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L’ITALIA “SENZA SCRITTORI” DI ANDREA CORTELLESSA - (Esiste ancora un altro modo di fare e pensare la letteratura?)

di Salvatore Ritrovato

Articolo postato venerdì 7 gennaio 2011

Un documentario scomodo si aggira per l’Italia. Si intitola Senza scrittori, ed è stato realizzato da Andrea Cortellessa e Luca Archibugi. Di che cosa parla? Parla della narrativa e dei suoi rapporti con il mondo dell’editoria, della distribuzione e delle librerie, e pone una questione cruciale per la letteratura: è “letteratura” i libri che scalano le classifiche e che vediamo impilati all’ingresso delle librerie di catena? Finora questo documentario non ha ancora trovato un editore; in compenso, è stato presentato e discusso in diverse città.

No, non è letteratura quella che viene sventolata nelle classifiche, nei premi, nei salotti. Merce, sì, ma non è letteratura. A meno che per letteratura non si intenda altro. Cosa che l’inchiesta di Cortellessa è intesa a confutare, smontando gradualmente, inesorabilmente, il prodotto-libro nei quattro “gironi” della vanità (“Il falò delle vanità”, “La fabbrica della vanità”, “Il mercato della vanità”, “La fiera della vanità”), e avanzando alla fine una proposta provocatoria, che a qualcuno parrà discutibile, e comunque è suggestiva (“Verso l’uscita”).

Dopo un breve ed emblematico prologo landolfiano, ispirato a Se non la realtà, e in particolare al risvolto di copertina dell’edizione originale che annunciava al lettore la volontà dell’autore di rinunciare a uno spazio autopromozionale (altri tempi!), il documentario parte dalla ormai celebre serata della premiazione dello Strega 2009, dove Tiziano Scarpa supera di un voto Antonio Scurati (119 a 118), con un libro che aveva però destato qualche polemica per la sua somiglianza con un romanzo di molti anni fa di Anna Banti. Il problema non è la qualità del libro di Scarpa, né la trasparenza della votazione, ma la selezione dei titoli da votare: un tempo i romanzi venivano selezionati direttamente dai lettori, oggi sono imposti dagli editori. (Il che ricorda molto la legge elettorale oggi in vigore, in cui l’elettore non sceglie direttamente il suo candidato ma è costretto a votare quello che la coalizione ha già scelto per lui.) In altre parole, quelli che durante il premio Strega vengono spacciati come i migliori romanzi non sono l’espressione più o meno concorde, discutibile ma sincera, di una élite di lettori, ma il prodotto di una precisa politica fra le grandi case editrici.

Non si poteva scegliere scenario migliore per far cominciare il ‘teatrino’ letterario contemporaneo. Ognuno dei convitati recita la sua parte: dallo scrittore di successo alle femmes savantes, dallo spietato direttore amministrativo al critico ironico e raffinato.

Come Diogene, Cortellessa si muove con una lanterna nel buio contemporaneo, alla ricerca di veri scrittori. Decide allora di stanarli direttamente nel loro luogo di produzione: in casa editrice. Tappa obbligatoria: Segrate, sede della Mondadori. Qui, “stavvi Minos orribilmente e ringhia…”: cioè, qui si decidono le sorti della letteratura contemporanea. In che modo? Stabilendo quali libri gli italiani troveranno in libreria, nelle cartolibrerie, nei centri commerciali, negli autogrill, ecc. Non nel senso che un pool di lettori esperti valuta indefessamente tutto quanto viene spedito e alla fine sentenzia chi merita e chi non merita di vedere la luce (impresa impossibile…); ma nel senso che si decreta quante copie deve avere quel romanzo sulla cui sicura vendibilità si punta. Negli anni Sessanta, i manoscritti che arrivavano alla Mondadori venivano letti anche due o tre volte, e qualcuno alla fine gentilmente si prendeva la briga di rispondere ai rispettivi autori. Oggi il materiale è tanto e tale che può essere appena compulsato, prima di finire negli archivi. Perché sia pubblicato un manoscritto deve magari avere una spintarella e presentarsi con una scaletta appetibile di argomenti attuali (giallo, noir, sesso, splatter trash ecc.), che gli editor possono in qualche modo manipolare, adeguandolo al target delle diverse fasce di pubblico. Lasimilitudine fra i libri e i diversi tipi di yogurt – da quelli magri a quelli grassi, da quelli con frutta a quelli biologici ecc. – è calzante.

Non esistono “valori” con cui leggere e valutare i manoscritti; o meglio, l’unico valore reale è la vendibilità, che non esclude tuttavia la qualità, ma non l’ammette come prerequisito della ricerca: chi pubblicherebbe oggi l’Ulisse di Joyce? Il direttore della più importante casa editrice italiana non è preoccupato se è diventato difficile distinguere fra alta e bassa letteratura: anzi, giudica la confusione “divertente”.
E divertente lo è, se il problema non è stabilire se un romanzo vale o meno, ma quale sarà la sua tiratura, quanto venderà. Maggiore è la visibilità in televisione di chi firma quel romanzo, più solidi saranno gli agganci con il mondo del cinema, o della fiction televisiva, maggiore sarà la tiratura.

