Absolute Poetry 2.0
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Inter nos / SS: recensione di Cristina Benussi

("Il Piccolo, febbraio 2008)

Articolo postato lunedì 3 marzo 2008
da Luigi Nacci

Non ho mai postato recensioni ai miei testi, ma faccio un’eccezione per la profonda stima che nutro verso Cristina Benussi (una sua nota bio: qui). Il pezzo a sua firma, uscito su "Il Piccolo" lo scorso 5 febbraio, si riferisce a Inter nos/SS, edito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena in occasione del Premio Delfini 2007.
Un’altra recensione (collettiva) sul volume in questione uscì l’anno scorso a firma di Lello Voce, sull’"Unità", poi su AP.

Tutti i testi si possono leggere anche in rete. Ecco alcuni link (approfitto per ringraziare pubblicamente i gentili ospiti dei blog):

- Avrai poche cose ma quelle le avrai, ovvero la prima parte della trilogia Inter nos, su "Liberinversi" (la versione audio - Avrai poche cose ma - su "Le reti di Dedalus"); la seconda e terza parte su "La dimora del tempo sospeso".
- SS su"Nazione Indiana" (la versione audio del testo d’apertura su AP).

(il disegno in alto, inserito nel libro, è di Marco Colazzo)


Luigi Nacci, la discarica come simbolo della contemporaneità

Cosa può cercare in una raccolta di poesie una giuria in cui compaiono, tra gli altri, Nanni Balestrini, Achille Bonito Oliva, Tommaso Ottonieri, Edoardo Sanguineti, Andrea Cortellessa? Evidentemente nuove immagini della modernità, tasselli da inserire in un mosaico, sempre provvisorio, dell’immaginario simbolico contemporaneo. Non a caso l’edizione 2005 del premio modenese “Antonio Delfini” l’aveva vinta Aldo Nove, giovane cesellatore raffinato e brutale del supermercato, luogo simbolo del vuoto culturale contemporaneo, che impone l’acquisto indiscriminato delle merci più inutili, favorito dall’assenza di una scala di valori su cui commisurare i bisogni reali.
L’ultima edizione del premio ha visto come finalista, Inter nos/ss, di Luigi Nacci, noto a Trieste come saggista, poeta, organizzatore culturale e redattore del blog letterario “Absolute Poetry”.
In questo volumetto illustrato da Marco Colazzo e pubblicato, come per tutti i vincitori, a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Nacci sembra partire da quelle premesse. Ben consapevole di appartenere a una società tendenzialmente priva di memoria critica, e protesa piuttosto alla costruzione di eden artificiali aperti ad una godibilità di massa, riflette sul mutamento antropologico di cui si fa giovane, e dunque ancor più sensibile, testimone.
La civiltà contemporanea sembra essersi disfatta nei suoi presupposti di valore proprio perché è stata organizzata per offrire ai propri utenti modelli unici di vita, omogenei e funzionali ad un mercato globale. Ed è qui, allora, come ci ha insegnato il passato, che il poeta sa di dover intervenire, per individuare alcune possibili vie di fuga.
Molte sono le figure della modernità che Nacci rivisita, dalle ideologie progressiste, ora decomposte, alle merci feticcio che giacciono subito abbandonate per obbedire alla logica dell’industria, anche culturale, che per sopravvivere ha bisogno dell’obsolescenza continua dei suoi prodotti.
Uno dei simboli della contemporaneità individuati da Nacci è allora proprio la discarica, non più luogo separato dalla città, ma parte integrante della metropoli, la sua periferia. Qui si mostrano nella loro immediatezza le nuove modalità conoscitive, legate al corpo più che all’intelletto, e le nuove strategie di potere, violente ed ingorde, incapaci di progettare un futuro: proprio sulla fisicità, sull’odore, infatti, il clochard punta per delimitare la sua zona, o con l’esibizione della forza fisica le gang delimitano il proprio spazio.
Le periferie rappresentano l’incubo della povertà, il segno del fallimento, lo spazio orrido di degrado, simbolo anche di affetti perduti, di progetti falliti, di feticci infranti, luogo dove si accumula spazzatura, tutto il rimosso scandaloso del centro. Qui, paradossalmente, è più facile trovare antenne paraboliche che lavandini funzionanti. Il centro della città, levigato ed inodore luogo del potere occulto, espelle i propri rifiuti verso la puzzolente periferia, un tempo abitata da una minoranza di emarginati che, anche dal punto di vista culturale, ora sta vistosamente diventando maggioranza.
Nella discarica, simbolo più che mai attuale della condizione contemporanea, si stratificano a ritmo sostenuto detriti di cui viene cancellata anche la memoria: su questo schermo Nacci proietta le sue parole, pesanti ed illuminanti, che fustigano i desideri di un’umanità in delirio. Solo a questo punto fa scattare quella che Bachelard chiama la «dimensione poetica» dello spazio, la fantasticheria che esplode nell’attraversare quella immonda distesa reale.
Il testo, cadenzato sui ritmi di un’epica moderna, che fonde sogno e ideologia, citazioni letterarie e odori della discarica, rimette in gioco forze finora insospettate, per avvertire l’altro/a «foglia secca accartocciata che non smette mai di cadere, cadere e cadere ancora». La poesia mostra il pericolo incombente, ma non può fare di più. Se l’altro, il tu, il noi, non arresta la corsa verso l’abisso «non ci sarò io a raccoglierti».

