a cura di Massimo Rizzante e Lello Voce

La rivista Baldus ha iniziato le sue pubblicazioni nel settembre del 1990, per iniziativa di una redazione formata da Mariano Bàino, Biagio Cepollaro e Lello Voce, creando vasta eco di dibattiti e polemiche spesso aspri, ma che hanno influenzato in modo visibile le vicende letterarie di quegli anni in Italia.

Le pubblicazioni sono terminate nel dicembre 1996 dopo 10 numeri. Va tenuto presente, comunque che la redazione era attiva già dal 1989, qualche tempo prima della formazione del Gruppo 93 e che essa aveva preparato un undicesimo numero che avrebbe dovuto apparire nel 1997 e che invece non vedrà mai la luce.

Art Director di Baldus sono stati Gianni Sassi e - dopo la morte dell’indimenticabile manager culturale milanese - Andrea Pedrazzini. Quest’ultimo ha inoltre personalmente illustrato la rivista a partire dal n. 3-4, anno IV, con una splendida serie di disegni. Alcuni di essi accompagnano gli articoli di questo blog.
La rivista è stata pubblicata da tre editori, nell’ordine: Pellicani, Nuova Intrapresa, Edimedia.

Della redazione di Baldus, oltre ai fondatori, hanno poi fatto parte (in ordine di apparizione): Massimo Castoldi, Francesco Forlani, Antonio Paghi, Gian Paolo Renello, Massimo Rizzante, Gian Mario Villalta, Andrea Inglese.

La digitalizzazione completa di tutti i numeri, a cura di Massimo Rizzante e Lello Voce è stata pubblicata da No Reply nella collana MALEDIZIONI ed è stata realizzata grazie al contributo del Festival Absolute Poetry di Monfalcone e alla cura scientifica dell’Università di Trento.


Absolute Poetry
Cantieri Internazionali di Poesia - Monfalcone 21 - 24 marzo 2007
e
Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici Università degli Studi di Trento

Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici
Università degli Studi di Trento

Laboratorio di Ricerche Informatiche sui Periodici Culturali Europei - CIRCE
(Responsabile dott.ssa Carla Gubert)

Realizzazione digitale Dott.ssa Francesca Rocchetta

Realizzazione CD Rom Nuvoleonline


Tutti i post pubblicati in questo blog sono tratti da questa edizione.

L’impossibilità di poter realizzare una cura comune di quanti allora collaborarono, ma insieme l’utilità, crediamo non secondaria, di riproporre al dibattito molti di quegli scritti e di quei contributi teorici e di poetica, fanno sì che essi siano presentati al lettore di ABSOLUTEVILLE, senza alcuna nota introduttiva, lasciando a loro stessi e alla loro forza analitica, di presentarsi e di suscitare, come speriamo, ancora qualche dibattito, sia pur a distanza di tanti anni.

Ci si limiterà a far precedere la riproposta dei contributi originali dai due scritti che li accompagnavano a stampa nella riedizione antologica di No Reply, l’Introduzione di Massimo Rizzante e il saggio dedicato alla ’ricezione’ della Prima Serie di Baldus, di Adriano Padua.

pubblicato sabato 21 maggio 2011
1 Il numero 0 della rivista Baldus esce nel settembre 1990. Nell’editoriale introduttivo Mariano Baino afferma che la linea della rivista (...)
pubblicato martedì 19 aprile 2011
Marginali incompatibili moderni Adesso che sono qui, dieci anni dopo, in questo lugubre inverno padano, fitto di nebbie e privo di sole, a (...)
 

