Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Juan Carlos Abril è nato nel 1974 a Los Villares, provincia di Jaén. E’ laureato in Filologia Spagnola, Teoria della Letteratura e Letterature Comparate, e Filologia Romanza; attualmente è ricercatore presso il Dipartimento di Letteratura Spagnola dell’Università di Granada. Ha vissuto due anni a Exeter, in Inghilterra. Ha vinto il Premio Federico García Lorca nel 1996 con Un intruso nos somete (Un intruso ci sottomette), e nel 2000 è stato finalista al Premio Adonáis con El laberinto azul (Il labirinto blu). Il suo terzo libro si intitola Crisis (Crisi, 2007). Ha tradotto, con Stéphanie Ameri, opere di Pier Paolo Pasolini, Henri Michaux e Filippo Tommaso Marinetti. E’ presente in molte antologie (l’ultima apparizione è in Deshabitados, antologia di poesia emergente della collana Maillot Amarillo) e riviste, anche come saggista. Dirige la rivista" Paraíso".
*
post precedenti:
I - János Pilinszky (Ungheria)
II - Viktor Kubati (Albania)
III - Slavko Mihalić (Croazia)
IV - Mircea Dinescu (Romania)
V - Rade Šerbedžija (Croazia)
VI - Alfred Lichtenstein (Germania)
VII - Marcello Potocco (Slovenia)
VIII - Stanka Hrastelj (Slovenia)
IX - Pablo García Casado (Spagna)
X - Gonzalo Escarpa (Spagna)
INCONTRO
Sei stata tu, forse il nostro disordine,
forse le dita libere,
il loro movimento ansioso che interroga,
che chiede alle mani
e percorre le linee
dell’ultimo desiderio quando ti svegli,
o forse sono stato io,
con la lingua sull’orlo della notte.
Cammini di piacere quando albeggi
e due corpi si parlano
e raccontano la loro fortuna
e incrociano la passione come uno solo.
Il resto della carne si incatena
alle abili gambe e alle braccia,
per affondare nel mondo e possedere
come un’oscura bocca
che lo ingoia tutto, e ci trascina.
Se qualche volta ti cerco o sei tu
a cercare me, e ci incontriamo.
*
ALBEGGIA
Universo carnale, la primavera,
con resina nelle dita, appiccicosa
dopo aver abbracciato l’albero e nel palmo
la corteccia infilzata,
la sua debole oppressione che ti ridesta
con un tocco rossiccio, e negli occhi
velati di tristezza, il divieto
che ti riscopre il centro
del cuore tenero.
Quale fu la mia volontà
se non quella di arrampicarmi sugli alberi,
raggiungere la cima
e guardare di notte le stelle
che brillano silenziose?
Si è svegliato il mondo, ormai albeggia
e senza la tua volontà si è stordito,
infinita pigrizia, solitudine
infinita della nostra primavera,
che gioiosa esala questa minaccia,
questa malinconia.
*
ATTRIBUZIONE
Io sono una bandiera.
In questa torre
nasce la proiezione dei poemi
e diventa verità ciò che pestiamo
come un orbe indifeso, del quale siamo
il futuro attraverso la speranza,
o il suo tatto ed il tuo, doppio dio
che è uno, come il pane
che condividono i corpi, la battaglia
dell’amore, della carne.
A tutti appartiene
questa natura, ma a nessuno
dalla possessione
del mondo e delle cose.
Non fu mio l’ardore senza condizioni,
il suo contatto finale?
Che rimase della vita
fugace ed adolescente, se uscendo
da un’altra nuova bugia travestita,
mi riconosco ancora,
uno solo e diverso?
Nessuno domina
da un’elevazione che minaccia le vertigini.
*
SPAZIO
Arrivi da qualsiasi luogo
e, scelto a caso,
senza mappe, senza segnali,
l’altro lato nasconde la sorpresa
felice e blu.
Allora permane la rottura
intatta. Allora fuori o dentro impedisce
la sua diffusione.