Ed eccoci nel “mercato”. Che cosa succede a livello di distribuzione e di vendita? Le questioni toccate sono diverse. Una questione, però, svela il punto nevralgico dell’attuale sistema: l’aumento degli sconti sul prezzo di copertina divide il mondo dell’editoria fra coloro che possono permettersi, grazie alla forza della distribuzione e al controllo delle librerie di catena o dei megastore, un maggiore sconto, e coloro che invece rischiano di chiudere, piccoli e medi editori abbandonati dai distributori, privi di importanti sbocchi sul mercato librario. L’avviamento alla monopolizzazione del mercato, sia nella distribuzione sia nella vendita, compromette la così detta “bibliodiversità” della letteratura. Nelle librerie di catena, per esempio, risulta sempre più difficile ordinare un libro di dieci anni fa: la sua eventuale richiesta costringe a fare un ordine che non porta a grandi profitti, ma solo a una lunga attesa (per il lettore)… Non di rado, il libro viene spacciato per indisponibile. Un programma del computer, intanto, segnala tutti i libri che – si dice in gergo – ‘non si muovono’, e che per questo possono essere rimandati in magazzino, e poi avviati alla macerazione. In vetrina intanto finiscono i libri presenti nei primi posti delle classifiche di vendita, esposte all’entrata per ‘guidare’ surrettiziamente il lettore all’acquisto del libro (di quel libro più venduto, che piace alla massa ecc.); diversamente dalle vetrine delle librerie indipendenti, in cui il libraio espone i titoli che sa possono attrarre i suoi clienti abituali, con i quali egli dialoga, del quale conosce i gusti, gli interessi, le passioni.
Nelle librerie giungono quotidianamente centinaia di nuovi titoli (senza contare le ristampe),ed è necessario ‘ottimizzare’ le scelte. A ciò pensano i distributori che si incaricano di puntare su alcuni titoli principali (Moccia, Baricco, Veronesi ecc., per fare qualche esempio), cui vengono concessi mesi di soggiorno in libreria, e spazi in vetrina e sui banconi vicini alla cassa; a seconda dell’argomento, altri titoli compaiono fuggevolmente, con i giorni contati. Il lettore interessato li richiederà.
Tale politica non è un modo per difendersi dalla sovrapproduzione editoriale, ma per selezionarla e, purtroppo, impoverirla. I libri che soggiornano più a lungo in libreria sono in genere quell proposti dalle grandi case editrici, e che si appoggiano, per la diffusione, ai grandi distributori. È difficile che un piccolo o medio editore possa contendere il primato a un grande, e batterlo inopinatamente.
Le ripercussioni sui cataloghi si fanno sentire. Le collane più deboli si alleggeriscono di titoli, addirittura chiudono. I classici trovano difficoltà a inserirsi, e si fossilizzano intorno a pochi titoli. Nascono invece nuovi generi, come quello del saggio di tuttologia, firmato da qualche volto noto di intellettuale reclutato dalla televisione.

La poesia è la vera cenerentola: l’unico autore contemporaneo che vende è Alda Merini, grazie a qualche breve apparizione televisiva è diventata una sorta di icona. Ma è molto probabile che, se un personaggio del Grande Fratello pubblicasse le sue poesie, venderebbe di più della Merini. Non è esagerato dire che i condizionamenti della società dello spettacolo sulla produzione editoriale si traducono in una sostanziale mancanza di libertà della letteratura, che è poi un ennesimo indizio del deficit di libertà della stampa che oggi mina il mondo della comunicazione.

Nel tentativo di illudere i suoi lettori che la letteratura esista indipendentemente da questi scenari, e sia puro frutto di ricerca, studio di un’anima, e così via, vengono
organizzate le fiere. Ma attenzione: dal Salone del libro di Torino al Festival della Letteratura di Mantova, pare che al centro non sia la letteratura, bensì il lettore: cioè, il lettore in quanto, soprattutto, “cliente”, atteso e accolto con cordiale simpatia, appetente e appetibile, il quale incontra i suoi autori (si tratti di Derek Walcott o di Margaret Mazzantini), diventa sostenitore di tale o tal altra, consumatore abituale di un certo gusto editorial-letterario. Se resta vero che la letteratura è prima di ogni cosa “ricerca”, in queste occasioni la ricerca del visitatore si concretizza in: 1) ottenere la firma dell’autore; 2) ascoltare le sue perle di saggezza; 3) incontrare l’editore che pubblicherà il suo manoscritto. I luoghi delle fiere si trasformano in prodigiose rappresentazioni della letteratura, in una gigantesca ‘vetrina’ del prodotto- merce, che istiga un nuovo desiderio di possesso e di identificazione da parte dei suoi fruitori.

Esiste ancora un’altra letteratura da raccontare, in cui gli scrittori non cercano solamente il successo di pubblico? Che cosa salva la letteratura dalla fatua commedia di queste “vanità”? Che cosa salva il lettore dalla sua ingenuità, ovvero da quella sua voglia di naïveté che critici addestrati ad arte, maieuti di una astratta emozione del cuore, sanno suscitare contro la vessazione e il tormento dei dubbi implicati dalla complessa realtà in cui viviamo? Non è vero che, siccome non viviamo il migliore dei mondi possibili, allora non ci è dato neanche leggere la migliore delle letterature possibili?

