Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Così come per la poesia triestina, vorrei periodicamente dar conto di alcuni poeti stranieri contemporanei (in particolare del Centro e Est Europa).
Ho deciso di iniziare da una delle voci più originali della poesia ungherese: János Pilinszky (1912-1981). La sua visione del mondo (è stato da molti inserito nel filone della poesia esistenzialista del suo paese) deve molto alla tragica esperienza fatta nel campo di Mauthausen (a quell’evento è legata una sua nota opera). Cattolico, redattore della rivista “L’Uomo Nuovo”, influenzato dal pensiero - tra gli altri - di Simone Weil, è stato inviso al regime comunista ungherese. Ha pubblicato 13 libri (più 3 postumi).
In italiano: Poesie, a cura di E. Molteni, Bologna, CSEO, 1983.
In francese: Poemes choisis, traduzione di Lorand Gaspar con la collaborazione di Sarah Clair, Paris, Gallimard, 1982; Kz-oratorio et autres pieces, traduzione di Lorand Gaspar con la collaborazione di Sarah Clair, Paris, Obsidiane, 1983.
In inglese 4 poesie qui.
In spagnolo 6 poesie qui.
Mentre qui una (fugace) comparazione tra Pilinszky e Montale.
***
Propongo due testi. Le traduzioni dall’ungherese sono mie.
IL DESERTO DELL’AMORE (A szerelem sivataga)
Un ponte, una strada bollente
col sole si svuota le tasche,
tutto quanto mette in vetrina.
Nel tramonto catatonico, sei, solo.
Il paesaggio, fondo crespo di fossa;
cicatrici roventi nella tenebra, abbagliante.
Tramonta. Agghiaccia il brillio,
acceca il sole. Non scorderò mai, siamo in estate.
Siamo in estate e il caldo sfolgora.
Fissi stanno gli uccelli, lo so, nemmeno un’ala sbatte,
come cherubini, ardenti,
nelle gabbie, scheggiate.
Ricordi ancora? Per primo fu il vento;
poi la terra; la gabbia.
Fuoco e sterco. A volte
un paio di battiti d’ali, un paio di vuoti, riflessi.
Sete. Allora chiesi da bere.
Sento ancora i sorsi febbrili,
sopporto impotente, come la pietra,
spengo i bagliori.
Passano gli anni, la speranza -
come gavetta, tra la paglia.
***
QUARTINA (Négysoros)
Assopiti chiodi in sabbia gelida.
Notti fradicie in solitudine da poster.
Hai lasciato in corridoio la luce accesa.
Oggi spando il mio sangue.
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