Il viaggio porta un ordine in catena,
un movimento ansioso che ripete
la sua dispersa memoria:
ormai nessuno ci indica che l’errore
sconosciuto o il suo segreto
serva rubato ed oppresso,
tempo arenoso che se ne va.
Tutto sta per essere abbandonato.
*
ELEGIA
La notte è lo scudo
che abbraccia il suo sguardo,
la terra che circonda
dal rischio alla tomba.
Albeggia ormai
nella locanda della scogliera
dove pende una lanterna
e una scritta che geme nelle tormente
infernali d’inverno.
Qui vibra il dominio della spada,
mano che impugna il suo destino
libero e che attraversa
il territorio della dignità.
Io prometto
la terra dei sogni,
lontana dalle leggi degli uomini
che adesso contempliamo.
Voce inerte,
vento, nostalgia. Non ti morderanno
i cani convocati che inseguono
l’odore di una morte fuggitiva,
ne cederanno la fame, i piedi sempre stanchi,
la persistenza del dolore.
Io so
che questo orizzonte purpureo raggiunge,
come fuoco e presagio,
l’impronta insopportabile della collera,
la luce della speranza.
(i primi quattro testi sono tratti da El laberinto azul; tutte le traduzioni dallo spagnolo sono di Stéphanie Ameri)
*
Una poética del espacio
Últimamente considero que es mucho más importante el espacio que el tiempo en un poema, porque el espacio, de un modo u otro, abarca al tiempo, o quizá simplemente porque durante varias décadas la poesía de carácter temporal ha predominado sobre la espacial, o, incluso más, porque el tiempo es una de las determinaciones del logocentrismo monológico occidental que tanto detesto. No es una cuestión de forma sino de estructura, no una cuestión de semántica sino de sintaxis. Y esos bucles de la vida cotidiana, que son el lugar donde reside la poesía, lo que en realidad están creando son espacios paralelos, refugios donde resguardarse, claro, ya provistos de tiempo y de todas las coordenadas necesarias para formar el efecto de ilusión. Pero no siempre funciona, en este sentido, el efecto espacio-tiempo. En los sueños, sin llegar a ser surrealismo de lo que hablo, se ve claro: son espacios que conviven, y el tiempo, si acaso, es simultáneo, es una especie de no-tiempo. El eje cronotópico es un método estupendo para desenmascarar las coordenadas en las que se desenvuelve el antropocentrismo, en el que nos desenvolvemos, un paso importante en el análisis de nuestra sociedad, pero la verdadera ciencia es la topografía, y debemos mirar a través de los ojos de una estación total. La ciencia, sin embargo, también es insuficiente para explicar la poesía. La ciencia es sólo una aproximación al contenido, la poesía su continente.
Para entender esos trasvases de lo cotidiano a nuestro mundo personal y subjetivo sólo podemos recurrir a un proceso de racionalización profundo en el que se pongan en juego esos mismos mecanismos de racionalización, es decir las herramientas con las que trabajamos. Cuestionar nuestro método. No contemplar a la abeja y a la flor como entidades diferentes y pertenecientes a diversos ámbitos, sino colegirlos unidos, alimentándose mutuamente. Y el día a día pone en contacto estructuras mucho más complejas de lo que pensamos: nosotros mismos, nuestras relaciones sociales, la cultura… Así, la ironía, la comunicación intersubjetiva, el conocimiento intrasubjetivo y las necesidades expresivas, privadas o colectivas, hacen el resto. Un poeta debe indagar, creo, en su propia voz, no convertirse en alguien previsible. Un poema es un estado de ánimo, pero los estados de ánimo dependen de la historia. Los sentimientos también son históricos y asimismo nosotros somos seres históricos, seres sígnicos No sólo hay que tener en cuenta la poesía de la experiencia sino la experiencia de la poesía. La buena poesía no se debe a escuelas ni a corrientes ni a estilos.
Juan Carlos Abril
Commenta questo articolo