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L’altra metà del Futurismo

(un immeritato oblio)

Articolo postato martedì 9 settembre 2008
da Luigi Nacci

L’altra metà DEL FUTURISMO - AVVENTURIERE ALLE PRESE CON LA SCRITTURA

Trenta profili delle adepte di Marinetti, unite dal sospetto verso posizioni troppo cerebrali, dal rifiuto dei giochi troppo eccentrici e da una specifica attenzione per il corpo e per i rapporti interpersonali. Una antologia curata da Cecilia Bello Minciacchi per Bibliopolis con il titolo Spirale di dolcezza+Serpe di fascino. Scrittrici futuriste.

È noto che nel primo Manifesto del Futurismo, datato 1909, Filippo Tommaso Marinetti proclama il rifiuto della tradizione e dei suoi simboli più conclamati, quali l’immobilità pensosa, il Museo e la Biblioteca, il sentimentalismo, il lirismo e il pacifismo; meno rilevata è la dichiarazione di misoginia che pure fa da clausola al nono punto dello stesso Manifesto : «Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo e il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna ». È un disprezzo, si capisce, suffragato dalla condizione di reclusa e muta immobilità femminile in cui Marinetti vede i segni di una condizione ontologica, non certo di una costrizione storico-sociale; né la sua cultura di maschio nazionalista, sia pure ibridato di cosmopolitismo à la page , può intendere il fatto che le donne gemebonde e diafane della recente tradizione romantica e preraffaellita, «fatalone» dannunziane incluse, siano costruzioni culturali e dunque proiezioni unilaterali dell’immaginario maschile.