di Stefano La Via

aggiornato giovedì 24 marzo 2011
 

di Massimo Rizzante

aggiornato venerdì 29 luglio 2011
 

di Gabriele Frasca

aggiornato giovedì 5 maggio 2011
 

di Cecilia Bello Minciacchi,
Paolo Giovannetti,
Massimilano Manganelli,
Marianna Marrucci
e Fabio Zinelli

aggiornato domenica 18 marzo 2012
 

di Rosaria Lo Russo

aggiornato sabato 21 maggio 2011
 

par Pierre Le Pillouër

aggiornato giovedì 17 maggio 2012
 

di Luigi Nacci & Lello Voce

aggiornato domenica 13 novembre 2011
 

di Massimo Arcangeli

aggiornato martedì 30 agosto 2011
 

di Sergio Garau

aggiornato lunedì 6 febbraio 2012
 

di raphael d’abdon

aggiornato sabato 2 aprile 2011
 

di Claudio Calia

aggiornato venerdì 2 dicembre 2011
 

di Yolanda Castaño

aggiornato martedì 9 novembre 2010
 

di Giacomo Verde

aggiornato sabato 4 giugno 2011
 

di Domenico Ingenito & Fatima Sai

aggiornato mercoledì 10 novembre 2010
 

di Chiara Carminati

aggiornato giovedì 13 gennaio 2011
 

di Gianmaria Nerli

aggiornato giovedì 16 settembre 2010
 

di Maria Teresa Carbone & Franca Rovigatti

aggiornato giovedì 17 marzo 2011
 
Home page > I blog d’autore > Baldus - Quadrimestrale letterario (1990-1996) > L’editoriale del n.° 0 e i documenti della Redazione di Baldus in occasione (...)

L’editoriale del n.° 0 e i documenti della Redazione di Baldus in occasione della fondazione del Gruppo ’93

Baldus, n.°0, 1990

Articolo postato domenica 12 giugno 2011
da Lello Voce

Editoriale n.0

Una rivista. Che prende il nome dal grande poema di Teofilo Folengo. E dal suo protagonista, Baldo, giovanotto alquanto ribelle e scapestrato che, pur discendendo da nobili lombi, non è quel che si dice un eroe cavalleresco. Nella sua bizzarria coltiva qualche ideale di giustizia (non chiarissimo), grande bisogno di libertà, appetenza di dignità umana. Nella stramba vicenda che è il poema, dotato di un fianco realistico come di un fianco visionario, le cose risultano instabili, sballottate come sono nel marsupio linguistico di Merlin Cocai, accoglitore di più lingue, di più codici, e di... «mantuanicum, aut florentinicum, aut bergamascum, aut todescum, aut sguizzarum, aut scarpacinum, aut spazzacaminum». Ma non si tratta di un abbraccio generale. C’è da registrare, piuttosto, un atto profondamente trasgressivo, la cui esasperata gestualità è liberatoria e vigile insieme. Un atto contraddittorio, ma che - attraverso vocabulazzi e macaronica verba e accostamenti inconcepibili-«continua a mutare la messa a fuoco ideologica, a sorprendere ogni automatismo dell’attesa» (Segre).

Una rivista, dunque, che nel darsi un tale nome sceglie la contaminazione quale campo privilegiato, sebbene non esclusivo, di riflessione. Anche, se non soprattutto, per analizzarne le possibilità relative ad una sperimentazione nuova, in un’epoca di muta¬menti delle strutture comunicative, e di generale e complessa ridefinizione della cultura e dei suoi oggetti. Una rivista desiderosa di dialogo, soprattutto con gli autori delle giovani generazioni, "venute a paragone" con un "oggi" in cui lo scambio simbolico è continua¬mente aggiornato e dove ogni referenzialità sembra perduta in un bailamme di immagini e segni che rimandano a immagini e segni.

Ma la descrizione degli scenari è tentata a più riprese nella prima parte di questo numero zero, attraverso alcuni scritti teorici del sodalizio che promuove la rivista. Forse vi si scorgerà qualche enfasi nel dire di teoria; qualche passaggio troppo sbrigativo o semplificato... Ma anche, si spera, il sincero sforzo di ridare corpo a quella fertile dimensione della critica che Anceschi chiama "critica dei poeti". Baldus tenterà anche di collegarsi al dibattito in corso in quel luogo ondeggiante e ancora indeterminato che è il Gruppo ’93.
Qualche preoccupazione rimane in chi - nell’occasione, "minoranza" del sodalizio - era dubbioso circa l’opportunità di inserire i testi poetici dei redattori; ma è prevalso il criterio di mostrare la propria fisionomia...
Accanto alla ricerca nel presente, lo studio del passato, soprattutto nelle tradizioni e negli autori congeniali, anche quando malnoti o trascurati. Per quanto riguarda i contemporanei la rivista principia con poeti quali Edoardo Cacciatore ed Emilio Villa; per gli autori del passato è data attenzione al vivente magnetismo di Folengo e di Michelangelo.

