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Il primo amore

Da sito web a rivista cartacea

Articolo postato domenica 8 luglio 2007

«Se lo scrittore è un inventore, un pensatore e un esploratore», si chiede Antonio Moresco nell’articolo di apertura, «se il suo movimento contiene configurazione, prefigurazione, come può muoversi dentro uno spazio così saturato e immobilizzato? Qual è il suo futuro, se non c’è futuro, se la disperazione è già adesso dentro il futuro?»

A questa disperazione quasi assoluta, il gruppo di scrittori, critici e intellettuali che da qualche tempo ha dato vita a ilprimoamore.org (Sergio Baratto, Carla Benedetti, Benedetta Centovalli, Gabriella Fuschini, Giovanni Giovannetti, Antonio Moresco, Sergio Nelli, Anna Ruchat, Tiziano Scarpa, Andrea Tarabbia, Dario Voltolini: molti i transfughi da Nazione Indiana 1.0, come si vede) ha deciso di rispondere con una nuova rivista cartacea, che di quell’esperienza on-line è prolungamento e arricchimento.

Il primo numero della rivista «Il primo amore» (edito dalla meritoria Effigie di Giovanni Giovannetti e distribuito in libreria) si intitola La rigenerazione, e intende per l’appunto fornire delle ipotesi di manovra per aggirare o meglio per combattere quella disperazione pervasiva di cui si diceva. Darò la parola a Moresco, per sintetizzare gli intenti di questo nuovo progetto editoriale, non senza aver segnalato i contenuti e la struttura di questo primo numero.

La rivista è divisa in quattro sezioni. La prima è tematica e ospita interventi relativi al titolo e al tema del numero. Oltre a La rigenerazione di Moresco, vi si legge un interessante scritto di Carla Benedetti intitolato La coda della lucertola che riflette sulla necessità della «rigenerazione di strutture di giudizio e di sensibilità che sono stare recise, anche dallo stesso pensiero critico», a partire dalla constatazione che di fronte alla sovraesposizione mediatica del dolore e della sofferenza siamo incapaci di risposta, perché quei contenuti vengono sistematicamente privati di qualsiasi forma e possibilità di cordoglio; e poi scritti di Sergio Nelli, Sergio Baratto, Ornella Vorpsi, Dario Voltolini (La rigenerazione dei tessuti) e Gabriella Fuschini.

La seconda sezione si intitola Orbite e ospita contributi creativi (ma sempre collegati all’intento generale dichiarato dall’editoriale): un monologo di Tiziano Scarpa (La custode), le Figurazioni di Lara Terzoli, un monologo walseriano del premio Nobel Elfriede Jelinek (in uscita presso le stesse Edizioni Effigie), le poesie alla madre di Ranier Werner Fassbinder tradotte da Anna Ruchat, un poemetto in quartine di settenari di Gianni D’Elia dedicato a Piergiorgio Welby (La cometa di Welby).

Segue un intermezzo intitolato A voce, dove Andrea Tarabbia conversa con Antonio Moresco, e chiude un’interessante e originale sezione (La fascia di Kuiper) in cui si recensiscono libri usciti da poco, ma anche da molto (qui, ad esempio, Sergio Nelli parla di Rock Springs e di Incendi di Richard Ford, pubblicati rispettivamente in italiano nel 1987 e 1990).

Per finire, «Il primo amore» invita a firmare l’appello per la riapertura del processo Pasolini: cfr. qui.

