Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
(un’overdose, un aborto e un ricovero coatto)
atra latra l’aria l’attesa del mantra degli annegati
s’attende la bruma nella cui trama si celi la brama d’un suicida ulteriore
qual è il tuo nome? l’algebra del bisogno, l’attesa del corpo, la croce e il corpo
non è che campo per forze in transizione qual è il tuo nome? nell’occhio del ciclone
tutto è stasi e quiete e calma s’attende una salma o un lembo di vento
che s’impigli alla caviglia e la scagli
come bestia in loco d’ogne luce muto qual è il tuo nome?
gli venne incontro dai sepolcri un uomo come bestia che mugghia come fa mar per tempesta
la bruma che mai non resta consuma i legni sommersi tra l’odore del mestruo che cola dall’ago alla vena e dalla vena all’ago
risale e consuma una mano e consuma la grigia carne fibrosa e legnosa trasuda bruma ch’essuda
lembi di nebbia avvinghiati a luoghi slogati da cui affiorano frecce e arti equini insieme a teschi umani
e una mano di scimmia appigliata alla vulva s’arrampica all’utero e lo spoglia del feto che cola come bestia
come redo morto tra il mestruo sulla stagnola la bava nera della lumaca che è in testa che mai non resta
ferma ma muta in bruma e avviluppa della folle la figura che urla qual è il tuo nome?
l’abominio della desolazione
quando vedrete l’abominio quando venne il sudore di neve
quando vedrete l’abominio della desolazione stare là dove non conviene
quando vedrete la folle urlare là dove non conviene stare quando vedrete la folle urlare
tu sei un uomo distrutto urlare ma io lo vedo nei tuoi occhi quando vedrete la folle urlare qui (D.S.M.)
ti danno i medicinali per farti dimenticare quel che ti fanno quando vedrete della folle la figura che urla qual è il tuo nome?
mi chiamo legione perché siamo in molti quando la neve cadeva su tutti i vivi, su tutti i morti
entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone
*
(due giovani homeless ungheresi)
chi sei? non lo so chi siete? neanche
notte
notte era notte ed è notte e lo sarà
notte i morti vogliono bere notte la Senna beve
notte in cui la mater la madre tracannata dalla cirrosi epatica
mater è materia è memoria è la storia ed i tabù mater è mater semper certa
magna antiqua mater mater morta mater semper certa pater numquam
il padre sulle chiatte del Danubio pater il senso pater l’autorità padre mio perché mi hai abbandonato?
il padre sotto le chiatte nel Danubio, eretta diruta fallica colonna
una notte salì sul muraglione della Senna
e dai muraglioni del Tevere cadde
in una notte oscura
quando si spense la prima luce per i morti alla terra un bicchiere del nostro vino è dato
in una notte oscura nessuno vi fece caso stando già la mia casa addormentata
in una notte oscura si spense una seconda luce poi una terza se ne spense ed una quarta, blackout
corrono schiacciano travolgono uccidono gli è mancata la luce corrono schiacciano travolgono uccidono
la madre, la madre è morta ma non il figlio del grembo suo quando si accorsero della fragilità della loro luce
il feto continuava a crescere nel grembo della madre morta quando si spensero le ultime luci noi dobbiamo dormire
noi dobbiamo salire al monte ma la tenebra ci impedisce stando già la mia casa addormentata quando gli chiesero chi fosse
disse di non saperlo gli chiesero allora chi fossero e disse
senza di lui mi portano alla casa dei matti
4 commenti a questo articolo
Ivan Schiavone - 2 poesie
2009-02-15 17:24:38|di Amaya
Trovo entrambe le poesie piuttosto interessanti.
La prima mi colpisce di più; al di là dell’effetto eventualmente "shokkante", intento riuscito ma mai primario. Immagini molto efficaci che ritornano,si ripripongono come una condanna ciclica;una clessidra liquida che gocciando scurisce negli anni e che se casualmente cade e si spacca da soprammobile d’infanzia rivela la puzza,di un liquido,vecchio. Che "ha sentore",travalica l’essere ’oggetto da guardare’.
Le tre condizioni-costrizioni;in una c’è scelta(e nessuna ’scelta’ è libera in toto,certo;pur questa è attiva,autodeterminata.La tossicodipendenza e il suicidio-overdose).
Nella seconda lo stesso ma le conseguenze non riguardano solo sè. La terza è la coatio per eccellenza.
Un senso di schifo e fastidio l’immagine del mestruo,copula tra le due "condanne".Linfa purificatrice di un corpo vivo,ma anche veicolo o testimonianza di morte. Reca partecipazione al di là di giudizi etici o senso di pena.
La bruma-la neve, la schiuma spruzzata da una siringa i resti di un piccolo corpo il sudore che tutti ricopre e che alla fine torna davvero Neve,ma coniugata al passato. Non c’è possibilità,salvezza e purezza appartengono forse a chi dall’incontro con la morte sa tornare indietro.
Qualcuno su parlava di Dante;in molti sono scesi nell’Ade,CHI è tornato non è stato più lo stesso.
Il branco si getta dal burrone.
Ma è la legione a "entrare nei porci", a delegare a un’animalità, di branco, e di rozza violenza,la direzione.
Che l’individuo possegga potere salvifico?
"Qual è il tuo nome?"
Non dimenticarlo è un monito che riecheggia sempre più forte nelle contemporaneità di chi ravvisa dolore nel non essere presenti a se stessi.
E Ivan ce lo ricorda direi con capacità.
Una domanda: la scelta dell’esplicitare a monte le tre condizioni da che è dettata?
Pensi sia un’aiuto per comprendere il senso, e se si, lo trovi davvero necessario?