Cos’altro dire? Forse questo: se dovessi formulare anche solo un quissimile di viatico per Baldus ed i suoi collaboratori, mi verrebbe subito in mente, dissuasiva, la somiglianza che Voltaire individua fra l’uomo di lettere e il pesce volante («Se si innalza un poco, gli uccelli lo divorano; se si immerge, lo divorano i pesci»). Ma non devo.

Mariano Baino


Appunti

Gli anni ’80 hanno rappresentato lo sviluppo massimo di un "riflusso letterario" contrassegnato dal dilagare di pratiche di scrittura nelle quali non è dato rintracciare un progetto di critica dell’esistente, a tutto vantaggio dell’ammodernamento dell’industria culturale.
In tale situazione, tuttavia, è da registrare il sorgere di un movimento oppositivo che, sulla base di una rinnovata nozione di materialità della scrittura e di sperimentazione, tende a riformulare un progetto di scrittura alternativa. In quest’area problematica ci pare di poter collocare anche il nostro lavoro.

L’attuale situazione, per la sua eterogeneità e per i frenetici mutamenti strutturali che le sono propri, ci pare renda necessario un lavoro di approfondimento teorico¬letterario in cui il contributo creativo sia strettamente collegato a quello storico¬critico. Ci sembra irrinunciabile porre una domanda di teoria che, istituendo a suo fondamento la rilettura delle esperienze sperimentali degli ultimi trenta anni ed illuminando di esse anche quelle aree che possano essere rimaste meno frequentate, si concretizzi in un tentativo di definire l’evolversi della funzione oppositiva del fatto letterario.

Nel nostro progetto di poetica assumiamo la nozione di campo letterario come campo essenzialmente intertestuale e sincronico.
In assenza di orientamenti gerarchico-cronologici (o di genere) diviene necessario, per l’attraversamento del campo stesso, il criterio della tendenza.

Le condizioni per progettare un lavoro poetico non sembrano più date dalla dicotomia tra lingua ordinaria e lingua seconda in cui realizzare lo scarto. La lingua ordinaria, oggi, è già in partenza estetizzata come comunicazione sociale. II vecchio detto «si fanno piú metafore in un giorno di mercato che in cento poesie», all’interno di una mutazione complessiva delle situazioni e delle modalità comunicative, è diventato una realtà quanto mai pervasiva. Al rapporto norma-scarto potrebbero essere contrapposte diverse strategie di contaminazione.

Non riteniamo essenziale nel nostro lavoro la dicotomia insistente sulla centralità del Soggetto o, al contrario, sulla sua disseminazione. A nostro parere la costruzione e il montaggio del testo possono veicolare indifferentemente frammenti narrativi e coaguli di significanti, evitando così di cadere nel feticismo dell’una o dell’altra soluzione. Alla concezione che vede il testo letterario come luogo della "pacificazione sublimatoria", opponiamo, comunque, lo sviluppo di una pratica testuale costante¬mente critica nei confronti dell’io lirico.

Intendiamo come pratica della citazione un lavoro di contaminazione tra diverse realtà linguistiche che si ponga come obiettivo la trasformazione e la torsione dei materiali utilizzati a livello di micro e/o macrostrutture linguistiche. Non crediamo a un tipo di utilizzo neutrale dei lacerti, e ciò non tanto per cosa si cita quanto per come si cita. Nella circolazione attuale dei linguaggi non v’è possibilità per uno stilema in sé di costituire un altrove rispetto all’esistente, ma è l’inserimento di esso all’interno di un dispositivo di contaminazione a definirne il carattere celebrativo o critico.

