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L’ABBRACCIO DELLA LINGUA. Intervista a Jamie McKendrick

di Enzo Mansueto

Articolo postato martedì 30 novembre 2010

L’ABBRACCIO DELLA LINGUA
Intervista a Jamie McKendrick


Jamie McKendrick è uno dei più interessanti poeti inglesi viventi. Nato a Liverpool nel 1955, ha studiato presso l’università di Nottingham e insegnato, da madrelingua, presso l’università di Salerno, dove ha approfondito la propria non comune, per il mondo anglosassone, conoscenza della poesia italiana contemporanea.
Alla raccolta d’esordio del 1991, The Sirocco Room, edita dalla Oxford University Press, sono seguite altre quattro raccolte, con l’approdo alla prestigiosa casa editrice Faber & Faber di Londra, e numerosi riconoscimenti.
Dell’importante lavoro poetico di McKendrick, già premiato come una delle voci più significative della sua generazione e tradotto in più lingue (in Italia, da Luca Guerneri, col contributo di Antonella Anedda, nell’antologia personale Chiodi di cielo, Donzelli, Roma 2003), ci occuperemo in una prossima occasione.
Qui, focalizziamo invece la nostra attenzione sull’importante attività di traduzione in lingua inglese della poesia italiana contemporanea: un lavoro che colma una lacuna in una cultura che, ad oggi, ha stentatamente recepito la produzione lirica nostrana del primo Novecento e che, ad esclusione forse dell’ultimo Montale e di Pasolini, e poche altre eccezioni, non ha accolto diffusamente le produzioni del nostro secondo Novecento e, tanto meno, della più estrema contemporaneità.
La cura, da parte di Jamie McKendrick, del volume The Faber Book of 20th-Century Italian Poems (Faber & Faber, London 2004) ha fornito dunque un contributo importante, autorevole e popolare, alla circolazione in lingua inglese della nostra poesia, non limitandosi al canone primonovecentesco, oramai storicizzato, coi D’Annunzio, i Gozzano, i Marinetti, i Saba, ma arrivando a proporre al lettore inglese Franco Buffoni, Biancamaria Frabotta, Patrizia Cavalli, Andrea Gibellini e altre voci poetiche recenti.
Tra tutti, un particolare riguardo ha riservato, con la cura personale della traduzione, a Valerio Magrelli, poeta italiano col quale Jamie McKendrick ha maturato negli anni una consuetudine personale e letteraria che, culminata nella pubblicazione dell’antologia di traduzioni, The Embrace – Selected Poems (Faber & Faber, London 2009), è valsa quest’anno al traduttore il prestigioso premio britannico Weidenfeld Translation Prize. L’antologia è reperibile anche in edizione americana, rilegata, in bella grafica e con testo a fronte, dal titolo Vanishing Points (Farrar Straus Giroux, New York 2010).
Abbiamo intervistato Jamie McKendrick, mentre sta lavorando alla traduzione delle poesie di Antonella Anedda e di altri italiani, soffermandoci curiosi sul tavolino del traduttore.