Nell’ultima parte del documentario (“Verso l’uscita”), Andrea Cortellessa e Luca Archibugi, su indicazione di Franco Arminio, scrittore, poeta, paesologo irpino, si
avventurano in Friuli, fino ai confini con la Slovenia, alla ricerca di uno strano “festival”, che si svolge nella Stazione di Topolò. Qui scrittori e lettori si incontrano per dar vita, gratuitamente, a una utopia letteraria, in cui non è in ballo vendere libri ma interrogarsi sul senso della scrittura. Qui il libro dissolve la sua natura ossimorica – produzione di cultura e istigatore di vanità – presentandosi nella sua immaterialità di bene.
Alla domanda “esiste ancora la letteratura oltre il mercato?”, quel che succede a Topolò prova questo: la letteratura mette in dialogo gli individui e si radica nei “luoghi” in cui è esclusa l’assordante ingerenza dei media, ed è altresì impossibile radunare folle oceaniche. Più che un festival, è una festa: spettatori, autori e abitanti del paese si confondono nel medesimo scenario naturale. Non esistono platee, né camerini. Quello che conta è un senso di libertà ritrovata, non condizionata, che si concretizza nel libro, nella scrittura, nonché nelle immagini (attentamente curate da Luca Archibugi), e guarda oltre i confini di questo paese, fra i boschi che videro l’inutile strage della Grande Guerra, appunto “verso l’uscita”.

3 commenti a questo articolo

L’ITALIA “SENZA SCRITTORI” DI ANDREA CORTELLESSA - (Esiste ancora un altro modo di fare e pensare la letteratura?)
2011-02-08 20:48:06|di francoise

da un articolo su booksblog, che condivido appieno:

A chi pensava Cortellessa quando ha deciso di girare questo documentario?” Perché alla fine della proiezione mi sono chiesta cosa di nuovo mi avesse rivelato e la risposta è stata “poco”. Gli addetti ai lavori, cioè coloro che gravitano attorno al mondo dell’editoria, sanno già che Il premio Strega è una sfilata delle vanità, che la Mondadori pubblica libri esclusivamente per trarne profitto (e quindi un imbarazzato Franchini di fronte alle domande sulla qualità dei libri che pubblica non desta meraviglia), che le librerie indipendenti stanno morendo e che anche il prestigioso festival di Mantova deve sottostare ad alcuni taciti dettami e quindi invitare la Mazzantini (che tra l’altro, in questo filmato, sembra incarnare tutti i mali dell’editoria).

“Era forse rivolto a un grande pubblico?” Se così fosse stato allora il critico Cortellessa avrebbe dovuto, a mio avviso, scavare di più, rivelare delle verità sconvolgenti, fare domande più pungenti, infastidire come un calabrone. “Voleva tirare le somme sullo stato attuale dell’editoria?”, allora l’ho trovato incompleto, poco spazio dedicato alle piccole e medie case editrici, ad esempio, e nulla si dice sul ruolo del web, dei blog, del passaparola. Insomma la sensazione che ho avuto, a caldo, e che persiste dopo un po’ di tempo, è che Senza scrittori “se la suoni e se la canti”, come si suol dire: confezionato per una cerchia ristretta di persone che la pensa in modo simile, che ne ha già discusso, come avviene nelle riunioni di un certo tipo di sinistra: ci si parla addosso senza trovare soluzioni alternative. L’ho trovato consolatorio e anche un po’ lamentoso. Il mondo dell’editoria è alla deriva, invaso dalle multinazionali, corrotto, svuotato del suo significato originario e, quindi, cosa si può fare per ricostruire e ripensare tutta la filiera? A mio modesto parere ci stanno provando le piccole e medie case editrici, le librerie indipendenti e chiunque crei progetti e sviluppi idee volte a riscoprire un’idea diversa di editoria letteraria. A loro andrebbe offerto più spazio.

http://www.booksblog.it/post/7128/u...


L’ITALIA “SENZA SCRITTORI” DI ANDREA CORTELLESSA - (Esiste ancora un altro modo di fare e pensare la letteratura?)
2011-01-10 00:42:15|di Chiappanuvoli

Grazie.
Ne avevo avuto lo stesso sentore.
Ma si può salvare la situazione. Sono ottimista.


L’ITALIA “SENZA SCRITTORI” DI ANDREA CORTELLESSA - (Esiste ancora un altro modo di fare e pensare la letteratura?)
2011-01-08 09:55:25|di Daniel

Mi pare un’analisi troppo cupa! Al di là dello smisurato potere delle grandi case Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, RCS, il fenomeno delle piccole case editrici in crescita fa ben sperare…e anche ai tempi dell’Ulisse di Joyce non è che gli editori facessero a gara per pubblicarlo…la cosa bella è che dopo anni di buio il numero dei lettori è in crescita e questo magari spingerà anche gli editori ad essere più coraggiosi pubblicando anche opere “difficili”…


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