Grazie! ^_^
Ivan Schiavone - 2 poesie
2009-02-15 14:36:28|di verticat
non credo che occorra indovinare la situazione esatta dei personaggi delle tre apparizioni, quando è lo stesso autore a dircelo. un’overdose, un aborto e un ricovero coatto, appunto. potrebbero essere - questo sì! - e sono, anime dannate che non hanno neppure più diritto a un nome, a un’identità, come avveniva in dante. la loro troppo contemporanea storia, ma antica di desolazione, è stata già macinata, denutrita, accarezzata da mani altrui. già, perchè il corpo non esiste più come luogo di ripetizione dell’identico, ma è ridotto a un braccio, una mano, un utero. in dante la legge del contrappasso colpiva l’uomo nella sua interezza, ora non è più possibile. precipiteranno tutti nel burrone, anche gli homeless successivi, senza aver diritto a una storia, che è sempre quella altrui, magari vista di notte, dalla finestra di uno che non sei mai tu. oggi è una madre che muore. o vive, senza alcun motivo.
Ivan Schiavone - 2 poesie
2009-02-14 20:11:11|di Iulo
Tre apparizioni:
La prima poesia è, a mio avviso, una sorta di cane a tre teste, un Cerbero che “latra l’attesa del mantra degli annegati”. Chi sono dunque questi annegati? Sono i suicidi della vena, coloro che attendono nel vortice senza vento ( perché l’occhio del ciclone è il vuoto di dolore, la calma piatta che il liquido mortale infonde ai sofferenti prima delle convulsioni ). Più ancora della quiete e della calma si attende una salma, ovvero un riconoscimento, il riconoscimento di un corpo e di un’identità. Da qui la domanda che torna ossessiva: qual è il tuo nome? Nel vuoto annientamento degli eroinomani ( ma qui può non trattarsi a mio avviso di un senso puramente letterale. Il poeta potrebbe riferirsi all’overdose di vita, al caos mondano dai cui cerca di sfuggire nell’occhio silenzioso del ciclone, nella sua anima annegata ) c’è un bisogno d’essere riconosciuti dal mondo, che il loro dolore venga riconosciuto. Ed il suicidio per overdose è un atto dimostrativo che mette in evidenza questa fede dolorosa: riconosci il mio dolore e quindi riconoscimi come essere umano sofferente.
Segue, al carnaio umano dei corpi degli annegati, alla bruma che cancella la realtà dolorosa ( la droga ), l’apparizione dell’aborto che altro non è, secondo me, se un’allucinazione cupa, un sogno, un cupo incubo in cui si fondono corpi umani ed animaleschi, l’ago per iniettarsi la dose ecc... In un aria dantesca, tetra, in questo luogo “d’ogne luce muto” ( una sorta di limbo senza Dio ) il lamento che viene incontro al poeta e che lui riporta è quello d’un uomo che “mugghia come fa mar per tempesta”. Dopo la buriana che annuncia il mantra degli annegati torna l’elemento del vento, quasi un lamento umano, carnale. All’interno di quella che sembra un’allucinazione in preda agli spasmi d’astinenza si mischiano elementi reali come l’ago che cola sangue, ad elementi da incubo nero. Qui il corpo emerge nella sua viscerale prepotenza, un corpo disumanizzato che è tutto un guizzo di dolore animalesco, deforme. Il dolore umano è cieco, come quello d’una bestia e gli arti diventano gli arti d’un cavallo ( avete presente il terrore che agita un cavallo imbizzarrito, il folle dolore di quegli occhi? ). La creatura che emerge da questa disgregazione umana è in parte animalesca ed in parte umana.
Nella terza parte c’è una strana eco, come un ritorno nelle orecchie del condannato scampato dalle mani dell’abominio ( ancora la droga o qualcos’altro? Forse il male moderno, la solitudine che spinge a bucarsi le vene ): “quando vedrete l’abominio della desolazione stare là dove non conviene… della folle la figura che urla qual è il tuo nome?”. Tuttavia potrebbe trattarsi di un elemento slegato. Su quella che io individuo come terza parte non riesco ad azzardare molto dato che mi appare come la parte più oscura, anche se la ritengo paradossalmente la più affascinante. Azzardo brevemente alcune ideuzze che possono suonare ridicole sul terzo “corpo”, ma proverò ugualmente a dare una mia interpretazione. Potrebbe trattarsi del ricovero coatto di un tossico. I farmaci che gli vengo somministrati ( metadone, psicofarmaci ecc…) non sono che nuove droghe che servono a far dimenticare all’uomo quello che gli hanno fatto, a calare davanti al suo volto un nuovo sipario ( ecco la bruma che torna ); la folle che urla potrebbe essere la sua coscienza che come in un rigurgito torna a galla e lo tempesta di rimorsi: “sei un uomo distrutto”, “ti danno i medicinali per farti dimenticare quel che ti fanno”. Non azzardo oltre perché la chiusa mi risulta davvero oscura.
Spero di non essere andato troppo fuori tema. Le idee che porto possono essere del tutto sbagliate, ma spero per lo meno che servano come spunto.
Giulio
Commenta questo articolo
Ivan Schiavone - 2 poesie
2009-02-16 00:10:46|di Iulo
Ovviamente io non indovinavo nulla, mi limitavo piuttosto ad "indovinare sulla traccia" offerta dal poeta. Quando dico che potrebbe trattarsi del ricovero d’un tossico non intendo intuire quanto dato già per noto dallo stesso autore, mi limito ad intuire la seconda parte della frase, ovvero "del tossico". Per il resto non mi limito a ripetre il già detto, ma a leggere attraverso e a tentare dei prolungamenti di senso. Grazie ^^
Giulio