Qual è attualmente la circolazione della poesia italiana contemporanea in area anglosassone?
«Direi alquanto limitata. Però, si può dire più o meno la stessa cosa della poesia in generale. Non è che ci sia un pregiudizio particolare nei confronti di quella italiana. Per quanto riguarda i numeri, l’antologia italiana che ho curato, The Faber Book of 20th-Century Italian Poems, ha venduto duemila copie in cinque anni circa. Non una quantità vergognosa per un qualsiasi libro di poesie di un autore singolo... Ma forse dalle antologie tematiche o nazionali ci si potrebbe aspettare qualcosa di più!».
In base a quali criteri sceglie i poeti da tradurre?
«Esclusivamente secondo gusto, ammirazione, interesse e, qualche volta, per sfida. Dato che ci mancano (con poche eccezioni) le commissioni, non esistono altri criteri, per quanto mi riguarda. Per l’antologia italiana, comunque, ho anche tradotto alcune poesie che non rispecchiavano propriamente il mio gusto, ma che mi sembravano rilevanti, rappresentative in qualche modo, o culturalmente significanti, per la proposta editoriale in oggetto».
In generale, qual è la maggiore difficoltà nella traduzione dall’italiano all’inglese letterario?
«Le difficoltà che vedo appartengono più al linguaggio di un poeta particolare che dal traffico tra le due lingue. O forse, sì, c’è una difficoltà, che ha a che fare con l’astrazione a cui l’italiano mi pare più propenso, rispetto all’inglese. Un verso italiano può essere tradotto in inglese, usando gli stessi termini di radice latina: ma in inglese diventa un verso inerte, eccessivamente polisillabico o scolastico. Perciò, il traduttore deve cercare espedienti, vie di fuga. Non voglio dire che l’astrazione, come un linguaggio concettuale, siano impossibili in inglese (abbiamo la poesia “metafisica” di Donne e molti altri esempi a confutare un’idea del genere), ma sto parlando qui di tendenze».
Come è nato l’incontro con l’opera e la persona di Valerio Magrelli?
«Come spiego nell’introduzione di The Embrace, la prima poesia di Valerio Magrelli che ho provato a tradurre, più di dodici anni fa, era L’abbraccio, che mi ha impressionato fortemente, e mi sembrava che la traduzione fosse abbastanza riuscita. Un anno più tardi, cercai di tradurne un’altra, Amo i gesti indecisi..., che ho reso dandole il titolo The Tic, prendendomi questa volta più licenze, ma sempre nella speranza di restare fedele all’essenza del testo. Dopo queste prime traduzioni, il lavoro è andato avanti – sporadico, lento, ma con crescente intensità – attraverso gli anni. I primi incontri, allora, furono – diciamo – fortuiti, opportunistici, occasionali. Ma gradualmente il processo diventava sempre più un impegno, un impegno felice! Ho quindi avuto la fortuna di conoscere il poeta, tra molte collaborazioni e letture durante questo periodo».
Pensa che l’analiticità concettuale del mondo poetico di Valerio Magrelli si presti particolarmente alla traduzione in inglese?
«È una buona domanda, che mi riporta un po’ a quanto detto prima. Direi che questo elemento “analitico”, per le ragioni che dicevo, resiste meglio nella traduzione in inglese. Ammiro in Magrelli questa capacità del pensiero poetico di esplorare i processi e le torsioni del proprio stesso pensare, ma qualche volta incontro difficoltà a escogitare un modo per preservarla in inglese. Comunque, queste poesie spesso offrono immagini forti, accurate e sconvolgenti per incarnare il pensiero, e questa capacità è certamente traducibile».
Come si comporta il traduttore nei confronti dei giochi linguistici, etimologici, analogici tanto presenti nella poesia di Magrelli?
«Spero che si comporti bene! Certo, questa è una bella sfida nella poesia di Magrelli. Chiaramente, in traduzione, e ciò vale non solo per Magrelli, ovviamente, c’è il rischio di perdere elementi che sono centrali nello svolgimento di una poesia: i giochi di parole. Ogni gioco presenta un problema a sé! Però, anche in ciò sta il gusto, è una delle gioie del processo di traduzione: la ricerca di una soluzione adeguata e viva».
Il fatto che Magrelli sia anche un traduttore raffinato e professionale ha aumentato il senso di responsabilità del suo stesso traduttore?
«Non conoscendo bene il suo lavoro come traduttore, non ho dovuto assumere questa responsabilità. All’inizio e alla fine, la responsabilità del traduttore è nei confronti dell’opera e non della persona. Chissà, l’esperienza di Magrelli con la traduzione l’avrà reso più tollerante e pietoso verso i fallimenti e i problemi provenienti del mestiere!».
Quali altri dei poeti italiani delle ultime generazioni la hanno interessata e le piacerebbe proporre ai lettori inglesi?
«Di recente, mi sono occupato molto delle poesie di Antonella Anedda. Ho cominciato a tradurre le sue poesie molti anni fa, e il mio interesse per l’opera è cresciuto col tempo. Ormai ne ho quasi una raccolta, quasi un libro, prossimo alla pubblicazione. Rifletto con questi esempi, di Magrelli e Anedda, su quanto sia lento il processo del tradurre. Ma la lentezza può salvare... Per continuare a risponderle, ho appena tradotto Affabulazione di Pier Paolo Pasolini, che sarà rappresentata in un nuovo teatro a Londra fra pochi giorni, e, nelle ultime settimane, stavo lavorando ad alcune poesie brevi di Leonardo Sinisgalli. Mi piacerebbe proseguire».
Passando dall’altra parte: come reagisce McKendrick poeta alle traduzioni italiane dei suoi versi?
«Con gratitudine, è chiaro! Per il libro Chiodi di cielo c’è stato il piacere, inoltre, dell’opportunità di conferire e di discutere sulle traduzioni con Luca Guerneri, e anche con Antonella Anedda, che ha offerto alcune versioni. È come vedere la faccia opposta della luna, il dritto! Strano anche osservare le cose a cui si tiene fortemente, o meno, in una poesia propria – le idee e le frasi che non si possono abbandonare e quelle invece che sono – odio ammetterlo – meno essenziali. Qualche volta, un po’ di sacrificio ci vuole, perchè un verso in inglese di solito si trasforma in un verso molto più estensivo in italiano. E poi, è anche bello scaricare la responsabilità ultima sugli altri!».

Enzo Mansueto

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2 commenti a questo articolo

L’ABBRACCIO DELLA LINGUA. Intervista a Jamie McKendrick
2014-03-24 00:42:24|di Armando, il Faust

Penso che qui si pompi l’aria...ma che caricatura di poeta costruisce il buon Mansueto...Chi è McKendrick me lo chiedo anche io. Ho cercato sul web, e ho letto una traduzione di Antonella Anedda dei suoi versi, pessima. Nemmeno la si può chiamare poesia. Anedda farebbe meglio a non tradurre. Questi qua si esaltano a vicenda su qualcosa che producono - in traduzione - che è francamente molto mediocre.


L’ABBRACCIO DELLA LINGUA. Intervista a Jamie McKendrick
2012-08-09 05:25:09|di Salvatore Aiello

Mah, tutti poeti più o meno mediocri, quelli citati: ma chi sono!? E pure McKendrick, chi è? Salvatore.


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