Quella loro speciale virilità
Del resto l’avanguardista Marinetti mostra di ignorare sia le prime militanti del socialismo sia le suffragette del nascente femminismo; tanto meno spreca una parola per le poetesse che in quegli anni già testimoniano una fisionomia precisa e nient’affatto passatista o pompier: per esempio Luisa Giaconi (la cui raffinata Tebaide esce postuma nel ’12), Ada Negri, il cui Esilio è del ’14, e Amalia Guglielminetti che nel ’13 pubblica L’insonne. Quasi per contrappasso, colui che avrebbe sposato un’artista di indubbio rilievo e presto devota all’«aeropoesia», Benedetta Cappa, vedrà via via moltiplicarsi le poetesse convertite al verbo futurista. La prima a replicare o meglio a rovesciare il contenzioso è una vera e propria avventuriera della scrittura, Valentine de Saint-Point, che fra il ’12 e il ’13 pubblica il Manifesto della donna futurista e il Manifesto futurista della lussuria. Muovendo da Nietzsche e mirando a un connubio di femminilità e mascolinità in cui convivano l’apollineo e il dionisiaco, de Saint-Point condanna il presunto «errore cerebrale» del femminismo e rivendica alla donna una sua specifica virilità, che è infatti l’antipode del femminile atavico e passivo; ne conclude, platealmente: «nel periodo di femminilità in cui viviamo, solo l’esagerazione contraria è salutare. ED È IL BRUTO CHE SI DEVE PROPORRE A MODELLO». Il paradosso fa scalpore, Marinetti tace e però le rispondono, su «Lacerba», i compagni di strada futuristi pubblicando un Elogio della prostituzione a firma di Italo Tavolato ma scritto su suggerimento del maestro di cappella della reazione italica, Giovanni Papini, cui segue una grottesca coda giudiziaria. (Su tutta la vicenda, che rammenta la miseria intellettuale e morale degli accusati, si può sempre leggere un vecchio libro di Sebastiano Vassalli, L’alcova elettrica, Einaudi 1986). Il silenzio tombale di Marinetti, nonostante la nutrita presenza femminile in «L’Italia Futurista» e nei fogli ufficiosi del movimento, sarebbe durata ancora a lungo, anche dopo avere rincarato la dose, nel ’17, col libello Come si seducono le donne, antesignano del machismo fascista: solo nel 1939, già Accademico d’Italia e ormai quasi in punto di morte, si degnò di includere una donna nella silloge, peraltro minore, dei 24 giovani aeroporti futuristi; un vuoto di testimonianze e di testi cui nel dopoguerra hanno parzialmente sopperito, fra gli altri, le antologie di Glauco Viazzi (I poeti del futurismo 1909-1944, Longanesi 1975) e soprattutto di Claudia Salaris (Le futuriste. Donne e letteratura d’avanguardia in Italia 1909-1944, Edizioni delle donne 1982). A tale riguardo, va considerato quindi una riparazione l’eccellente lavoro storico-filologico di Cecilia Bello Minciacchi, Spirale di dolcezza+Serpe di fascino. Scrittrici futuriste. Antologia (Bibliopolis, pp. 486, euro 40), che così viene introdotto: «Si vedrà che il volume, rispetto a scritti giornalistici, teorici o polemici, privilegia scritti letterari, incentrato com’è sulle opere e sui caratteri peculiari della scrittura piuttosto che sulla discussione "di genere" ovvero su quella "polemica sulle donne" che si sviluppò intorno alla pubblicazione del marinettiano Come si seducono le donne. Sebbene di scrittrici futuriste si sia a volte discusso (...) oggi con rammarico possiamo ripetere anche per le scrittrici ciò che Franca Zuccoli lamentava per le artiste visive del futurismo: un sostanziale e immeritato oblio, se non un’"obliterazione"». Ingente è l’apparato documentario e bibliografico di quest’opera che comprende trenta autrici e riserva a ciascuna un profilo monografico. Alcune sembrano davvero risorte dal nulla - per esempio Emma Marpillero, Marj Carbonaro, Bianca Càfaro, Elda Norchi, e Pina Bocci di cui era nota solamente la tarda produzione di segno intimista e il carteggio relativo con Manara Valgimigli; di altre, già storicizzate, si disegna una immagine molto meno stereotipa: ed è il caso, su tutte, proprio di Benedetta Cappa, moglie di Marinetti e integerrima custode del suo lascito, qui avvalorata per l’originalità dei suoi romanzi - Le forze umane, Viaggio di Gararà, Astra il sottomarino, usciti fra il ’24 e il ’35 - e dunque per la scelta di un genere che si direbbe il meno futurista in assoluto. Ma è proprio la forma-romanzo a segnare fisionomia e percorsi delle maggiori autrici incluse nell’antologia: in primo luogo, Rosa Rosà (1884-1978), pittrice e poligrafa, firmataria di un Bildungsroman, Una donna con tre anime (1918), scritto contro l’ipocrisia sociale e la noia della vita familiare in un tono che le merita la stima di scrittrice «duramente antiborghese»; ma anche Enif Robert, che induce Marinetti a co-firmare, ovvero ad «approvare incondizionatamente», il suo romanzo Un ventre di donna (1919) dove in conclusione si leggono parole di una precocità davvero sorprendente: «Cerchiamo quindi di cambiar strada e di convivere raccontando d’ora in poi la nostra vita vera, intessuta di realtà non sempre sorridenti, che MAI PIÚ dobbiamo diluire nel sogno. Facciamo che ’donna futurista’ voglia dire CORAGGIO+VERITÀ». Una verità che altre donne, specie tra le futuriste di seconda generazione, vedono purtroppo incarnata nell’Italia di Benito Mussolini e nei suoi rovinosi bluff imperialisti; quanto a ciò, una giovane del gruppo bolognese «Guglielmo Marconi», Maria Goretti, traduttrice di Platone e autrice del saggio Poesia della macchina, scrive l’anno successivo una Marcia di soldato per i reduci della sciagurata spedizione in Unione Sovietica, da cui torna, pallido fantasma di se stesso, anche Sua Eccellenza Marinetti: «Soldato/ marcia/ grigioverde/ strada/ di fango/ di neve/ di sole/ piedi sanguinosi/ piedi congelati/ sulla proda raccoglie/ un fiorellino azzurro/ andando mastica/ un fiore che sa di cicca//».