L’allegoria, in quanto figura retorica imprescindibile da un referente reale che ne garantisca il funzionamento, ci pare terreno privilegiato per la conservazione e lo sviluppo del rapporto del testo poetico con la dimensione extraletteraria. Crediamo nella funzione essenzialmente comunicativa della poesia in quanto lingua e nostro obiettivo è quello di evitare l’afasia derivante dall’enfatizzazione del lavoro sul significante per indagare, attraverso la complessità dei livelli testuali, la complessità del reale.

L’apertura ai dialetti, come alla citazione, è condizionata dal grado di torsione cui vengono sottoposti i materiali. II rapporto lingua-dialetti dei nostri anni non permette alcuna nostalgia purista né sul versante dei dialetti né su quello della lingua. Nel nostro lavoro i dialetti si contaminano come tutti gli altri elementi ai livelli di degrado linguistico che nelle condizioni esperite si verificano. I dialetti, nell’universo linguistico contemporaneo, subiscono incessanti trasformazioni (arretramenti, creolizzazioni, etc...), ma conservano in molti casi l’energia dirompente che una secolare tradizione di subordinazione ha accumulato. Un uso diverso del registro vernacolo comporterebbe, nel rifiuto della contaminazione, un’illusione puristico-arcadica dagli esiti specularmente decorativi della poesia neoromantica in lingua.

Milano, settembre ’89 (Libreria Büchmesse)


A proposito delle "Tesi di Lecce"

La liquidazione frettolosa ed interessata di qualsiasi prospettiva "progettuale" del fare letterario, accompagnata dalla giubilazione di ogni pratica (e poetica) oppositiva e sperimentale, è stata conseguenza (nefasta) di un ventennio di storia letteraria nostrana dominato dall’imperversare di neo-orfismi e neo-neo-simbolismi, decostruttivisti e magico-heideggeriani, votati all’easy-reading selvaggio e strettamente legati alle strategie e alle stratificazioni della topografia mass-mediologica. Così, la (supposta) morte delle ideologie ha partorito una mostruosa macroideologia occulta del vano e del vuoto, scintillante e "prevedibile": l’elastico e pneumatico Nulla del post-tutto, presuntuoso come qualsiasi millenarismo, travestimento ultimo, inutile e ridicolo, dell’agonizzante storicismo, a cui i post-poetae post-novi hanno offerto, lesti, la loro poesia come ancella. Ma il riflusso letterario, l’ondata intimista e neo-romantica non sono solo il riflesso di un ritorno all’ordine e di un’involuzione generale della società all’indomani di una crisi politico-ideale che, in modi più o meno massicci ed evidenti, ha coinvolto anche la produzione letteraria. II ritorno al mythos e a prospettive "simboliste" coincide con la forte estetizzazione dei consumi e delle strategie di mercato da cui essi dipendono avvenuta negli ultimi quindici anni e ne rappresenta, in qualche modo, l’estensione culturale, costituendosi, nello stesso tempo, quale espressione sintomatica di un arretramento (forzoso e forzato) delle problematiche e degli esiti letterari rispetto ai nuovi paesaggi percettivi e ai nuovi "livelli di realtà" venuti alla ribalta della contemporaneità. Si tratta di una restaurazione, certo, ma ciò è anche segnale di una debolezza strutturale che la ripresa di una pratica "sperimentale" e "materialistica" non può non considerare. Occorre, a nostro parere, elaborare risposte critico¬oppositive complesse a problemi complessi, proporre con decisione progetti e pratiche poetiche che, pur istituendo a proprio fondamento le problematiche, la ricerca e le indicazioni che sono patrimonio delle esperienze "sperimentali" e "materialistiche" degli ultimi trent’anni (comprese quelle di esse che possano aver patito di minore risonanza e attenzione di critica e pubblico), sappiano - coscienti dell’azzardo rischioso e "imprevedibile" costituito da un tentativo del genere - superarle ed innovarle, rendendole atte a cogliere il mutamento globale del referente grazie ad un mutamento altrettanto globale della testualità e ciò a maggior ragione se è vero, come crediamo, che "il vero problema teorico è la ragione pratica della letteratura" (Sanguineti). Ciò significa che non potremo esimerci dal tentare la ricalibrazione di concetti basilari e decisivi dell’orizzonte culturale moderno, sperimentarne nuove inflessioni, creolizzando le diverse vie e i diversi specifici artistico-culturali, coscienti di quanto sia difficile muoversi all’interno dello "sperimentalismo" (letterario) giacché è la sua stessa nozione ad essere sperimentale, ma memori che giusta qualità e giusta tendenza stanno poi nell’inscindibilità dell’extraletterario dell’autonomia dello specifico, e viceversa. Il che, in un certo senso, significa realizzare un ibrido inquietante: l’unione fra istanza extraletteraria dell’avanguardia e istanza di autonomia dello specifico propria dello sperimentalismo. Viaggiare all’interno di una scrittura anti-istituzionale, anti-classica e anti-simbolista, nemica dell’io lirico gonfio di privilegi usurpati, la quale intenda stabilire reti di relazioni piuttosto che immedesimazioni, vuol dire viaggiare in una scrittura non garantita che ha bisogno, per poter vivere, di un atteggiamento continuamente autocritico da parte dell’autore.

