9. Nel 1996 ci fu uno sciopero di natura per così dire “insurrezionale” alla ora defunta University of Durban-Westville, dove Desai insegnava. Mandela, allora Presidente, nominò una commissione d’inchiesta che raccomandò il licenziamento dei leader dello sciopero, al quale seguì da parte dell’università l’annuncio di licenziamenti di massa che avrebbero distrutto ogni rappresentanza sindacale nel campus. Per evitare ciò Desai e altri accettarono di assumersi ogni responsabilità, si dimisero e accettarono di essere esclusi dall’ateneo. Il divieto contro Desai fu rimosso nel 2003, ma nel 2004 UDW si fuse con la University of Natal/Durban per dare vita alla attuale Universty of Kwa Zulu-Natal, il cui rettore, il filo-mandeliano Prof. Makgoba, a fronte del fatto che Desai aveva fatto domanda di finanziamenti per fare ricerca nel campus, impose all’università di non considerare tale domanda, sostenendo che il licenziamento del 1997 fosse ancora in vigore.
10. Intervista di Cummiskey a Kaganof (v. nota4).
11. Ibid.
12. Ibid.

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