I denominatori comuni
Pure in un frammento tanto limitato e per giunta ascrivibile a una poetessa così condizionata dal suo credo ideologico, si legge tuttavia il denominatore comune del Futurismo al femminile: vale a dire il sospetto delle posizioni puramente cerebrali, il rifiuto del gioco eccentrico o gratuito, e una specifica attenzione, invece, per la realtà del corpo e più in generale per la concretezza dei rapporti umani. Come se al privilegio della scrittura, e per giunta di una scrittura absolument moderne, costoro, in quanto donne, dovessero per forza accedere da fuori o da sotto, cioè pagando un doppio pegno personale, e talora sanguinoso. Anzi, mutamente sanguinoso. Quel soldato alla deriva non fa pensare affatto alla Battaglia di Adrianopoli e ai suoi rimbombi grotteschi ma fa pensare, semmai, ai commilitoni laceri e infangati di Giuseppe Ungaretti, un altro ex futurista poi a lungo, e più o meno ambiguamente, fascista: perché non sulle tavole del paroliberismo ma nel dolore assoluto, nell’esperienza estrema del corpo, è nata la poesia che diciamo nostra contemporanea.

Massimo Raffaeli, "Il manifesto", 2 settembre 2008

12 commenti a questo articolo

L’altra metà del Futurismo
2009-01-27 13:09:58|di anna folli

Solo una precisazione: Tebaide di Luisa Giaconi esce nel 1909. Quella del 1912 è una seconda edizione ampliata.


L’artefatto
2008-09-15 12:34:11|di Federico Scaramuccia

Trovo la discussione interessante, soprattutto perché mi permette di dire di un vizio di fondo nella valutazione dell’artefatto.
Considerarlo cioè struttura di idee, anziché oggetto (e tuttalpiù testimonianza).
E’ ovvio che quanto proposto ideologicamente dal futurismo (o anche nei citati canti pisani di Pound), soprattutto nelle sue derive propagandiste, sia deprecabile.
Ma c’entra poco o nulla con il valore in sé del singolo prodotto.
Ossia: è indifferente dal punto di vista estetico.
Bisognerebbe guardare agli esiti insomma, e non agli intenti. All’opera, e non all’autore.
In sede di storia della letteratura poi (e ancor più in sede storica) si può, anzi si deve, discutere della responsabilità di "chi dice cosa".
Ma, ripeto, questo esula dalla valutazione dell’artefatto (previa consapevolezza sempre - è ovvio, ma è opportuno ripeterlo - di "chi dice cosa").
Quindi perché bandire Marinetti o magari D’Annunzio o persino Pound o chiunque altro ancora, perché in taluni casi (o anche sempre) espressione o voce di un’idea diversa da chi scrive (pure se tale idea è il "male assoluto").
Due sarebbero le perdite inaccettabili: il valore estetico e documentario dei singoli oggetti, senza cui peraltro verrebbe meno anche la comprensione di fenomeni successivi (nel caso degli autori citati, direi fondamentali).
Concludo dunque citando proprio Paolo Rossi (da leggersi come un invito), che tempo fa si rallegrava nel leggere un commento dello scrivente in calce a "Pendìci" di Sara Davidovics e Cosimo Budetta (Ogopogo, 2007), "che vivaddio ci parla dell’oggetto e dei suoi risultati e non degli autori e delle loro intenzioni - buone o cattive che siano".


L’altra metà del Futurismo
2008-09-15 08:06:20|di giusto misiano

per Paolo intendevo il futuro della Poesia italiana e non al movimento del 1909. Ciao Paolo da giusto misiano.


L’altra metà del Futurismo
2008-09-15 07:51:16|di giusto misiano

Alessandro condivido questo pensiero di artisti che per i loro tornaconti si sono arricchiti usando i partiti per arrivare al successo ,in questo corruzione organizzata (fascistoide e comunistoide) forse marinetti era più semplice .ciao da g.m.