Da questo punto di vista, l’ipotesi di una tendenza "allegorica" (o di"realismo allegorico"), così come prospettata dalle "Tesi di Lecce", ci pare inneschi un processo salutare di rivitalizzazione e rinnovamento delle "ragioni", nonché dei modi, di un fare letterario che postuli il carattere inconciliato della forma letteraria, se non altro, come sottolineato da Leonetti, per la sua "imprevedibilità. Ci pare che il quadro attuale, con la massiccia estetizzazione della comunicazione sociale che ha comportato, richieda il superamento della prospettiva simbolista e dicotomica tra lingua ordinaria e lingua seconda (poetica) attraverso un tentativo di elaborazione di strategie di contaminazione ed ibridazione (allegorica) che nel pluristilismo e nella polifonicità dialogica trovino uno strumento d’espressione che parta dalla coscienza dell’impossibilità per un unico stile di costituirsi in altrove rispetto all’esistente, di essere, di per sé, oppositivo, essendo ciò non il risultato di una "soggettività" stilistica ma di una relazione-contraddizione tra stili-individui, di una disarmonia dialogica, di una contaminazione, appunto. Percorrere questa strada richiederà, in primis, la coscienza "dell’esaurimento della maggiore tradizione poetica del moderno, quella del simbolismo e del post-simbolismo" (Luperini), dell’io lirico e dei suoi privilegi emermeneutici e neo-ermeneutici. Occorrono, allora, poetiche che sappiano mettere in gioco tutto il complesso di materiali che la nuova sintassi percettiva e critica si propone di ri-organizzare, anche e soprattutto a partire dalla coscienza della storicità e insieme - contraddittoriamente - della sincronicità del campo letterario. Si tratterà di un lavoro accanito di distorsione e creolizzazione dei materiali (lessicali, sintattici, metrico-ritmici, fonici, ecc.) della tradizione che comporti l’esasperazione del degrado di linguaggi, idioletti e gerghi, a sottolinearne l’artificiosità occultata; che sostituisca alla (inesistente) soggettività poietante ed ontologizzante una regia autoriale astutamente razionale nella quale la polifonicità del citazionismo (o, meglio, dell’appropriazione) sia vissuta, benjaminianamente ed allegoricamente, come vendetta, riscatto ed irrisione e che si mescoli con il riutilizzo delle esperienze della poesia sonora e della ricerca intraverbale e delle pratiche di slogatura sintattico-logica dello sprachspiel così come con il ripescaggio di zone basse e bassissime dell’oralità quotidiana. Giacché mai come oggi la sperimentazione è "obbligata" dalla necessità di essere pars construens, proposta di modellizzazione positiva di una soggettività manipolante i flussi di informazione che altrimenti la soffocherebbero senza possibilità di contra¬stare, neanche a questi minimi livelli, l’irrealtà dominante e l’afasia de facto. Il tutto, ovviamente, con la coscienza chiara di come non ci sia nulla di più destruens di una pars construens che elimini anche gli ultimi relitti-segni del distrutto e liquidi, definitivamente, le vestigia.