Cristina Benussi

4 commenti a questo articolo

Inter nos / SS: recensione di Cristina Benussi
2008-03-05 19:03:54|di Christian Sinicco

Sai Lorenzo, credo che Luigi sia un ottimo organizzatore del materiale, e le interpretazioni possono essere molte, rimandare a più aspetti. Però credo che l’impianto formale delle opere di Luigi che hai citato (che rimanda alla teleologia intrinseca su cui poggia l’opera-mondo), spicchi di più che non la caratterizzazione grottesca di personaggi che si animano attraverso una visionarietà più libera - il gusto del grottesco, nonostante i personaggi vengano alla fine imprigionati nella stessa discarica, è presente nella poesia di Luigi in modo più evidente negli esordi de la discarica del signor postmoderno. Credo che successivamente Luigi abbia dato più importanza al sistema opera nel suo complesso che alle sue figure particolari.


Inter nos / SS: recensione di Cristina Benussi
2008-03-04 21:45:58|di lorenzo

ciao luigi grazie per la risposta. certo come tu suggerisci sarebbe ottimo se benussi o lorusso spiegassero la cosa dal loro punto di vista. la tua ipotesi mi sembra almeno plausibile. si possono però osservare, mi pare, due cose, che potrebbero suggerire che la ragione della "omissione" (del co^té "grottesco" del tuo lavoro) è da ricercarsi altrove, forse semplicemente in una scelta di inquadramento critico. la prima è che l’esistenza di una tradizione europea dovrebbe essere sufficiente come precedente; la seconda è che esiste una "tradizione" autoctona che va dalla scapigliatura ai crepuscolari etc. che potrebbe essere qui usata indipendentemente dall’espressionismo europeo.

ciao,
lorenzo


Inter nos / SS: recensione di Cristina Benussi
2008-03-03 19:42:49|di luigi



Caro Lorenzo,

muovi un’osservazione interessante, ma sono, credo, l’interlocutore meno opportuno, nel senso che stimo troppo Benussi e Lo Russo per permettermi di pensare al posto loro.

L’unica cosa che mi sento di poter dire, uscendo dal particulare, è che - ma è un’impressione, non l’ho verificata con studi critici ad hoc - nel Novecento italiano manchi una coesa tradizione di poesia espressionista, ottodixiana, murnaufrizlangesca che, se di buona fattura, è naturaliter umoristica alla maniera pirandelliana e caustica alla maniera cergolyana, mitteleuropea (tra i viventi citerei Ivano Ferrari e Ugo Pierri; in parte anche Voce, la cui ultima produzione - l’aveva detto lui stesso su AP tempo fa - mira a fondere assieme Jahier e Brecht, e dico "in parte" perché rispetto a Ferrari e Pierri i suoi testi, secondo me, non hanno come prerogativa fondante il sarcasmo e il grottesco). Mancherebbe, in sostanza, un filone, un solco autoctono utilizzabile dalla critica come linea-guida.


Inter nos / SS: recensione di Cristina Benussi
2008-03-03 13:36:24|di lorenzo

nota estremamente veloce: come m’era parso anche dal testo della Lo Russo in appendice al Poema Disumano, la critica sembra voler sorvolare completamente sulla dimensione grottesca e comica del tuo lavoro Luigi, come mai secondo te? tutto il tuo gusto per il "balocco" e le tue ascendenze govoniane sembrano completamente trascurate. a leggere questo testo uno s’aspetterebbe la "terra desolata" o, che ne so, "fiori in pericolo" di fabi insomma testi - uno enorme e uno piccinino - affatto privi di ironia, di humour. e di malinconia crepuscolare. secondo te perché?

lorenzo


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