da Antonio Moresco, La rigenerazione

«Alcune persone, legate tra loro solo da liberi vincoli di comune passione, hanno pensato di dare vita a questa piccola rivista che cercherà di guardare il mondo da una prospettiva più intima e più ampia. Di cosa dovrebbe parlare una nuova rivista nata in questi anni, in una situazione simile? Di competenze specialistiche, estetiche, letterarie…? Che apporto, che contributo possiamo dare? Dovremmo giocare la nostra presenza in relazione o in contrapposizione alle meschine confraternite e delle piccole mafie che intossicano anche il mondo della cultura nel nostro paese, né più né meno di quello politico, economico, sportivo…? Nel Novecento, le riviste che sono nate via via, promosse da scrittori, poeti, intellettuali, pensatori, artisti… si muovevano nel gioco delle cosiddette poetiche, oppure cercavano interazioni con le strutture politiche di intervento. I loro promotori potevano ancora aggrapparsi a qualcuna delle cosiddette utopie e nutrire o fingere di nutrire l’illusione che fosse sufficiente il loro “impegno” per uno spostamento della vita umana all’interno delle strutture sociali e politiche […].
Noi abbiamo pensato di chiamare la nostra rivista, leopardianamente, «Il primo amore», perché, nella condizione in cui siamo, bisogna attingere anche ad altre forze e ad altre possibilità, ancora e sempre latenti dentro di noi, per riuscire a pensare e a immaginare e a sognare qualcosa che abbia la radicalità sentimentale, emotiva e mentale necessaria per tentare di muovere uno spazio immobilizzato. Perché ormai il primo amore è diventato l’ultimo amore, il primo e l’ultimo amore sono diventati l’unica possibilità, una cosa sola. A cosa servirebbe fare oggi l’ennesima rivista che non fosse altro che l’espressione residuale di piccole specializzazioni all’interno di un tessuto politico e culturale depotenziato? Bisogna avere il coraggio di buttare il ferro al fondo, non limitarci a girare attorno alle cose ma affrontarle di petto. Cercheremo via via di fare una rivista così. E allora quale può essere la sua ragione, la sua dignità culturale e umana, quale il nostro contributo se non la presa d’atto, senza scorciatoie e senza consolazioni, della disperata situazione e del passaggio che sta di fronte non solo a noi, al nostro paese, ma anche alla nostra specie, compresa la sua parte scrivente e leggente? Facendola intendere e vedere, sentire in modo inequivocabile, tridimensionale, profondo, per rendere evidente che non c’è altra via d’uscita che l’invenzione di un contromovimento che non accetti di porsi in partenza dentro gli stessi limiti angusti; anche se è ancora tutto da inventare, da reinventare, e bisogna ripensare completamente i fini, le strutture, i mezzi, le forme, per riattivare capacità umane atrofizzate, i corpi e i percorsi psicofisici e mentali tenuti artificialmente separati […].
Per questo, numero dopo numero, andremo a toccare urgenze sotto gli occhi di tutti eppure ignorate, veri e propri tabù che non vengono portati allo scoperto, focalizzando e guardando il mondo che ci circonda attraverso traiettorie negate, rimettendo in moto forze intime e mentali da tempo sopite, insurrezionali».

Portfolio

1 commenti a questo articolo

toccare urgenze
2007-07-09 09:55:13|di Lorenzo Carlucci

ieri sera chiacchieravo con un amico delle differenze tra parlamento italiano e parlamento inglese, dell’arte retorica dei parlamentari inglesi, della retorica del parlamentare italiano, probabilmente derivata dal modello francese: astratta, di principio, ad personam, generalissima.
mi è tornato in mente il discorso leggendo questo passo:

"per riuscire a pensare e a immaginare e a sognare qualcosa che abbia la radicalità sentimentale, emotiva e mentale necessaria per tentare di muovere uno spazio immobilizzato."

e anche altri di Moresco qui sopra riportati. mi è venuto da chiedermi: non saranno scopi e propositi un po’ troppo astratti e troppo vaghi per poter dare buoni frutti? se i "piccoli specialismi" possono probabilmente esser gettati alle ortiche, cosa vale per i "grandi specialismi", e per la "cultura" in generale? è così scontato che l’adamismo sentimentale e millenarista di qui sopra sia davvero l’unica via? è così scontato che sia una via? è possibile partire da un vago sentimento di un problema e da un desiderio astratto di soluzione piuttosto che da idee particolari, limitate, forse piccole, ma "perspicue"?

saluti,

lorenzo


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