La Redazione di "Baldus"
dicembre ’89


Relazione introduttiva al 1° incontro del Gruppo ‘93
Milano, 3/4 febbraio ‘90

La VII edizione di Milanopoesia è stata caratterizzata dal tema dell’avanguardia e della sperimentazione generando pole¬miche aspre quanto ricche di equivoci. Nell’ambito della rassegna si è svolto un incontro tra Sanguineti, Giuliani, Pagliarani, Balestrini, Leonetti, Costa, Lunetta, Bettini e alcuni giovani poeti quali Ottonieri, Frasca, Baino, Voce, Frixione, Durante e il sottoscritto. Dal dibattito è emerso pronunciato un rinnovato interesse per le problematiche sperimentali nonché la necessità di articolare il nuovo e di approfondire le questioni di poetica con un maggiore riferimento alla concretezza del lavoro testuale. Parte della discussione si è incentrata sulle tesi esposte da un documento a firma di Baino, Voce e mia, relativo ad alcune linee di progettazione poetica. In sintesi, con tale scritto, si registrava la necessità di un approfondimento teorico-letterario in cui il contributo creativo si collegasse con quello storico-critico e, in generale, si dichiarava irrinunciabile una domanda di teoria che fondasse la ricerca e la discussione sui risultati della sperimentazione degli ultimi trent’anni. Si affermava, inoltre, il criterio della tendenza, in assenza di orientamenti gerarchico¬cronologici (o di genere) del campo lette¬rario inteso come intertestuale e sincronico. Il progetto veniva delineato a partire dalle seguenti considerazioni:

1) Abbandono della dicotomia tra lingua ordinaria e lingua seconda: alla contrapposizione tra norma e scarto, si preferiscono diverse strategie di contaminazione in considerazione del fenomeno dell’estetizzazione propria alla comunicazione sociale.
2) Abbandono della dicotomia insistente sulla centralità del soggetto o, al contrario, sulla sua disseminazione. La costruzione e il montaggio del testo possono veicolare indifferentemente frammenti narrativi e coaguli di significanti, evitando di cadere così nel feticismo dell’una e dell’altra soluzione.
3) II lavoro della citazione come pratica di contaminazione tra diverse realtà linguistiche che si ponga come obiettivo la trasformazione e la torsione dei materiali utilizzati a livello di micro e/o macro¬strutture linguistiche. Tale lavoro si fonda sul presupposto della non possibilità di uno stilema in sé di costituire un altrove rispetto all’esistente, ma è l’inserimento di esso all’interno di un disposi¬tivo di contaminazione a definirne il carattere celebrativo e critico.
4) L’apertura ai dialetti, come alla citazione letteraria e no, è condizionata dal grado di torsione cui vengono sottoposti i materiali per evitare ogni illusione arcadico-purista speculare agli esiti della poesia neoromatica in lingua.