L’altra metà del Futurismo
2008-09-14 23:27:24|

contraddizioni in Marinetti? forse, ma certo che il comunistissimo Guttuso iniziò nel futurismo (siciliano)!
arrampicatori ne conosco tanti anche ora, forse lo era anche Marinetti però aveva una certa capacità artistica e di diffusione di ciò che faceva/no. il futurismo può anche non piacere, ci mancherebbe -legittimo- però è l’ora di averne (e farne) una lettura non condizionata dai professorini della scuola media italiana. poi la condizione politica si può discutere, può piacere o meno, ma certo che anche Neruda (che non discuto come poeta) scrisse "La oda a Stalin" (sic!)

un abbraccio

alessandro ghignoli


L’altra metà del Futurismo
2008-09-14 23:19:00|di Paolo Rossi

"in questo sito si parla veramente di futurismo"... davvero? in questo sito? e dove? questo è il primo intervento sul futurismo che vi leggo, e penso perché sufficientemente "politicamente corretto" sin dal titolo ("l’altra metà del futurismo") per essere ospitato... sarei lieto comunque di leggere altri interventi sul futurismo ospitati da questo sito, prego dare indicazioni su dove trovarli!

mi spiace constatare ancora una volta che non sia possibile affrontare la questione marinetti senza discutere praticamente SOLO di questioni ideologiche. non che gli americani con pound siano molto più avanti (mi dicono che dei canti 72 e 73, scritti direttamente in italiano, efferate apologie della repubblica sociale italiana , non esistono ancora traduzioni in inglese), ma insomma... non dovremmo essere più evoluti, almeno nelle cose di cultura?


L’altra metà del Futurismo
2008-09-14 15:15:40|di giusto misiano

un anticcademico che diventa accademico un interventista che metteva fumo di vittorie con illusione d’ eroismi, non é un letterato ma un qualunque arrampicatore di premi per musei dell’apparire ,in questo sito si parla veramente di futurismo,e non di presente mai realizzato il fuoco di paglia di marinetti nei suoi progetti era di scandalizzare per fuorviare,(v.Gramsci) per quanto riguarda il togliattismo mi ritengo un vero libero giusto.


L’altra metà del Futurismo
2008-09-14 14:07:47|

il futurismo italiano ha avuto e subisce ancora una lettura togliattiana, Marinetti viene liquidato, la scuola italiana e i presunti intellettuali dove lì si sono formati non hanno mai veramente letto né Marinetti né Depero né Boccioni né tutti gli altri. una cultura eccessivamente ideologica dà il passaporto però a Ungaretti, D’Annunzio e Pirandello umili servi e lacché di Mussolini (andare a leggersi le lettere di alcuni di costoro), però a Marinetti no! perché? forse perché era uno che faceva paura, Mussolini ne era quasi terrorizzato: ricordo solamente quando vengono, nel 38, firmnate le leggi antirazziali, Mussolini dice "tranquillizate Marinetti, i suoi amici ebrei non glieli tocco"; eh sì, questo il togliattismo non ce lo ricorda mai!
in quanto alla guerra (ovviamente cosa orribile) dobbiamo entrare nel pensiero dell’epoca, i dadaisti (di sinistra) dicevano, dopo la prima guerra mondiale, che ce ne vuole un’altra con più morti.
il primo scritto per il voto alle donne e soprattutto per il divorzio non è di Togliatti!, ma di Marinetti. e un lungo et cetera.
senza polemiche, però leggiamocelo. leggersi i testi del teatro sintetico,ad esempio, ci possono far capire molto della nostra quotidianità.

un abbraccio

alessandro ghignoli

p.s.
Gramsci (su L’ordine nuovo) definisce i futuristi dei ’marxisti’. avevano - i futursti - fatto quello che i socialisti volevano fare ma che non hanno mai (coraggio, capacità?) fatto.


L’altra metà del Futurismo
2008-09-11 10:13:19|di Paolo Rossi

appunto, Q.E.D.


L’altra metà del Futurismo
2008-09-10 21:05:10|di giusto misiano

il futurismo russo è tutta un altra cosa la risposta di Majakovskij era "Schifo e odio per la guerra" a tale proposito scriveva "La terra non avrà più membra intatte...e tutto ciò perchè un tizio qualsiasi possa allungare le mani su qualche Mesopotamia...e lancerai sulla loro faccia la tua ira profonda in un grido: perchè si combatte questa guerra?"1915-16


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