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Il poema di Isidoro (un estratto) - Giuseppe Fonte e la nuova narrazione in versi

di Vincenzo Frungillo

Articolo postato sabato 21 maggio 2011

Isidoro

Isidoro ha le ciabatte di panno e cammina scalza.
Rincorre ogni giorno la novanta di via Tibaldi.
Esce col cappotto liso e il maglione a maglia
della nonna, perché non ce la fa con i saldi

neppure. E oggi aveva le scarpe scucite sotto
e un foro sul di dietro dei calzoni di jeans
blu sbiancati dall’acqua calda, ed era in salotto
quando la vidi la prima volta vestita così.

Ci teneva aggrovigliati a cerchio col sorriso,
e offriva dolci stantii, ma con amore. E vuole

- dice- cambiare casa che l’è caro l’affitto,
ma non la trova col suo sorriso amorevole.

Le ho finito di dipingere casa che era ieri,
e oggi il gatto le ha rassettato gli spazi
bianchi con zampate di terriccio e peli neri.
E dice che se lo becca lo fa tutto a pezzi.

Si scolora quando fa nuvolo nel cielo sempre
grigio, sempre di settimana. E vuole fuggire
dall’Italia, da Milano, dalle parole. E ha tempra
e carattere mitigato dalle fughe, dal partire.

Ama le carezze del sole e vede forme di vita
in forme di cose, che vede con occhi lucenti
ma opachi, che è miope e le duole la schiena,
il collo, la testa, nei giorni che sono più spenti.

Ama l’amore di passioni sfrenate ed è Isidoro
il suo nome, ne ha un altro ma è falso e duro
e stona quando lo ascolta, le sembra un coro
di ombre e menzogne. Le ho dipinto il muro

perché era di arancio pallido e lo voleva vivo.
La vuole un respiro la sua casa, la vuole sua
la sua casa, non d’altri, la vuole sostantivo
e soggetto, per viverci in verso e dire “mia”,

“io”. Le manca un regno per essere e dice “e se”,
come cose che mutano da ieri a ora, un chissà,
ma non vede bene e cambia occhiali e case.
E sarà per sempre un sorriso perché vita lei ha

nei suoi anni dorati. Isidoro va scalza di stanza
in stanza, con la punta per terra, il tallone per aria,
poi le fa male qualcosa, e si tocca in basso la pancia.
Lei sa, capisce, ha la forza, l’amore, ma le manca l’aria.


Oltre la siepe

Non sarà mai questo silenzio,
il lento scorrere delle maree
che non ho mai veduto avvicinarsi.

Né l’ombra sarà, dei lampioni,
adagiata sulla strada di ogni passo;
come fosse vita, la loro, uguale alla mia.

Nemmeno i riflessi, poco prima dell’alba,
che dallo specchio svelano in me
una presenza altra, ombre anch’esse d’attesa.

Non saranno le voci, indifferenti, dei passanti,
la pioggia come formicaio sul tetto,
il non mutare forma delle api.

Tutto questo, né di più la sera
sarà a confermarmi o smentirmi,
a dire che io sono nel mondo.

Me le interminabili ore, che non ricordo
e non ho udito e visto e non ho chiesto;
e nella vita solo questo ho avuto e solo loro,

oltre la coscienza che potendo scorgo,
resteranno appiccicate, intatte, ineguagliate,
oltre i sorrisi e i moti. Oltre quest’ora non ho niente.

Potendo già sapere che sarà domani,
cede l’ombra al primo sole il tanto che di qua concede.
Così sapendo dormo, sedia nel cortile.



Giuseppe Fonte è nato a Vimercate nel 1987. Studia Lettere Moderne a Milano. Nel 2008 ha partecipato al concorso Subway-Letteratura con la poesia “Ultima tratta”, classificandosi secondo. Ha collaborato con l’associazione A.P.E. alla stesura e alla realizzazione di spettacoli-lezione gioco. Attualmente è membro del gruppo Linea 2, con il quale ha realizzato, nel 2009, l’album autoprodotto “Amhardcore”.

Portfolio

Foto Giuseppe Fonte

1 commenti a questo articolo

Il poema di Isidoro (un estratto) - Giuseppe Fonte e la nuova narrazione in versi
2011-05-31 15:39:51|di Pokeronte

Strabello, complimenti al poeta Fonte


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