Questo primo convegno vuole essere la prosecuzione del lavoro iniziato nell’ambito delle discussioni di Milanopoesia e l’allargamento del dibattito. La sigla Gruppo ’93 sta a significare più un ambito di discussione che un’associazione, più una molteplicità di confronti che un’omogeneità di poetiche ed in ogni caso sottolinea un certo modo di considerare il lavoro letterario e la figura stessa dello scrittore. In particolare: si dà rilievo alla critica esercitata dai poeti e dai narratori stessi, alle posizioni assunte in sede di progettazione del lavoro intellettuale e alle diverse implicazioni di tale lavoro. Il richiamo al Gruppo ’63 non è in nessun modo dichiarazione di filiazione, piuttosto è un riferimento alle esperienze sperimentali degli ultimi trent’anni considerate privilegiate rispetto a molta produzione più recente contro cui implicitamente o esplicitamente si polemizza. D’altra parte lo scenario culturale appare profondamente mutato, né in tale contesto possono garantire supporti teorici discipline che in passato hanno affiancato il lavoro di scardinamento della tradizione ermetica e neocrepuscolare. Presso gli autori giovani di cui poc’anzi si è detto, rare se non assenti sono le suggestioni neopositiviste. La stessa ricerca centrata sul significante viene sottratta a qualsiasi progetto che pretenda strategia di liberazione dell’inconscio o particolari rivoluzioni del linguaggio. La stessa pole¬mica nei confronti dell’io lirico tende ad assumere significati diversi. Se queste note non intendono anticipare posizioni che dovranno emergere dal dibattito, di certo, però, si propongono di offrire alcune ipotesi da vagliare: la stessa descrizione dello scenario attuale è oggetto di discussione, ma pare che almeno per gran parte dei bersagli polemici, e per la loro definizione, si possa ipotizzare un accordo preliminare. E allora l’intimismo, il neo-simbolismo e la ripresa enfatica del mito risulteranno i modi letterari di quella condizione per molti aspetti dominante definita come postmoderna. Nel contesto di una consistente estetizzazione dei linguaggi e della parallela estetizzazione dei consumi, la scrittura poetica e letteraria si trova tra due fuochi: da un lato la massiccia appropria¬zione dei risultati della ricerca sperimentale da parte della comunicazione sociale, dall’altro il ritorno a poetiche liricoevocative che tacendo de facto tale condizione si riproducono come decorazione e come contrassegno corporativo. II cosiddetto postmoderno ha operato in senso decorativo perché ha indebolito la funzione corrosiva delle forme estetiche, e il suo significato ideologico-restaurativo è d’immediata applicazione commerciale. La convenzionalità linguistica negli ultimi due decenni ha subito profonde trasformazioni strutturali: il convenzionale tende ad essere, più che un universo di valori, (formali e tematici) una modalità operativa. La neutralità apparente del postmoderno consiste nell’aver proposto come convenzionale la modalità della contaminazione anche perché diretta¬mente fornita dall’assetto tecnologico tendenzialmente indifferente alla specifi¬cità del contenuto. In questo senso il postmoderno, oltre ad essere un’ideo¬logia, è anche un sintomo di un muta¬mento reale della condizione materiale dei linguaggi.

II lavoro sulla citazione può essere un luogo privilegiato della nuova sperimentazione per le seguenti ragioni:
1) La scrittura letteraria, da sempre considerata nella sua separatezza dalla lingua ordinaria, si ritrova ad operare con effetti di ritorno provocati dall’impatto delle tecniche pubblicitarie sulla lingua: la convenzionalità da sfidare è già costituita da procedimenti estetici altamente codificati (montaggio, collage, pastiche etc).
2) La citazione non è procedimento isolato: si tratta dell’intero sistema della comunicazione sociale che tende a lavorare in tal senso con diversi esiti e con diversi gradi di evidenza.
3) La dissoluzione della tradizione è un fenomeno collegato al massiccio uso di forme estetiche che l’attuale produzione di segni realizza, al conseguente indebolimento del senso oppositivo della forma estetica all’interno dei processi comunicativi.
4) La dimensione referenziale dovrebbe configurarsi nel momento in cui il sistema circolare delle rappresentazioni viene fatto percepire come tale: la brutalità dei rapporti (il senso performativo dei messaggi taciuto dai giochi linguistici) diventa socialmente irrappresentabile se non come effetto indiretto dei dispositivi di contaminazione propri ad un lavoro critico sulla citazione.

Biagio Cepollaro per il gruppo redazionale di Baldus

1 commenti a questo articolo

L’editoriale del n.° 0 e i documenti della Redazione di Baldus in occasione della fondazione del Gruppo ’93
2012-05-05 14:51:17|di gugl

grazie. Un documento storico.


Commenta questo articolo


Un messaggio, un commento?
  • (Per creare dei paragrafi indipendenti, lasciare fra loro delle righe vuote.)

Chi sei? (opzionale)